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Ciao a tutti! L’eleganza era un optional, nelle gare di una volta, ma perché non se ne sentiva la mancanza? Perché eravamo diversi, perché naturalmente il mondo era diverso, meglio in tante cose, peggio in tante altre, l’evoluzione non si ferma.
Questa curiosa immagine risale all’aprile del ’67, dunque quasi sessant’anni fa. Era la corsa in salita Gattorna-Uscio e, prima della partenza, sulla Beta Ancillotti 60 è seduto Piero, figlio del titolare della Ancillotti, Gualtiero, e “grande” appassionato. Spicca il fazzoletto annodato sulla testa, la canotta e le braghette, si notano le ciabatte con le calze. Augusto Brettoni, grande amico di Piero, mi confida scherzoso: “Un vero conquistatore di donne, adesso non sta tanto bene ma non molla”.
A sinistra, chino su Ancillotti - il marchio che allora firmava le Lambrette più potenti del mondo e stava inaugurando il meraviglioso programma Scarab 50 - c’è Michele Verrini, che era l’ideatore del progetto salita. All’estrema destra, in tuta di pelle e con la pettorina numerata si intravvede il pilota: è Andrea Fornaro, che diventerà più avanti il compagno di Amedeo Zini in tante gare del mondiale sidecar.
Gara vincente, per la cronaca: la moto - con telaio Beta cross e testa radiale fusa dal babbo di Piero - aveva già debuttato onorevolmente alla Doria-Creto e qui vinse la sua classe, con un margine di otto decimi su Franco Ringhini e di qualche secondo su Luciano Gazzola, entrambi specialisti sulla fortissima Guazzoni.
Dopo quella vittoria, Andrea Fornaro fu per tutti “il Gattorno”; era un tecnico del settore nucleare e Verrini lo aveva conosciuto a Genova anni prima quando lavorava come meccanico nel garage dove Michele teneva in posteggio il suo Bianchi Falco 50. Andrea partecipava alle gare in salita con una Ducati 125, allora, tempo dopo si sarebbe trasferito in provincia di Alessandria e purtroppo è mancato un paio d’anni fa.
Vi racconto tutto questo perché da Firenze, da Michele Verrini e da Augusto Brettoni e tanti altri, mi arrivano spesso le voci di motociclisti piuttosto speciali. Con quella vena di leggerezza e di ironia che altrove manca, con lo sfottò dell’amico che riesce a non compromettere l’amicizia, quasi sempre con storie interessanti.
Guardo la fotografia e non so proprio se fosse meglio allora. Certamente non c’era la coscienza dei pericoli ai quali si andava incontro, ci si divertiva di più e la nostra passione non aveva bisogno di essere infiocchettata alla perfezione per dilagare. Non serviva granché, bastava preparare un cinquantino per l’amico e sedersi in sella senza tante formalità. Anzi, senza nessuna formalità. Grazie, Piero Ancillotti!