Intervista a Roger De Coster

Intervista a Roger De Coster
Il team manager della Suzuki Racing Usa ci parla del leader del campionato indoor statunitense, l’astro nascente d’oltreoceano che ha messo un diavolo per capello a James Stewart | di M. Zanzani
1 febbraio 2010


SUPERCROSS USA | Il team manager della Suzuki Racing Usa ci parla del leader del campionato indoor statunitense, l’astro nascente d’oltreoceano che ha messo un diavolo per capello a James Stewart.



Roger, Ryan è l’ennesimo coniglio che hai tirato fuori dal tuo magico cappello?
“Non direi – risponde il cinque volte iridato fiammingo con la sua solita modestia - lo si poteva già intuire dai risultati dello scorso anno che dimostravano come Ryan fosse stato costante e si fosse migliorato continuamente. Il Motocross delle Nazioni gli ha dato una carica in più perché questa gara ad un pilota americano mette molta pressione in quanto costretto a vincere visto che un secondo posto è come arrivare ultimo. Andare in Europa, correre questa gara così impegnativa senza compagni di squadra famosi e aver vinto ha dato a Ryan maggior sicurezza e la certezza di avere la capacità di gestire la pressione”.

Ryan a differenza di tanti suoi colleghi è uno dei pochi piloti ad essere molto bravo sia nel supercross che nel motocross


Quindi non sei sorpreso di vedere Ryan in testa al campionato supercross?
“Non pensavo che si sarebbe portato subito al comando, ma sapevo che sarebbe stato tra i primi. Stewart ha fatto qualche errore, e questo ci ha aiutati, ma Ryan è sempre stato pronto e si è meritato la posizione che occupa".

Come ha fatto ad adattarsi così in fretta alla 450?
“Credo che in parte dipenda dal suo stile di guida, caratterizzato da una grande sensibilità ed un ottimo controllo in ogni situazione”.

Che modifiche avete fatto per lui rispetto alla moto che guidava Chad Reed lo scorso anno?

“Il nuovo telaio ha migliorato ulteriormente la stabilità, sono bastate poche regolazioni per regolare il setting intermedio delle sospensioni in base al suo stile di guida, molto diverso da quello che aveva Reed, per farlo trovare subito a suo agio. I benefici sono venuti anche grazie alla nuova forcella, ed ora la moto ha una fantastica stabilità e curva benissimo”.

Come vuole l’erogazione del motore Dungey?
“A lui piace avere una buona spinta in basso, di potenza in alto ne ha più che a sufficienza in ogni modo e quindi preferisci sfruttare una buona risposta all’apertura dell’acceleratore”.

Gli dai dei consigli?

“Certo, principalmente riguardo la strategia di gara, la tecnica e le traiettorie”.

Recentemente una delle cose più lungimiranti che gli li hai detto è stato - you are only as good as your last race (sei bravo solo come nell’ultima gara) - cosa intendevi trasmettergli?
“Significa che anche se ora è in testa al campionato non deve mai dimenticare che le cose possono cambiare in un attimo. Il fatto che tu abbia vinto la scorsa settimana, non rende automatico che lo sia anche questo week end, per cui è giusto sentirsi sicuri ma mai troppo perché sennò si rischia di abbassare la guardia con conseguenze disastrose. Ci vuole sempre il giusto equilibrio, per rimanere concentrati ogni settimana”.

E’ molto critico riguardo alla moto?
“Sì, la vuole decisamente nel modo che piace a lui. Se cambi anche di poco se ne accorge subito, persino i piccoli cambiamenti sul motore non gli sfuggono. Magari non sa di preciso cosa è stato fatto, ma è talmente elevata la sua sensibilità che ti dice immediatamente se c’è qualcosa di diverso”.

Dove ha bisogno di migliorare?

“Non è tanto in pista, dove lo si può già definire un pilota completo, bensì nella fase di preparazione per far sì che segua il programma che prepariamo per la settimana. Ha la tendenza a fare un programma oggi per domani e poi l’indomani lo cambia, ma non è facile perché spesso si allena in Florida, sulla pista di Ricky Carmichael”.

Girano assieme?
“A volte si, ma ormai Ricky non corre quasi più. Il padre di Ricky si occupa del circuito, quello di Ryan invece prepara la moto per l’allenamento”.

Casa deve fare per rimanere concentrato fino alla fine?
“Essere forte psicologicamente e rimanere calmo in caso di cadute sue o di altri piloti che gli finiscono addosso. Tenere sempre l’obiettivo senza farsi distrarre, arrabbiarsi o innervosirsi per la situazione improvvisa o del momento”.

Sei sorpreso che Reed abbia fatto così tanti errori in due gare?
“A Phoenix ha fatto alcuni errori nella qualifica, ma in finale la caduta con Stewart non è del tutto un suo errore. Lui era all’interno e James gli ha tagliato la strada, io credo che sia stato più un problema di Stewart che di Chad”.

Bubba sembra abbia perso un po’ l’orizzonte in questa prima parte di stagione, essere andato sotto la tenda Kawasaki dopo la gara ed aver gettato per terra la moto di Reed non è accettabile da un professionista del suo livello.
“E’ la pressione che gli fa fare cose che non dovrebbe fare. Nella prima gara aveva corso bene fino alla fine, ma all’ultimo giro Ryan quasi l’ha passato e lui è rimasto molto sorpreso. Credo che in quel momento il suo obiettivo fosse  dimostrare quanto lui fosse superiore a tutti gli altri, ma poi nella qualifica della gara successiva ha fatto un grosso errore provocando un incidente con un pilota dopo avergli tagliato la strada in un salto, rischiando grosso. E nella finale ha fatto un altro errore incrociando le traiettorie con Chad, per cui dopo la gara ha perso la testa”.

L’AMA avrebbero dovuto sanzionarlo, perchè non l’hanno fatto?
“Non posso esprimermi, anche se è stato un grosso errore non averlo fatto perché in questo modo si lascia la strada aperta ad altri situazioni equivalenti che non hanno niente a che fare con lo sport”.

Credi che Dungey abbia le stesse possibilità per il National?
“Ryan a differenza di tanti suoi colleghi è uno dei pochi piloti ad essere molto bravo sia nel supercross che nel motocross. Sotto questo punto di vista lo si può considerare un top rider come Carmichael, Reed o Stewart, fuoriclasse che possono correre ovunque per i quali la sabbia, il duro, o gli ostacoli artificiali non fanno la differenza”.


Massimo Zanzani

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