Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su info@moto.it
Milano, Rho Fiera - Ha una dizione perfetta Scott Redding, che parla come una voce registrata delle listening scolastiche: zero accento. Impossibile capire da quale parte della Gran Bretagna provenga, anche per il nostro operatore video, per cui l’inglese è quasi una lingua madre.
Decisamente più facile comprendere cosa abbia spinto Scott a lasciare la SBK a metà stagione per tornare nel suo campionato nazionale, il British Superbike, dove già si era laureato campione nel 2019. Ha mollato la Ducati Panigale V4R del Team Bonovo per salire su quella del Team d’oltremanica PBM: la stessa moto in teoria, un mare di differenze nella pratica.
Redding, tornando a casa, ha ritrovato il sorriso, le vittorie (sette) e i podi (dodici su ventiquattro gare disputate). Il suo curriculum era già di tutto rispetto: due podi in MotoGP, vicecampione del mondo in Moto2 e SBK, il primo trionfo in Moto3 a soli 15 anni.
Il problema?
Non si divertiva più, è crollato mentalmente, ha pensato al ritiro. Ce l’ha raccontato in una lunga intervista realizzata allo stand Shark di Eicma 2025.
Scott, su casco e tuta hai scritto “The Comeback Kid (il ragazzo delle rimonte - il ragazzo che torna sempre a casa)”, soprannome che avevi già appiccicato prima del tuo ritorno di quest’anno nel British Superbike. Allora quando è nato, cosa significa davvero?
"Allora sì, quest’anno ho cominciato la stagione nel World Superbike utilizzando già “The Comeback Kid”, perché avevo un obiettivo. Un unico obiettivo: tornare a lottare per la vittoria, riconquistare un posto nel team ufficiale. Le origini di “The Comeback Kid” però risalgono al 2019, quando sono tornato per la prima volta British Superbike, perché quello fu il vero ritorno del figliol prodigo. Ma il soprannome è rimasto per quest'anno, per i motivi detti in precedenza. E alla fine, ironia della sorte, sono tornato un’altra volta nel BSB, rispettando anche il nuovo significato del mio soprannome: ho fatto diverse rimonte, venivo su sempre nelle fasi finali della gara. Sono stato all’altezza di quel soprannome (ride, ndr)”
È degno di notta il fatto che tu sia arrivato quarto nella classifica finale del BSB senza nemmeno disputare i primi tre round del campionato, poiché fino a luglio eri ancora impegnato nel World Superbike.
"Sì, ad essere sincero, quando ero nel World Superbike quest'anno, stavo lottando per trovare il mio ritmo, la mia passione, il mio divertimento. C'era molto stress su di me per ottenere grandi risultati e il pacchetto e alcune cose semplicemente non funzionavano insieme. Per me non era la strada giusta lottare per la decima posizione, perché so di essere un pilota migliore di così. Ne sono sicuro. Poi Glenn Irwin si è infortunato nel British Superbike e ho ricevuto una telefonata in cui mi chiedevano se volessi sostituirlo per il round di Knockhill, e ho risposto ‘ma perché no?’ “
Lì hai subito capito di voler tornare?
“Ad essere sincero, a Knockhill pioveva, il tempo era terribile, il circuito era pazzesco. Stavo tornando a casa in macchina e ho detto a mia moglie: ‘Mi sono davvero davvero divertito”. Non avevo nemmeno ottenuto un podio (Scott nelle tre gare del weekend di Knockhill ha ottenuto un 4°, un 19° e un 9° posto, ndr). Le sensazioni di guida da subito sono state quasi le stesse della SBK, con la differenza che nel BSB non c’è elettronica. Avevo quindi bisogno di ricostruire pezzo dopo pezzo le mie conoscenze di gara, alla fine con il passare del weekend mi sono divertito sempre di più. Il piano in quel momento era ancora quello di restare nel World SBK, infatti la settimana successiva ho corso a Donington e al sabato sono andato anche piuttosto bene. Poi però alla domenica una serie di cose sono andate storte e contestualmente mi è stata offerto l’opportunità di tornare nel BSB come pilota titolare. Ho pensato: ‘Sai che c’è? Io mi diverto di più senza elettronica’. Abbiamo gli stessi pneumatici, non proviamo pneumatici nuovi, i circuiti sono pazzeschi, mi spaventano, ma mi piace!”
Ti ho sentito dire che la MotoGP o la World Superbike sono competizioni in cui tutto si basa sul limite degli pneumatici e della moto, mentre nel BSB la competizione si basa sui limiti del pilota e delle sue abilità di guida. È vero?
"Sì, in un certo senso. Ma sai, in MotoGP come in SBK, tutto dipende dalla moto, ma anche da come è impostata l'elettronica, da come capisci le gomme, da come riesci a lavorare con il team. I team più grandi con più persone alle spalle sono ovviamente avvantaggiati. Oppure ci sono casi più rari come Alex Marquez quest’anno, che con un team satellite è riuscito a sistemare tutti questi tasselli. Ma se la moto non funziona, nella MotoGP di oggi nessuno può lottare per il vertice. Ci sono alcuni piloti alieni, come Marquez, che hanno qualcosa in più e possono mantenere un distacco costante con tutti gli altri. Invece nel BSB il limite non è l'elettronica, non è una questione di pneumatici, è più il limite del pilota e del circuito, perché abbiamo salti, muri, dossi, sconnessioni. Non abbiamo tavole da biliardo come in MotoGP o in SBK, quindi non possiamo andare al massimo in tutte le curve, anzi dobbiamo adattare le traiettorie a tutti gli ostacoli che queste piste presentano. All’uscita di alcune curve non abbiamo i cordoli ma l’erba, come vent’anni fa. In altri punti sfioriamo i muretti. Tutto questo per me è molto più sfidante che trovare il limite della moto o delle gomme"
È anche la pericolosità di questi circuiti ad affascinarti?
"Sì. Non direi che mi piacciono i dossi perché sono difficili, ma mi piace la sfida che rappresentano. Ed è per questo che quando sono andato al BSB, c'erano più piloti di altri campionati che mi dicevano dubbiosi: ‘Ah, sai, il BSB…’, e io rispondevo che avrebbero dovuto andare a provare una di queste piste una volta nella vita. Quando vado in posti come Oulton Park, Cadwell Park, mi diverto davvero molto”
Qual è il tuo preferito?
"Mi piace molto Oulton Park. Cadwell è al limite del pericolo, ma il circuito è pazzesco, incredibile. Saltare con una Superbike non è normale (Scott fa riferimento al celebre “Salto del Mountain”, il passaggio più caratteristico di Cadwell Park, dove anteriore e posteriore si staccano da terra, ndr). Posso dirti che la sensazione non è quella che ti aspetti. Poi attraversi gli alberi e se stacco il braccio dal manubrio posso quasi toccare la barriera, perché il muretto è qui (Scott indica la parte che si staglia dietro ai nostri sgabelli, ndr). Quindi devi calcolare l’entità del rischio e dell’eventuale ricompensa. Poi su questi circuiti spesso piove e tutti i piloti britannici sono molto bravi su questi circuiti perché ci sono cresciuti. E l'altra cosa è che non parti già sapendo che la Ducati vincerà tutte le gare, o la Honda, o la Kawasaki. In ogni circuito trovi una moto un po' più forte o un pilota particolarmente in forma. Ed è questo che rende il tutto emozionante, perché quando arrivi in griglia di partenza non sai mai chi può vincere”
C'è stato un fattore ambientale che ti ha spinto a cambiare? Hai detto che nel BSB puoi fare festa nel box con musica ad alto volume…forse eri stanco dell’atmosfera più rigida che si respira nel Mondiale?
"Nel World Superbike in realtà hai libertà, ma le persone ti giudicano. Sai, ci sono i team ufficiali, cosa che non esiste nel BSS, dove il pubblico apprezza la personalità di un pilota. Quando sono andato per la prima volta nel BSB nel 2019 molti hanno detto: ‘Oh, Scott Redding, che arriva dalla MotoGP, penserà di essere migliore di tutti’. Poi mi hanno visto alla festa il sabato sera mentre ballavo e mi hanno chiesto: ‘Cosa ci fai qui?’. Io ho risposto: ‘Lo stesso che fate voi’. Lì hai la libertà di farlo e questo è ciò che mi piace, perché posso esprimere la mia vera personalità. Posso essere me stesso senza preoccuparmi, mentre se lo facessi nel mondiale Superbike o nella MotoGP forse i grandi costruttori direbbero: ‘Ok, non vogliamo questo’, e per me sarebbe stressante. Mi piace la libertà, i fan del BSB la adorano, il campionato stesso la adora, e io adesso corro per questo, per divertirmi: è un fattore chiave che tutti dovremmo apprezzare”.
Quindi è vero che nel BSB si pensa che i piloti della MotoGP o della SBK siano snob, mentre tu hai fatto capire subito l’opposto?
"Il problema è che se sei in mezzo a un gruppo di persone e succede qualcosa, tu ti senti parte di quel gruppo. Ci sono persone nella MotoGP che sono così. Ci sono persone nella Superbike e ci sono alcune persone nella BSB. È una cosa normale. Ma se non conosci la mia personalità, non puoi giudicarmi in questo modo perché io sono proprio l'opposto. Vado in Spagna per andare in moto. Dormo nel retro del furgone. Porto con me il mio cane alle gare. Questo è il mio DNA. Il mio DNA non è fatto di jet privati e hotel di lusso. Ci sono persone a cui questo piace, ma io non sono così. Ed è per questo che mi trovo più a mio agio nella BSB, perché sono un po' più rude”.
C’è stato anche un fattore finanziario che ti ha spinto a cambiare? Hai dichiarato che questo è stato il primo anno in cui hai dovuto pagare per correre (nel Team Bonovo in SBK) ma che poi non saresti più stato disposto a farlo.
"In tutta la mia carriera ho sempre detto che non avrei mai pagato. Ma sentivo che se volevo una possibilità di rilanciare la mia carriera e finire di nuovo in una squadra ufficiale, dovevo mostrare dei risultati, e pagare questa volta era l’unico modo per riuscirci. So di cosa sono capace e ho colto questa opportunità perché davvero pensavo ci fosse solo un 5-10% di possibilità che non funzionasse. Ma questo 5 o 10% alla fine ha prevalso. Sai, ho accettato di buon grado di pagare, ma non lo rifarò mai più. E non consiglio alle persone di farlo perché una volta che paghi, pagherai sempre. E alla fine, questo è il tuo lavoro. Non siamo piloti per hobby. Lo facciamo per vivere. Ci alleniamo ogni giorno. Rischiamo la vita. Ci dedichiamo molto. La mia infanzia non è stata facile come quella degli altri, ma ho sacrificato tutto per quello che ho ora. Quindi, se inizi a pagare tutti questi soldi…è semplicemente inutile"
Con una moto ufficiale saresti rimasto in SBK?
"Non si tratta solo della moto. Credo che sia anche una combinazione di squadra e tecnici. Sai, la Panigale che avevo con Bonovo era una moto con buone specifiche. Sai, questo non era il problema, ma credo che semplicemente non avessimo un team solido o abbastanza vasta per gestire la moto al livello necessario per essere tra i primi in SBK. E questa era ciò che mi ostacolava. Il divario con un team ufficiale è importante, ripenso a quando ero nel Team Aruba, dove non ho potuto ottenere quello che volevo con quello che avevo. E, sai, tanto di cappello a team come Barni, Go Eleven, a quei team satellite che riescono a far funzionare tutto, ma che hanno anche molti anni di esperienza alle spalle. Il Team Bonovo proveniva da diverse stagioni con moto BMW e poi si sono buttati a capofitto quest’anno con Ducati. Pensare di vincere subito era chiedere troppo. Quando ci ripenso ora, capisco perché forse non ha funzionato, ma tutti hanno dato il 100% e non parlerò mai male di questi ragazzi perché finché si dà il 100%, sono felice. È tutto quello che possiamo fare”
Puoi confermare di aver ritrovato il sorriso sotto il casco o no?
"Assolutamente sì. Ho avuto alcune gare difficili al BSB, ma poi ho trovato il mio equilibrio. E mi sono divertito anche quando non ho vinto, ero comunque felice. Nel World Superbike tornavo sempre a casa a testa bassa”
Qual è stata l'ultima volta che ti sei divertito prima di tornare nel BSB?
"Non lo so. Forse in Australia quest’anno, ma ripensandoci è stata una sensazione un po’ falsa. Invece sono tornato a casa da Thruxton, dove ho concluso all'ottavo posto, ed ero felicissimo. ‘Ho guidato incredibilmente bene’, mi dicevo. Ok, la nostra moto non ama quel circuito, lo sapevamo, ma ho davvero dato il massimo che potevo. Quindi sono tornato a casa felice. E questo per me è ciò che conta. Che io sia primo o quinto, purché sappia di aver fatto del mio meglio, devo apprezzarlo. La mia carriera non è più all’apice, ne sono perfettamente cosciente, ma posso ancora ottenere grandi risultati. È solo che non voglio più caricarmi di pressioni. Ora ho un figlio. Devo mantenere un buon clima in casa e per farlo devo credere in me stesso, trovare un mio equilibrio e ora posso dire di esserci riuscito. Quando sono salito sulla Panigale del BSB ho ritrovato le sensazioni di guida che avevo in Aruba e mi sono chiesto ‘tornerei in SBK?’. ‘Dipende - mi sono risposto - per ora sono molto felice di ciò che sto facendo’. Ci sono tanti giovani di talento che stanno crescendo- Io ho 32 anni, che non sono nemmeno molti, ma non voglio lottare per la decima posizione”
Hai confessato di aver sofferto molto mentalmente nel 2018, quando hai dovuto lasciare la MotoGP. Ti andrebbe di raccontarci qualcosa di più su quel periodo e soprattutto di descriverci come l’hai superato?
"Sì, è stato difficile. La MotoGP è l'apice degli sport motoristici. Ogni pilota sogna di arrivarci. Io non ho mai sognato di arrivarci perché sapevo che ci sarei arrivato, sapevo che grazie al lavoro che avevo fatto e ai risultati ottenuti ci sarei arrivato, ma c'è molta pressione e io non sono un pilota che corre per fare numero. Corro per vincere, per essere competitivo. E in quella stagione (parla del 2018 in Aprilia, ndr) era semplicemente impossibile, avevo il peso del mondo sulle spalle. Sai, hanno fatto del loro meglio, ma semplicemente non era destino, non riuscivo nemmeno a tornare a casa e a staccare. Alla fine di quel 2018 ero completamente distrutto mentalmente. Ho anche pensato ‘basta, ho finito, mi ritiro’. Poi sono andato in Italia per alcune settimane perché, nel profondo, sapevo che non era finita. Ci ho riflettuto e mi sono detto: ‘Ok, so di poter fare di più, ma devo dimostrarlo a me stesso’. Così ho detto al mio manager: ‘Trovami una moto con cui posso vincere, una squadra con cui posso vincere. Che fosse la Superbike, la British Superbike, il campionato tedesco, che fosse l'ippica, non mi importava. Dammi qualcosa che abbia del potenziale e lasciami dimostrare a me stesso che posso farcela’. Ed è così che nel 2019, nel BSB, sono rinato”
Quindi possiamo dire che il BSB ti ha sportivamente salvato?
"Sì, assolutamente. Venivo da un contesto molto serio in cui non potevo fare molte cose o venivo giudicato per quello che facevo. Poi sono entrato nel BSB e il boss del team mi ha detto: ‘Sii te stesso’. Gli ho risposto: ‘Sei sicuro?’. Lui me l’ha ribadito. E come ho detto, ho avuto il miglior anno di gare e della mia vita, sai, almeno fino a quando mi sono sposato e ho avuto figli. Mi allenavo molto. Festeggiavo molto. Avevo molti amici. Vincevo le gare. Avevo molto da imparare, molte sfide, molte persone contro di me, ma tutto questo ha creato un anno fantastico in cui sono arrivato al top e ho pensato: ‘Wow, non succederà mai più’. Ma custodirò quei momenti per il resto della mia vita”
Se potessi scegliere tre momenti, i tre momenti migliori della tua carriera, quali sarebbero?
"Sai, è difficile perché non apprezzavo quello che stavo facendo quando ero lì. Ero in Moto2 a lottare per il titolo, ma solo ora capisco cosa stavo facendo. Quando sono salito sul podio in MotoGP, ho pensato: ‘Impressionante’, ma senza godermela davvero. I tre momenti migliori…probabilmente direi la vittoria in Moto2 al Mugello perché avevo vinto una settimana prima a Le Mans e tutti dicevano: ‘Oh, solo perché c’erano condizioni miste, bla bla bla’. E invece ho vinto con temperature alte su un circuito che non era facile per me. Quindi è stato bello. Donington 2008 anche, quando ho vinto in Moto3 e avevo solo 15 anni, una domenica importante per farmi conoscere. E poi sì, vincere il campionato britannico Superbike e anche vincere gare nel mondiale Superbike, perché sono stato il primo pilota in molti anni a lottare con Jonathan Rea per il titolo fino all’ultima gara. Dai, ho avuto diversi buoni momenti. Li apprezzo molto di più adesso, quando mi fermo a riflettere sul passato, con una mentalità un po’ più da padre. Ora sono più orgoglioso di me stesso”
Che tipo di musica metti nel box quando vinci?
"Oh, abbiamo molta musica che ascoltiamo. Mi piace molto la drum and bass. È sempre bella. Ma la mia musica cambia continuamente. A volte può essere musica country. A volte può essere hip-hop. Ma ne abbiamo una, ma non è mia. È del team, che con quella nelle casse balla sempre. Purtroppo non ricordo il titolo di questa canzone. È solo che ogni volta che vinco, la canzone viene riprodotta”
E prima della gara, hai una playlist?
"No, quello che capita. Sai, la griglia di partenza è un momento delicato , c’è molta gente. Quindi devo ascoltare musica che sono sicuro mi piaccia…sì la drum and bass di solito va bene per me”
Artista preferito?
"Onestamente, è... come si chiama? Mister Traumatic. Non lo consiglierei ai bambini piccoli, ma niente male davvero”