Massimo Clarke: “I bicilindrici italiani a due tempi degli Anni 50”

Massimo Clarke: “I bicilindrici italiani a due tempi degli Anni 50”
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Anche nei periodi più difficili, come quello della ricostruzione postbellica, la nostra industria motociclistica ha saputo proporre modelli di grande validità tecnica. Ecco tre splendidi esempi | M. Clarke
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
23 maggio 2013

 

Nei difficili anni del dopoguerra l’industria motociclistica italiana sfornava prevalentemente mezzi utilitari, che dovevano abbinare una buona efficienza a costi di acquisto e di esercizio molto ridotti.
Il grosso della produzione nazionale era costituito da una miriade di motori ausiliari per bicicletta e da varie motoleggere, la cui cilindrata non superava i 125 cm3. Alcuni costruttori mantenevano in commercio modelli d’anteguerra di cilindrata superiore, che non venivano però venduti in numeri rilevanti. E poi c’erano gli scooter, divenuti molto popolari in brevissimo tempo.

In una situazione come questa, sul finire degli anni Quaranta, può sembrare strano che qualcuno abbia pensato di realizzare dei bicilindrici a due tempi. In fondo non ne venivano prodotti neanche all’estero (quelli, eccellenti, costruiti dalle case tedesche non avevano ancora fatto la loro comparsa). Eppure la passione e l’inventiva hanno portato tre costruttori italiani a progettare e a mettere in produzione, a distanza di pochi mesi uno dall’altro, delle moto a due cilindri di eccellente livello tecnico, che sono giustamente rimaste nella storia.


La prima a fare la sua comparsa è stata la CM 250, presentata nel 1949 ed entrata in produzione di serie nel corso dell’annata successiva. La casa bolognese si era affermata nel corso degli anni Trenta con realizzazioni di ottima fattura, in grado di fornire prestazioni di notevole livello. Dopo il termine del secondo conflitto mondiale aveva ripreso l’attività affiancando ad apprezzati (ma costosi) modelli a quattro tempi, derivati da quelli d’anteguerra, una eccellente 125 monocilindrica a due tempi. Progettata da Romeo Sambri, aveva un motore in buona misura ispirato a quello della DKW RT 125 per quanto riguarda i travasi e il sistema di lavaggio. Presentata nel 1948, spiccava per l’impiego di un cilindro in lega di alluminio con canna riportata. Il semplice ma robusto monocilindrico aveva un alesaggio di 52 mm e una corsa di 58 mm; la trasmissione primaria era a catena.

Di CM 250 ne sono state fatte poche, oggi molto ricercate. La qualità era ottima. In questo splendido esemplare, qualche dubbio sulla sella.
Di CM 250 ne sono state fatte poche, oggi molto ricercate. La qualità era ottima. In questo splendido esemplare, qualche dubbio sulla sella.

Il passo successivo ha portato alla realizzazione di una bellissima 250 bicilindrica, costituita in pratica dalla unione di due alberi e di due gruppi cilindro-testa del 125, che erogava 8,5 CV a 5000 giri/min. La CM 250 si è successivamente evoluta in versioni T , Sport e Super Sport, dotate di forcella telescopica e non più a parallelogramma e dalle prestazioni via via incrementate. Una di queste moto si è imposta nella durissima Milano-Taranto del 1956, conquistando i primi tre posti nella sua classe. Un’altra ha vinto il campionato Juniores 250 nel 1958, quando la casa stava per chiudere i battenti (il marchio è poi stato ceduto a un produttore di ciclomotori che lo ha utilizzato fino al 1964 circa). Una CM 250 ha corso ottenendo discreti risultati anche nel campionato italiano seniores, per un paio di stagioni, pilotata da Gianemilio Marchesani.

 
Sicuramente più nota della CM è la Rumi, una azienda bergamasca, nata in seguito alla riconversione postbellica delle strutture produttive, che aveva dimensioni nettamente maggiori, disponeva di una rete di distribuzione assai più capillare e ha prodotto un numero di moto decisamente più alto. Per lungo tempo le Rumi sono state famose per essere le uniche bicilindriche di 125 cm3 disponibili sul mercato, oltre che per le prestazioni brillanti. Il loro motore, sviluppato dall’ing. Salmaggi (ma lo schema originale era dovuto a Vassena), aveva un design unico, con due cilindri paralleli orizzontali, ed era caratterizzato da una serie di soluzioni tecniche fuori del comune. La frizione era piazzata alla estremità dell’albero a gomiti e non all’entrata del cambio, come di consueto. I pistoni avevano il cielo con un deflettore a V (in quasi tutti gli altri motori a due tempi dell’epoca il cielo era piano o solo lievemente bombato) e il basamento era formato da due parti che si univano secondo un piano orizzontale (e non verticale, come volevano i canoni della classica scuola motociclistica). In seguito questa soluzione è diventata standard nei motori giapponesi con due o più cilindri in linea.

Un autentico classico, impiegato per moto stradali, da competizione, da regolarità e perfino scooter. E' il bicilindrico Rumi 125
Un autentico classico, impiegato per moto stradali, da competizione, da regolarità e perfino scooter. E' il bicilindrico Rumi 125

Le Rumi 125 bicilindriche sono entrate in produzione nel 1950 e sono rimaste in produzione fino al termine degli anni Cinquanta (la Junior Gentleman era ancora in listino nel 1962), in più modelli via via evoluti e in grado di fornire prestazioni superiori. Il motore aveva un alesaggio di 42 mm e una corsa di 45 mm. La prima versione del modello Turismo erogava 6 CV a 4800 giri/min. Le versioni più spinte del motore sono però arrivate a circa 9 cavalli a un regime dell’ordine di 7500 giri/min.
I modelli più sportivi sono stati grandi protagonisti della scena agonistica. Tra i risultati ottenuti spiccano le vittorie di classe nella Milano-Taranto del 1954, nel Motogiro del 1956 e nel Campionato italiano della montagna del 1959.
 

 

La Motobi Spring Lasting ha fatto la sua comparsa nel 1952 con una cilindrata di 200 cm3. La casa pesarese fondata da Giuseppe Benelli tre anni prima aveva fatto il suo esordio nel 1950 con la valida “B” 98 monocilindrica, che aveva ottenuto subito una buona diffusione (e della quale era anche stata realizzata una versione di 115 cm3). Il motore, dotato di ammissione a manicotto rotante, aveva un alesaggio di 48 mm e una corsa di 54 mm. Il passaggio a un modello di 250 cm3 era avvenuto “raddoppiando” la meccanica della 98 e mantenendo invariate le scelte tecniche di base, ma dotando il motore di una estetica completamente nuova, dalla tipica forma “a uovo”, che sarebbe stata adottata per tutti i motori successivamente prodotti nello stabilimento Motobi sulla statale Adriatica. Giuseppe Benelli si era innamorato di questa architettura dopo essere stato in Germania e avere ammirato la geniale Imme 100 di Norbert Riedel.

La Spring Lasting, prodotta in versioni di 200 e 250 cm3, è stata la prima Motobi con motore "a uovo". Questo esemplare è impeccabile, ma la sella...
La Spring Lasting, prodotta in versioni di 200 e 250 cm3, è stata la prima Motobi con motore "a uovo". Questo esemplare è impeccabile, ma la sella...


Ben presto la cilindrata è stata portata a 250 cm3 (aumentando l’alesaggio di 6 mm), realizzando una versione della moto in grado di fornire prestazioni più elevate. Il modello di 200 cm3, che aveva in origine una potenza di 8,5 CV a 5000 giri/min, subito portati a 11 CV a 6000, è comunque rimasto in listino fino al termine della produzione di queste bicilindriche, avvenuta attorno al 1960. Accanto alle versioni più turistiche ne sono state presentate alcune di impostazione più sportiva, che sono arrivate ad erogare 13,5 CV a 6500 giri/min. Il modello destinato alle competizioni (Sport Speciale), ancora più potente, era alimentato da due carburatori. Una Spring Lasting si è imposta nella classe 250 della Milano-Taranto del 1955.

 


Con la scomparsa di questi tre grandi protagonisti degli anni Cinquanta, per lungo tempo i bicilindrici a due tempi sono stati assenti dalla scena motoristica italiana. Sono tornati alla ribalta solo all’inizio degli anni Settanta per merito della Benelli, che per un certo tempo è stata venduta anche con il marchio Motobi, nelle cilindrate di 125 e di 250 cm3, con motori disegnati dal tecnico reggiano Piero Prampolini. Queste moto hanno sostituito le precedenti monocilindriche a quattro tempi e sono diventate presto piuttosto diffuse. Anche la Guzzi faceva parte del gruppo De Tomaso e la sua 250 impiegava un motore praticamente identico a quello della Benelli. Va menzionata anche l’Italjet Buccaneer, che però utilizzava un motore 125 di fabbricazione Yamaha. Poco dopo è entrata in scena anche la Malanca con la sua 125 2C, cha ha avuto una buona popolarità tra i giovani per le sue vivaci prestazioni.

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