Massimo Clarke: "Piccole monocilindriche entrate nella leggenda"

Massimo Clarke: "Piccole monocilindriche entrate nella leggenda"
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Una classe dimenticata, la 75, ha visto primeggiare nelle mitiche maratone stradali degli anni Cinquanta tre realizzazioni a quattro tempi di grande raffinatezza tecnica | M. Clarke
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
6 febbraio 2013


Nell’Italia del dopoguerra quello della mobilità era un problema assai sentito, che doveva essere risolto in maniera pratica e, soprattutto economica. Molte industrie che prima lavoravano in altri settori hanno riconvertito la loro produzione, totalmente o in parte, dedicandosi alla costruzione di mezzi a due ruote di piccola cilindrata o di motori ausiliari da applicare alle biciclette, e si sono aggiunte alle tante altre aziende sorte per lavorare specificamente a questo settore. Una 125 era già considerata una moto di media cilindrata e una 175 per diverse case costituiva il top della gamma. Non per nulla il Motogiro (ovvero, più esattamente, il Giro Motociclistico d’Italia) prevedeva moto di 75, 100, 125 e, cilindrata massima ammessa, 175 cm3, con classifiche separate. Questa suddivisione rispecchiava piuttosto fedelmente la situazione di mercato. Una classe che ha visto la nascita di modelli di assoluto pregio, che hanno rapidamente ottenuto una notevole diffusione, è stata la 75. In questa sede ci dedichiamo appunto a tre modelli di questa cilindrata ai quali spetta un posto di rilievo nella storia del motociclismo non solo perché hanno dominato per anni la scena agonistica, ma anche in quanto sono state realizzazioni di grande spessore tecnico.

Laverda 75
Laverda 75


La prima ad essere costruita è stata la Laverda. Proprio con questo modello di 75 cm3 la casa di Breganze ha fatto il suo esordio nel mondo delle due ruote. Si trattava di una tranquilla e robusta monocilindrica a quattro tempi, entrata in produzione nel 1950 dopo essere apparsa in forma di prototipo l’anno precedente. Il progetto era lineare ma anche raffinato, con il cilindro già in lega di alluminio, in un periodo nel quale dominava la ghisa, e la distribuzione ad aste e bilancieri con due alberi a camme nel basamento e valvole in testa inclinate. Quando ha fatto la sua comparsa, nessuno probabilmente pensava che da questa tranquilla e versatile tuttofare sarebbe stata ricavata una versione da competizione in grado di vincere ben quattro Milano-Taranto e altrettanti Giri Motociclistici d’Italia.
 

La Laverda 75 era nata con un cambio a tre marce, una potenza di 3,2 cavalli a 5500 giri/min, una forcella a parallelogramma e un telaio in lamiera stampata, che è stato sostituito da un altro in tubi dal bellissimo disegno a doppia culla continua verso il termine del 1952 (dapprima sulla versione Sport e quindi anche sul modello base), poco dopo che era stata adottata una nuova forcella, del tipo telescopico. Successivamente è apparso il cambio a quattro marce. Al termine della sua evoluzione la versione da competizione è arrivata ad erogare una potenza non tanto lontana dai 7 cavalli, a un regime dell’ordine di 9500 giri/min.
 

Al Capriolo 75 spetta un posto assolutamente unico, tra le motoleggere costruite in Italia, per via delle soluzioni tecniche davvero uniche che la contraddistinguevano. Dopo il termine della Seconda Guerra Mondiale una azienda del grande gruppo Caproni convertita destinandola alla produzione motociclistica.

Capriolo 75
Capriolo 75

È nata così la Aerocaproni, con sede ad Ala di Trento, dal cui stabilimento è uscita, nel 1951, una simpatica monocilindrica denominata Capriolo 75. Era dotata di un telaio in lamiera stampata e aveva il pedale del cambio sul lato sinistro, cosa che la rendeva unica nella intera produzione nazionale (all’epoca tutte le moto italiane avevano il comando del cambio a destra). Entrambe queste soluzioni erano tipiche della scuola tedesca, il che fa pensare che al progetto abbia lavorato, almeno in larga misura, un tecnico d’oltralpe. Ancora più caratteristico era il motore, il cui albero a gomiti aveva l’asse di rotazione longitudinale (e non trasversale rispetto al telaio, come vuole il classico schema motociclistico). Assolutamente unica nel panorama mondiale era la distribuzione, che impiegava una camma a tazza (o a disco, se si preferisce), piazzata alla estremità superiore di un alberello verticale che prendeva il moto dall’albero a gomito tramite una coppia di ingranaggi conici. I due risalti praticati sul disco in questione agivano sui bilancieri determinando così il movimento delle valvole.


La prima versione del Capriolo 75 disponeva di 3,5 cavalli a 6000 giri/min, ben presto portati a 3,8 a 6500, ed era dotata di ammortizzatori posteriori ad attrito, poi diventati telescopici. La versione Sport è apparsa nel 1952 e ha cominciato a prendere parte alle competizioni l’anno successivo. Nel 1954 è nato il modello competizione, con serbatoio lungo e potenza notevolmente aumentata, che si è imposto nella Milano-Taranto di quello stesso anno e ha vinto il Motogiro nel 1955. L’Aerocaproni, diventata Aeromere nel 1958, ha cessato la produzione motociclistica nel 1963.

 

Ceccato 75
Ceccato 75

Quella della Ceccato 75 è una storia decisamente diversa. Si tratta infatti di una moto che non è derivata da un modello stradale, ma è stata espressamente studiata per le competizioni. E che, per di più, non è nata nello studio tecnico della casa, ma è stata disegnata e realizzata a livello di prototipo esternamente, da un progettista destinato a entrare nella leggenda, Fabio Taglioni. La Ceccato era già presente sul mercato con dei modelli utilitari a due tempi ma voleva migliorare la sua penetrazione e siccome all’epoca i risultati sportivi avevano una notevole influenza sulle vendite, decise di scendere in gara con un modello studiato specificamente per impiego agonistico. La direzione della azienda veneta era venuta a conoscenza di una realizzazione molto promettente, dovuta a un giovane ingegnere che insegnava all’istituto professionale Alborghetti di Imola. Si mise quindi in contatto con il progettista e acquisì i diritti per produrre la moto con il suo marchio.


La Ceccato 75 da competizione era dotata di un motore con unico albero a camme in testa comandato da una cascata di ingranaggi (nel primo prototipo si impiegava un alberello verticale con due coppie di ingranaggi conici). Sviluppata nel corso del 1954, dopo un primo periodo nel quale venne effettuata la messa a punto definitiva e vennero eliminati i piccoli problemi di gioventù, si rivelò pressoché imbattibile, imponendosi in una Milano-Taranto e in un Motogiro. Il motore erogava inizialmente 6 cavalli a 10400 giri/min, portati in seguito a 8 a 11.000. Dalla 75 è stata anche derivata una versione di 100 cm3, che erogava 11 cavalli a 10500 giri/min. La grande validità di questa moto è confermata dalle vittorie ottenute nel campionato italiano della montagna nel 1962-63 (classe 100) e nel 1965-66 (classe 75), a oltre dieci anni dalla sua presentazione.

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