Enea Roveda (LifeGate): “Un’azienda che fa solo soldi è una moto che non va da nessuna parte”

Marco Berti Quattrini
Una chiacchierata con l’AD di LifeGate. Un momento per parlare di mobilità, ambiente, società, aziende e più in generale di un futuro più sostenibile
1 marzo 2021

Enea Roveda è l’Amministratore delegato di LifeGate, una società benefit che ha come obiettivo quello di attivare il cambiamento per costruire un futuro sostenibile. In pratica incoraggia e aiuta privati e aziende ad assumere comportamenti che vadano oltre il perseguimento del solo tornaconto economico. Al di là del profitto si devono creare anche valore sociale e ambientale “se no è come accendere una moto senza partire: si consuma benzina e non ci si muove - Spiega Roveda -. La moto serve per andare da qualche parte, per raggiungere qualcuno, per fare un viaggio, per fare esperienze e avere emozioni”.
Una metafora motociclistica per descrivere come le aziende devono riformulare i propri obiettivi. Con Enea Roveda abbiamo discusso però anche sui temi della mobilità, dell’inquinamento, della sostenibilità e soprattutto sul cambiamento.


Vi definite “catalizzatori del cambiamento sociale”, come riuscite a tradurre questo concetto in azione?
“LifeGate nasce il 28 aprile del 2000, siamo partiti quando quasi non esisteva neanche la parola sostenibilità. Si parlava di 'ecologia' ai tempi e noi fin da subito abbiamo cercato di costruire il primo media network per sensibilizzare e aiutare le persone a comprendere come aderire a uno stile di vita più sostenibile e come prendere le scelte migliori nel quotidiano. Dall’altra parte abbiamo cercato di costruire un meccanismo virtuoso dove poter affiancare le  imprese in questo processo per diventare delle aziende sostenibili. Adesso si parla tanto di 'aziende benefit', un nuovo modello di azienda che cerca di costruire valore economico ma anche valore ambientale e sociale. Nel 2000 ci vedevano tutti come degli alieni, adesso la sostenibilità viene vista come il nuovo petrolio. Per noi più che un modo nuovo per fare business è il modo per fare le cose”.
 

Da dove si inizia un cambiamento così enorme come quello di cui abbiamo bisogno in questo momento storico?
“Sicuramente il problema principale a livello mondiale, da un punto di vista scientifico, è la CO2 che lega i cambiamenti climatici a tutti i problemi che ci sono. E molti sono anche aspetti sociali: pensiamo a tutto il mondo dei migranti climatici che da qui ai prossimi cinquant’anni saranno un numero spropositato se continuiamo in questa direzione. La prima cosa da cambiare quindi è come consumiamo l'energia. Da un lato cercare di consumare meno e ridurre in mille modi i nostri consumi e in questo la tecnologia ci viene incontro e non è quindi una questione di privazione, ma di evoluzione. Dall'altro lato anche passare a quelle che sono le energie rinnovabili in tutte le sue sfaccettature”. 

Ormai tutti abbiamo capito quanto sia importante salvaguardare il nostro pianeta e anche cosa dobbiamo fare per riuscirci. Nonostante questo però non sempre traduciamo questa consapevolezza in azioni. Come si fa a far scendere questa urgenza dal cervello al cuore e trasformarla in concreto cambiamento?
“Il cambiamento è già in atto. Se noi siamo qui a parlare di questo tema è proprio perché c'è un trend in atto che va in questa direzione. Noi come LifeGate abbiamo un osservatorio sugli stili di vita sostenibili e quindi sulle scelte degli italiani: qual è il loro atteggiamento, quali sono le loro motivazioni d'acquisto e come scelgono quotidianamente prodotti e servizi. Dal 2015 ad oggi i dati sono più che confortanti: sono scioccanti da quanto si sono evoluti. Le persone che hanno iniziato a prendere consapevolezza dei temi ambientali e sociali e li hanno portati nelle scelte quotidiane sono passate da un 43% del 2015 a un 72%. Ovviamente non è un 72% degli italiani che fa scelte quotidiane con questo approccio, però di questo 72 il 38% lo fa. Poi c'è un altro 34% che a parità di prezzo, di servizio e di possibilità sceglie e predilige un prodotto sostenibile. La cosa più bella però è che se andiamo sulla generazione zeta, sui ragazzi, più ci abbassiamo d'età più questa sensibilità cresce. Nelle scuole la volontà di creare un mondo migliore e più sostenibile è ormai vicina al 100%”.
 

"Adesso la sostenibilità viene vista come il nuovo petrolio. Per noi più che un modo nuovo per fare business è il modo per fare le cose"

People, Planet, Profit. Sono i cardini della teoria della “tripla linea di fondo” e sono anche le fondamenta di LifeGate.
“People, planet e profit è il nostro payoff dal 2000. Chi segue la storia della nostra famiglia sa che i miei genitori sono stati i fondatori di Fattoria Scaldasole che è stata l'azienda apripista del settore biologico nell’alimentare all'inizio degli anni Ottanta. Nel 1998 è stata ceduta a un grosso gruppo americano. Scaldasole comunque aveva dimostrato che era possibile creare valore economico e allo stesso tempo creare valore sociale e ambientale per l’intera comunità andando a sradicare alcuni preconcetti. 

LifeGate ha cercato di portare avanti gli stessi argomenti, però provando a inquinare al contrario tutto gli altri settori. Cercando di dimostrare che un approccio profittevole ma allo stesso tempo people e planet è possibile in tutti i settori. Nel 2000 questo era fantascienza, adesso è un approccio che è condiviso un po’ da tutti, perché in tutti i settori ormai - dalla finanza alla moda, passando per la mobilità, il turismo - sono concordi con questa visione di un modello più benefit, dove i profitti sono importanti, ma allo stesso tempo è importante creare valore sociale e valore ambientale per tutti”. 

La teoria della “tripla linea di fondo” è stata teorizzata a metà degli anni novanta e voleva essere un po’ un codice genetico, una tripla elica di cambiamento per il capitalismo. In questi 25 anni gli investimenti legati alla sostenibilità sono costantemente cresciuti. Si stima che nel 2030 arriveranno a 12 trilioni di dollari di investimenti. Cifre pazzesche che confermano come l’aspetto profit della sostenibilità sia cresciuto enormemente. Mentre planet e people sono molto indietro. Tutti gli indici ambientali sono allarmanti e la disparità sociale cresce anche nei Paesi ricchi. Ha ancora senso quindi parlare di People, Planet, Profit? E’ un modello che va aggiornato o semplicemente è stato applicato male?
“Siamo all’alba di una nuova era. Perché nonostante tutti ne parlino e, nonostante tutti vogliano occuparsi di sostenibilità e trasformare la propria impresa e la propria azienda con un modello più sostenibile, siamo solo all’inizio. Questa crescita però è esponenziale per vari fattori. Innanzitutto perché l’interesse delle persone è cresciuto tantissimo, soprattutto sulle nuove generazioni che sono i consumatori di domani. Loro saranno quelli che acquisteranno prodotti e servizi e le aziende che non saranno sostenibili usciranno dal mercato perché il mercato vorrà solo prodotti e servizi sostenibili. 
 

Poi ci sono due settori importantissimi: la finanza e la moda. Sono  gli ultimi due settori ad essersi affacciati ai temi della sostenibilità, ma hanno una grande forza comunicativa, soprattutto il mondo moda che sta iniziando a veicolare il concetto “se sono sostenibile sono figo” e quindi sta diventando un trend di moda. La sostenibilità non è una moda, sia chiaro, è un trend in atto, però la moda può muovere la percezione delle masse su questo argomento. Dall’altra parte, c'è il mondo della finanza che ha capito e compreso che la sostenibilità rende di più: ci sono meno fluttuazioni, ci sono meno rischi e le aziende che si sono occupate di sviluppare un modello più sostenibile negli ultimi 10 anni hanno fatturato e guadagnato di più. Per questo il mondo della finanza si sta spostando su dei modelli di valutazione a impatto che vanno a valutare quelle che sono le aziende sostenibili. Gli investimenti si stanno spostando su queste ultime. Questo comporta che le aziende per accedere al credito e a nuovi finanziamenti, ed essere in generale all’interno di un network finanziario di un certo tipo, stanno costruendo dei modelli più sostenibili. Quindi il mondo della finanza  e il mondo della moda stanno dando un'accelerata incredibile a questa nuova era di sostenibilità".
 

La sostenibilità non è una moda, però la moda può muovere la percezione delle masse su questo argomento

Contro ogni logica uno dei settori che invece si muove con meno decisione è quello della mobilità. E’ un po’ come se da anni fossimo sul ciglio di una rivoluzione dei trasporti ma poi continuiamo a rimandare il passo decisivo. Perché, l'automotive non volta pagina con la stessa decisione degli altri settori?
“Sono solo parzialmente d’accordo. Il settore automotive ha avuto una crescita lenta. Abbiamo iniziato nel 2001 a lavorare con la prima azienda auto, per far capire cosa fosse un veicolo ibrido. Adesso dalle nostre ricerche emerge che circa un 20% degli italiani è disposto a spendere di più per acquistare una vettura ibrida, una cosa impensabile anche solo cinque anni fa. Sull'elettrico c'è ancora tanto da fare e l’idrogeno è tutto da costruire. Fino al 2015 noi abbiamo lavorato con una o due aziende. Quest'anno invece abbiamo lavorato con dieci brand del settore automotive”.

Le aziende hanno già una piena consapevolezza della necessità di cambiare passo. Sono pronte sia tecnicamente che mentalmente e la rete di distribuzione si sta adeguando. E’ il consumatore che ancora tentenna. 
“Chi è attento ai temi di sostenibilità sa che uno dei principi base è la durabilità. Quindi chi è attento cerca di tenersi un oggetto per più tempo possibile perché il primo approccio alla sostenibilità è proprio questo. E quindi non è cambiare la macchina tutti gli anni. C'è poi una sottile linea che va riequilibrata rispetto all'evoluzione tecnologica. Siamo in un'epoca in cui la tecnologia va talmente veloce che trovare il punto giusto nel cambiare un prodotto rispetto all’efficienza che può avere e l’impatto nel cambiarlo non è così facile. L'automobile non la cambio ogni sei mesi e quindi ci vuole un po’ di tempo. Teniamo presente che è un trend che è partito da pochissimo”.
 

Sei a capo di una società che è fonte d'ispirazione per le persone e per le aziende. Cosa invece è fonte di ispirazione per te?
“A me piace molto informarmi su quello che succede nel mondo. Leggere ricerche, dati, numeri, capire e comprendere cosa sta avvenendo è un modo per farsi ispirare e vedere anche dove stiamo andando e che scelte prendere. Se no la sensazione è quella di muoversi in una stanza al buio. Io credo che siamo in un momento storico dove la scienza dovrebbe essere la prima ispirazione per tutti, se no rischiamo di prendere la porta sbagliata”.

Ti chiedo una frase che ti piace, ma che non sia di Gandhi. 
“Quella di Gandhi esprime un bel concetto (‘Cambia, e il mondo cambierà in armonia con te’). Racconta un po’ quello che abbiamo detto finora: sii tu stesso quello che vuoi che succeda nel mondo. Al di là di citazioni, ho sentito un'intervista ad un imprenditore americano che si occupa da anni di temi legati alla sostenibilità e ha fatto un paragone molto interessante sul modello d’impresa sostenibile comparandolo con il concetto delle auto o delle moto, essendo io molto appassionato di moto. Il concetto è interessantissimo: un'azienda che pensa di esistere solamente per creare profitti è una moto che consuma solo benzina. Sarebbe molto riduttivo perché i profitti servono all'azienda per raggiungere obiettivi e per costruire qualcosa di più importante per la comunità. Paragonarlo all’utilizzo di una moto è interessante perché se dovessi prendere la mia moto e usarla solo per consumare benzina sarebbe riduttivo perché la moto la uso per andare da qualche parte, per raggiungere qualcuno, per fare un viaggio, per fare esperienze e avere emozioni. Se cerco di fare impresa per fare soldi sto sbagliando qualcosa”.

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