MotoGP 2025. Nobuatsu Aoki spiega il ritorno di Honda e Yamaha: da una parte il telaio+Albesiano, dall'altra il V4

L'ex pilota e collaudatore Nobuatsu Aoki analizza la stagione 2025 delle case giapponesi: dalla rivoluzione V4 di Yamaha alle soluzioni "europee" di Honda. Due marchi storici che, pur ancora lontani dal vertice del Campionato, mostrano finalmente una mentalità più aggressiva e proattiva rispetto al recente passato
30 dicembre 2025

Non è un segreto che per i costruttori giapponesi il periodo attuale in MotoGP sia tutt'altro che semplice. Dopo anni migliori, Honda e Yamaha si trovano a inseguire i rivali europei, costrette a ripensare completamente il proprio approccio tecnico e filosofico. Ma secondo Nobuatsu Aoki, ex pilota e collaudatore di lungo corso per Suzuki e Proton KR, qualcosa sta cambiando. Nel suo ultimo approfondimento pubblicato su Young Machine, Aoki analizza la stagione 2025 delle case nipponiche individuando segnali incoraggianti, seppur timidi: per la prima volta dopo anni, si intravede una vera volontà di "attacco".

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L'approccio europeo di Honda: forcellone in carbonio

Honda ha chiuso la stagione 2025 con una leggera ripresa nelle ultime gare, ma la strada verso il vertice resta ancora in salita e costellata di incertezze. Il punto di svolta, secondo l'analisi di Aoki, è arrivato con la finalmente maturata comprensione della rigidità del telaio, un aspetto cruciale per le prestazioni della RC213V: "Probabilmente hanno finalmente capito dove è necessario ridurre la rigidità e dove invece possono farlo in sicurezza senza compromettere le prestazioni", spiega l'esperto giapponese. "Hanno imparato a individuare i punti critici dove rivedere la rigidità - diminuendola - e quelli dove invece deve essere mantenuta". Un passo avanti fondamentale dopo mesi di instabilità cronica che aveva penalizzato pesantemente i piloti della casa dell'ala dorata.

La nomina di Romano Albesiano come Direttore Tecnico si è rivelata una mossa decisiva e strategica. L'ex responsabile tecnico di Aprilia ha portato con sé non solo competenze tecniche di altissimo livello, ma anche una rete di contatti preziosi maturati negli anni con la casa di Noale: il forcellone in fibra di carbonio della Honda RC213V viene ora realizzato dallo stesso fornitore specializzato che lavora per Aprilia, un'azienda che ha accumulato anni di esperienza e know-how prezioso nel campionato del mondo.

Ed è proprio qui che emerge un dettaglio tecnico interessante: inizialmente Honda aveva optato per una soluzione più conservativa, utilizzando un forcellone ibrido con la zona di alloggiamento dell'albero della ruota posteriore realizzata in alluminio e carbonio, per garantire maggiore durabilità in un punto sottoposto a sollecitazioni enormi. Aprilia invece, con l'approccio da costruttore europeo, ha sempre utilizzato un forcellone completamente in carbonio, beneficiando di un migliore equilibrio complessivo di rigidità. "Recentemente Honda ha fatto il grande passo, scegliendo la soluzione full carbon, adottando finalmente l'approccio più audace e meno prudente tipico dei costruttori europei", nota Aoki con soddisfazione. "Per vincere serve anche questo: entrare in territori inesplorati rispetto al passato, accettare qualche rischio calcolato". Certo, questo tipo di sviluppo comporta sempre pro e contro, ma la volontà di osare è evidente.

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Yamaha: dal 4 cilindri in linea al V4

Se Honda ha compiuto passi significativi, Yamaha ha invece optato per una rivoluzione radicale che ha lasciato tutti a bocca aperta: l'abbandono del tradizionale motore 4 cilindri in linea – marchio di fabbrica inconfondibile della casa di Iwata da decenni e simbolo stesso dell'identità tecnica Yamaha – in favore di un V4. Una scelta coraggiosa quanto rischiosa, che segna una rottura netta con il passato, e i primi riscontri confermano purtroppo le difficoltà di questo passaggio epocale.

"Il motore è ancora in fase di sviluppo iniziale e la potenza viene volutamente limitata per questioni di affidabilità, per evitare rotture in gara, ma anche al di là di questo aspetto i piloti non sono soddisfatti", rivela Aoki senza mezzi termini. Il problema principale, a sorpresa, non riguarda tanto la potenza erogata quanto la distribuzione dei pesi della moto, un aspetto che influenza pesantemente il comportamento dinamico.

Il 4 in linea tradizionale di Yamaha, con i quattro cilindri disposti orizzontalmente uno accanto all'altro in fila, concentra inevitabilmente la massa del motore verso l'anteriore della moto, favorendo naturalmente il carico sulla gomma davanti – quella che è sempre stata l'arma storica e vincente delle moto di Iwata. Come sintetizza efficacemente Aoki, "è una moto che punta tutto sull'anteriore". Il V4, invece, con due cilindri posizionati davanti e due dietro secondo la classica configurazione a V, distribuisce il peso in modo intrinsecamente più equilibrato tra avantreno e retrotreno, ma proprio questo apparente vantaggio compromette paradossalmente la caratteristica vincente che ha reso grandi le Yamaha.

In teoria sembra un vantaggio avere un migliore bilanciamento anteriore-posteriore, più neutro ed equilibrato, ma in pratica si perde quello che era il punto di forza distintivo della Yamaha, se ci pensiamo un bel salto nel vuoto. Servirà ancora del tempo prezioso per capire esattamente quali aspetti specifici preoccupano maggiormente i piloti e dove intervenire, anche perché, come sottolinea Aoki, "la differenza tra configurazione in linea e V è più sottile di quanto si possa immaginare dall'esterno". Si tratta di sfumature che solo i piloti di vertice riescono a percepire chiaramente, ma che in MotoGP fanno la differenza.

Quartararo in partenza
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L'esperienza di Aoki in Suzuki

Aoki può parlare con assoluta cognizione di causa su questo tema: come collaudatore ufficiale Suzuki ha vissuto in prima persona, sulla propria pelle, il passaggio inverso rispetto a quello attuale di Yamaha, passando dal V4 della GSV-R al 4 in linea della GSX-RR nel 2015. Un'esperienza diretta che gli permette di valutare la situazione con particolare competenza. "Ripensando a quel periodo di transizione, non ho percepito grandi differenze legate alla disposizione dei cilindri", confessa con sincerità. "Né nel comportamento dinamico della moto né nelle caratteristiche di erogazione del motore. Questo perché, indipendentemente dalla configurazione scelta, quando si progetta perseguendo con determinazione gli stessi obiettivi – un handling preciso e totalmente controllabile dal pilota, una risposta perfettamente lineare dell'acceleratore al comando del gas – alla fine si arriva comunque allo stesso risultato".

L'obiettivo finale, insomma, è identico per entrambe le configurazioni: creare una moto che risponda perfettamente alle intenzioni del pilota. Suzuki all'epoca scelse strategicamente il 4 in linea non per superiori prestazioni intrinseche, ma per ragioni strategiche e commerciali ben precise: facilitare il prezioso feedback tecnologico con le moto di produzione stradale e rendere più sostenibile economicamente il programma racing. Una decisione di carattere gestionale più che ingegneristico. E la scelta si rivelò vincente sul campo, con Joan Mir campione del mondo nel 2020 proprio in sella alla GSX-RR equipaggiata con il motore 4 cilindri in linea, battendo tutti i rivali dotati di V4.

"Ovviamente parlo della mia esperienza personale di collaudatore su pista test, in condizioni controllate, e di un'epoca ormai lontana, quasi dieci anni fa", precisa Aoki con il necessario realismo. "La MotoGP di oggi è evoluta enormemente, è ancora più specializzata, estrema e competitiva rispetto ad allora, un contesto dove anche il minimo svantaggio, anche la più piccola imperfezione, diventa inaccettabile e può costarti posizioni preziose. È perfettamente comprensibile che Yamaha, dopo aver costruito e perfezionato moto per decenni attorno al 4 in linea, accumulando un bagaglio immenso di conoscenze e soluzioni tecniche specifiche, non possa ottenere risultati immediati e brillanti con il V4. Serve tempo per trasferire e adattare tutto quel know-how. Ma, realisticamente, non ha altra scelta che provarci se vuole tornare competitiva".

La strada è obbligata, anche se in salita.

Serve coraggio per tornare a vincere

La lezione che emerge dall'analisi di Aoki è tanto semplice quanto brutale: quando tutti perseguono la stessa destinazione tecnica – handling perfetto e risposta lineare del motore – non importa quale strada si scelga, l'importante è percorrerla fino in fondo con determinazione. Honda e Yamaha stanno abbandonando i loro schemi consolidati per entrare in territori inesplorati. Forcelloni in carbonio che fino a ieri sembravano troppo rischiosi, motori V4 che stravolgono decenni di filosofia progettuale: sono scelte che costano fatica, tempo e inevitabili errori iniziali.

Ma è proprio questo il punto. I costruttori giapponesi hanno smesso di giocare in difesa e hanno iniziato ad attaccare davvero, accettando il rischio che comporta ogni vera innovazione. Certo, i risultati non arrivano dall'oggi al domani. Yamaha dovrà ancora sudare per far funzionare il V4, Honda deve consolidare i progressi sul telaio. Ma la direzione è quella dell'audacia, del coraggio di cambiare pelle quando necessario.

E poi, ciliegina sulla torta, se questa audacia si traducesse in innovazioni tecniche anche sui prodotti di serie - per noi comuni mortali - non resterebbe da fare altro se non leccarsi i baffi.