I viaggi dei lettori: Sarajevo

I viaggi dei lettori: Sarajevo
Non solo un viaggio in moto, ma anche il tentativo di costruire, lungo chilometri di strada, un elogio alla diversità. Ecco perché
26 marzo 2022

Diverse, molto diverse infatti, erano le compagne di viaggio: una Harley-Davidson Nightster 1200 e una Suzuki GSR 600, ma uguale il nostro intento. Con 120 anni precisi in due (61 lui 59 io) e un'amicizia che dura dalle scuole medie, in otto giorni, abbiamo guidato per quasi quattromila chilometri sulle strade di Croazia, Bosnia e Montenegro, per correre ancora una volta dietro a un altro sogno.

Il viaggio per il viaggio, era la meta, divisa tra i nostri cuori e i motori delle poderose che hanno divorato solo le strade gialle della carta (sì ancora la vecchia carta sulla borsa da serbatoio). Hanno anche sorriso con noi su strade pressoché deserte, disegnate per guidare, anche se il fondo più che spesso scoraggiava il polso.

Tra andare e tornare, abbiamo attraversato catene di montagne brulle poi colline rigogliose di vegetazione. Ci siamo bagnati più volte nei torrenti, poi in un mare stupendo, ma l'emozione è andata oltre, ben oltre tutto quello che ci saremmo potuti aspettare dal viaggio. È successo a Sarajevo, nell'unico giorno di sosta, che volutamente avevamo deciso di dedicare a quel luogo.

Mollate le fedeli compagne di viaggio, ci incamminiamo verso il centro della città vecchia, emozionati per tutto quello che quel luogo ha rappresentato nella nostra storia recente. I segni dello strazio sono ancora visibili, ma fanno ormai parte di un passato che specialmente qui, si capisce, vuole essere dimenticato.

Per salire a piedi dalla città verso la vecchia fortezza del Bastione Giallo, percorriamo il sentiero che si snoda tra le centinaia di lapidi di un cimitero di guerra mussulmano, esili obelischi di marmo bianco, puntati dritti verso il cielo. Quasi raggiunta la cima del declivio, dove le ultime di quelle lapidi formano l'apice di un poligono irregolare di punte bianche contornato dal verde dell'erba, vediamo un uomo anziano che ne fissava una. Il suo sguardo aveva una intensità tale che ci siamo dovuti fermare, quasi fosse una barriera difficile da superare senza pagare pegno.

Accortosi che lo stavamo guardando, ha cominciato a muovere le mani, come a mimare per noi qualcosa che cadeva dall'alto indicando poi la lapide. Il nostro pensiero è corso veloce alle bombe cadute sulla città durante l'assedio. Invece, lui ci ha mostrato una pietra, che rotolata dalla sommità del declivio, aveva scalfito malamente sbattendoci contro, l'obelisco bianco della tomba che capiamo solo allora essere quella di suo figlio.

Nei suoi occhi c'erano lacrime, lacrime discrete e disperate assieme. Dicevano che non trovava il senso di questa nuova ferita, come non aveva mai trovato quello della ferita molto più profonda per la quale veniva li tutti i giorni. Oggi, a Sarajevo, il richiamo del muezin sguscia nell'aria, tra le campane della chiesa cattolica e di quella ortodossa, sotto lo sguardo di una stella di David, incisa sulla facciata di pietra di una sinagoga. Questo sì è un magnifico elogio della diversità, anche se costato il dolore tremendo di una guerra.

Raggiunto il confine tra Montenegro e Albania, torniamo su e quasi d’un fiato arriviamo a salutare le isole Incoronate, che la leggenda vuole siano una manciata di pietre gettata in mare dal Creatore proprio all’ultimo. Al momento del saluto tra noi non c’è bisogno di molte parole, in moto, nei chilometri, il pensiero approfitta della solitudine. Sappiamo però entrambi che forse un giorno potremmo anche dimenticare i colori del cielo, delle montagne, del mare, che abbiamo visto grazie alle poderose. Quell'uomo, invece, sarà con noi per sempre, quelle lacrime sono quelle di tutti noi che amiamo la vita, comunque.

Mario Vocaturo

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