Erzberg Rodeo. La sfida alla montagna di ferro

Aimone Dal Pozzo
  • di Aimone Dal Pozzo
"Ci siamo, questo è il giorno del giudizio… Il meteo resta incerto. Già sono numerosi i pensieri di primo mattino..." Ecco il racconto dell'Erzberg dal punto di vista di chi lo ha vissuto in prima persona
  • Aimone Dal Pozzo
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12 giugno 2012




La gara

Ci siamo, questo è il giorno del giudizio… Il meteo resta incerto, piove, poi sole e di nuovo piove. Già sono numerosi i pensieri di primo mattino ma il tempo ci mette del suo per rendermi ancora più indeciso…cosa mi metto? Antipioggia che poi mi sciolgo al sole o magliettina che poi muoio di freddo nella tempesta? Quali occhiali uso? Lenti a strappo, roll-off, mamma mia… Mi rivolgo diverse volte al mio compagno di viaggio, Bruno Salina di Motosprint per chiedergli come mai, avendola lui fatta già nel 2007, non avesse cercato, nelle settimane prima della gara, di dissuadermi da questa pazza idea! Mi rendo conto, allo stesso tempo, di avere un grande vantaggio nei suoi confronti, in quanto non ho la più pallida idea a cosa sto andando incontro!

L’ordinamento in griglia

Ore 10:30 iniziano le operazioni di posizionamento in griglia, bisogna muoversi. Butto dentro le ultime cose nello zainetto, carico il camel back talmente tanto che sembra un gavettone, ed inforco la mia Husaberg col numero 124. Mentre scendo verso la parte più profonda della cava chiedo umilmente perdono in anticipo alla mia moto, perché ho la sensazione che verrà un “pochino” maltrattata. Nella spianata di fondo, ci organizzano in file a seconda dei numeri sulle moto: nella prima fila dall'1 al 50 ovvero i primi 50 classificati del prologo, nella seconda dal 51 al 100 e così via. Io sono in terza fila, mi posiziono parecchio all’interno per girare al palo, o meglio, alla lattina gigante di Redbull, ma sono dentro una pozza gigante. Tra i mille pensieri che mi corrono nella testa questo non è certo quello che mi preoccupa di più.

Sono le 11:30 e tutto è pronto. Mancano ancora 30 minuti, ma la tensione sale e si fa sentire sempre di più. Esce timido un raggio di sole per aiutare le riprese aeree, ma sarà anche l’ultima volta che lo vedremo nell’arco della giornata. Il pubblico è numeroso, appollaiato sulle creste più alte che guarda giù verso la buca come gli indiani dai bordi di un canyon in un film western. La musica pompa in maniera violenta, tutti i piloti si confrontano per l’ultima volta ed io vado a guardarmi la prima salita di pietre: verticale, impestata, ma che è l’unica strada verso la salvezza.

Si parte!

Ore 12:00. Dopo un rombo di motori colossale, dovuto alle operazioni di riscaldamento delle moto, cala il silenzio, quello assoluto. La partenza infatti è tassativa a moto spenta e solo all’alzarsi della bandiera a scacchi tenuta, niente di meno che dall’inventore e patron della gara Karl Katoch, è possibile partire alla conquista del monte di ferro.

Partiti!!! Prima fila svolta la prima curva e si lancia per la salita. Passano i primi 10-15, ma in un attimo si crea un mucchio di moto e piloti in cima alla prima vetta. Figurati, penso tra di me, se han fatto mucchio i primi, chissà la mia fila! Circa un minuto dopo parte la seconda e quello davanti a me, mi fa la doccia ancora prima di partire, per fortuna gli occhiali sono salvi… anche questo gruppo si pianta, andiamo bene!

Tocca a noi: la tensione è ormai alle stelle, il limite di sopportazione è superato e solo partire può calmare gli

Le cose a cui devi stare attento sono infinite: la tua traettoria, i sassi che piombano giù, le moto ferme, quelle che scendono, quelle che salgono attaccate a te, il tutto in un caos totale... che bello!

animi. Via! La mia Husaberg non parte subitissimo ed arrivo alla prima curva a metà gruppo, viro e riparto cercando di stare fuori dai guai. A destra si forma nuovamente un bel gruppo, ma data la mia scarsa partenza riesco agevolmente a schivarlo e salire facile. Sinistra e subito a fuoco di nuovo, peggio che in una manche di cross, con l’aggravante che nei primi 100 metri ho già fatto fuori 3 lenti a strappo ed ho le braccia già dure. Via per la seconda salita, la terza e la quarta, poi di nuovo giù ed ancora su. Scorro particolarmente bene, ma le cose a cui devi stare attento sono infinite: la tua traettoria, i sassi che piombano giù, le moto ferme, quelle che scendono, quelle che salgono attaccate a te, il tutto in un caos totale... che bello!!! Ogni salita fatta è una conquista che ti fa salire l’adrenalina alle stelle, ed ogni salita successiva ti riporta immediatamente con i piedi per terra.

Il primo tappo

Ci sono quasi, sono fuori dalla cava, ma ecco che mi imbatto in una salita diventata impraticabile. Gli occhiali sono già inutilizzabili e privi di ogni visuale, in una pozza di qualche metro prima sono stato completamente cosparso di melma fangosa che mi rende difficile stare anche in sella talmente è diventata scivolosa. Ci sono già ferme un centinaio di moto ed il fumo che sale dai motori è tale da farti bruciare gli occhi. Nonostante la traettoria di salita sia unica, la fila che si è creata è difficilmente definibile come tale: chi se la sente parte a manetta sperando di rimbalzare fino in cima, creando un effetto visivo simile ai salmoni che risalgono i fiumi. Provo e riprovo anche io, nulla da fare, non si sale. Mi rimetto in posizione ancora una volta ed ad un tratto un marshall di percorso ci fa segno di deviare lungo la strada. Giro la mia Husaberg e parto a

Chi se la sente parte a manetta sperando di rimbalzare fino in cima, creando un effetto visivo simile ai salmoni che risalgono i fiumi

manetta, ma la deviazione non è tracciata e vedo moto e piloti arrampicarsi ovunque. Centro metri dopo colgo i segni del giro originario e mi fiondo senza pensieri su per l’ultima salita prima del checkpoint 1.

Fatto, arrivato, sono carico! Finalmente un tratto in piano per tirare il fiato, ma poco dopo scopro che è decisamente peggio: massi enormi da scavalcare, radici lucide come il marmo trattato e contropendenze quasi verticali mi obbligano a centellinare ogni accelerata e controllare con attenzione dove posa ogni tassello delle mie ruote. La mousse preparata sapientemente ieri dal mio meccanico “Diesel” attacca da paura ed in queste situazioni fa davvero la differenza. Finalmente sono abbastanza solo e riesco ad avanzare con un buon ritmo, ma ecco che arriva il primo spavento: dopo una pietraia faccio per mettere la seconda e non trovo più la leva del cambio… oh nooo, l’ho picchiata via e adesso come faccio? Rallento un

istante e guardo giù, rischiando nel frattempo di finire giù dal dirupo e ammiro con grande piacere che è solo rimasta incastrata chiusa…che bello, è tutto a posto!

Ancora qualche salita e discesa e mi trovo in un bosco fitto fitto dove le moto che mi hanno preceduto hanno già “usato” ogni centimetro di terra a disposizione. Quando passo io ci sono solo le radici… mi invento uno zig zag tra le piante che si rivela particolarmente efficace che mi porta fuori da quell’inferno in un batter d’occhio. Nell’ultimo tratto viene in mio soccorso anche una compagnia della spinta locale che mi aggancia la cinghia legata sulla forcella con un moschettone e corda ed inizia a tirare fortissimo, talmente forte

Viene in mio soccorso anche una compagnia della spinta locale che mi aggancia la cinghia legata sulla forcella con moschettone e corda e inizia a tirare fortissimo, talmente forte che mi sfilano la moto da sotto al sedere!!! Grandiosi!

che mi sfilano la moto da sotto al sedere!!! Grandiosi! Arrivato in cima ringrazio, offrendo birre a fine gara a tutti! Se parli il tedesco vieni aiutato, e questo pensiero me lo tengo ben presente per le prossime!

Prosegue il calvario


I checkpoint successivi scorrono bene, oltre ogni previsione, tanto che, al di là della fatica, l’umore è alto, le aspettative pure ed il divertimento è grande. Passo il 2, il 3 e pure il 4 velocemente, con la strada libera e senza tappi il percorso rimane impegnativo, ma assolutamente fattibile. Tempo di pensarlo ed ecco che scollino da un bosco e mi trovo davanti una cinquantina di moto in coda ferme. Perché mi domando? Poso la moto sul cavalletto e vado a vedere a piedi… rimango a bocca aperta. La salita successiva è verticale, non solo, ma dopo un primo strappo ha pure una sporgenza che devi in qualche modo saltare... e non ci sono alternative! Provo a farmi spazio nella coda per avanzare più velocemente, ma vengo subito messo al mio posto. Anzi, vedendo chi mi precede apprendo che esiste una gerarchia insita nella coda dell’Erzbergrodeo che sancisce che chi non sale al primo colpo deve rimettersi in fondo alla coda. Sbagliare non è un’opzione quindi.

Tocca a me: inserisco la moto nel canale scavato dalle sgasate, indietreggio a spinta più che posso cercando di non cadere di sotto all’indietro, inserisco la prima, ricontrollo con il piede che sia inserita a dovere, stringo

gambe piedi, mani e fondoschiena a più non posso e parto a manetta per la verticale…scarto, rimbalzo, riattacco, salto eeee... sono su!!! Sono ancora più carico e soprattutto contento di essere su al primo colpo senza aiuto. In queste situazioni, sbagliare un passaggio ti può costare, oltre che un mare di tempo, anche un’infinità di fatica!

Il tratto seguente è davvero impossibile da fare in moto, stare in piedi è già un'impresa. Mi affido alle proposte indecenti, offrendo birre a destra e a manca e con diversi strattoni e spinte riesco ad arrivare in cima anche qui, altro checkpoint, ma ho perso il conto. Da qui torno a scorrere in maniera fluida, il sentiero è più enduristico anziché estremo fino ad una discesa che è assolutamente verticale. Impossibile da fare in moto, unica alternativa è quella di scivolare a fianco della moto. In fondo, c’è già un ragazzo con una Suzuki che è appena rotolato giù. Inizio la discesa, parto piano piano, ma i tentativi di tenere la moto sono a dir poco ridicoli. Rotolo fino in fondo, la mia Husaberg mi segue a ruota, fino a schiantare contro il ragazzo della Suzuki che mi guarda con una discreta disapprovazione… contraccambio con un “grazie, mi hai salvato, ti

Rotolo fino in fondo, la mia Husaberg mi segue a ruota, fino a schiantare conto il ragazzo della Suzuki che mi guarda con una discreta disapprovazione…contraccambio con un “grazie, mi hai salvato, ti devo una birra!”

devo una birra!” Cercando di recuperare il misfatto lo aiuto a rialzarsi, ci incastriamo, cadiamo di nuovo, ho capito che questo mi odia… Prendo allora il mio mezzo e quatto quatto riparto per la via crucis. Si ritorna poco dopo su una strada e di lì in avanti qualche chilometro di respiro che mi consente di ciucciare l’anima dal mia camel back.

La salita detta: The machin


Ne avevo sentito parlare, l’avevo anche intravista durante il giro di ricognizione del prologo e sinceramente non mi sembrava impossibile, pur essendo un’area dove è vietato l’aiuto esterno. In gara ci arrivo ad 1:30 dallo scadere del tempo regolamentare, con l’ambizione di salire in una quindicina di minuti. Ma quando ci arrivo trovo una trentina di moto a metà salita incastrate una sopra l’altra, nessuno si muove, tutto è fermo. Aspetto un attimo per escogitare una soluzione alternativa, ma non c’è nulla da fare. Abbasso la testa ed inizio a spingere, in cima c’è il checkpoint 7 e lo voglio a tutti i costi! Tira, alza, sposta, spingi e dopo quaranta minuti sono ancora a metà… il problema è che bisogna passare di qui, ma chi è davanti non si muove. Decido di mollare la moto, salire qualche livello ed aiutare chi mi sta davanti per levarlo di mezzo. Nel frattempo però chi è rimasto sotto di me vede lo spazio e passa addirittura sopra la mia moto! Ah no eh! Con tutte le forze me la metto quasi in spalla e salgo per la machin. Inizia a diluviare, assieme ad una compilation di lampi e di lì a poco l’omino a guardia del checkpoint, che ormai era a dieci metri, alza le braccia ed urla “tutto finito, gara terminata, tornate al paddock”. Ma come, non è possibile! Ed invece sì, a causa del tempo la gara viene sospesa con mezz’ora d’anticipo rispetto alle quattro ore canoniche, rendendo vana la mia ultima ora di sofferenza.

Esperienza indimenticabile


Mentre scendo verso il campo base sotto al diluvio universale, rifletto sulla mia gara e nonostante l’interruzione prematura, sono davvero divertito e contento! E’ un’esperienza davvero unica, difficile da trasmettere come positiva se si vedono le immagini ed i filmanti di sofferenza e fatica, ma la sfida con il monte di ferro è qualcosa di magico, unico! Più vai avanti è più lui ti sfida, più vai avanti e più tu ti senti

figo!

La magia non avviene subito, perché quando sei lì, continui a chiederti cosa diavolo avevi per la testa quando hai pensato di partecipare, ed oggi, il giorno dopo, ogni muscolo ti ricorda quanto lo hai fatto faticare, ma sono certo che tra qualche giorno, è un’esperienza talmente bella e forte che la mia mente ci tornerà continuamente e mi pruderanno già le mani per tornare nel 2013!


Grazie


Un sentito ringraziamento a KTM per il supporto logistico nelle persone di Paolo Carrubba ed Eva Priewasser, Arnaldo Nicoli per la preparazione della moto, a Christian Diesslbacher, detto Diesel, per l’assistenza tecnica in loco, al mitico Pierangelo Leoni, detto il DeCoster di Bergamo, per non avermi fatto mancare nulla come suggerimenti, incitamenti e consigli sulla gara. Infine alla Husaberg 250 numero 124 che mi ha portato a casa sano e salvo.
 

Ciao Erzberg, alla prossima!
 

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