Moto(.it) e Cinema, un film al giorno: "La grande fuga"

Moto(.it) e Cinema, un film al giorno: "La grande fuga"
Marco Berti Quattrini
La fuga è solo un'altra faccia della libertà. Steve McQueen ovviamente la cerca in sella ad una moto
6 settembre 2019

La moto e il cinema, la moto e la libertà. Stiamo girando intorno a questo triangolo da qualche giorno, da quando abbiamo deciso di raccontare - in omaggio al Festival del Cinema di Venezia - il rapporto tra due ruote e i film. Oggi prima del salto di Steve McQueen capiamo il legame tra film, due ruote e libertà. Per farlo scomodiamo l'ABC della filosofia greca che ci insegna che si può trovare il perché di un fatto in due modi: cercando la sua origine nello scopo che ha, oppure nelle cause che lo hanno generato. 

"Quando chiediamo « perché?» riguardo ad un fatto, possiamo intendere: «A quale scopo sarà accaduto questo fatto?» oppure: «Quali precedenti circostanze lo hanno causato?» La risposta alla prima domanda è una spiegazione teleologica, ossia una spiegazione per mezzo delle cause finali; la risposta alla seconda domanda è una spiegazione meccanicistica". Cit.**

Riportando tutto alle moto e alla libertà, potremmo sfilosofeggiare riassumendo che: o siamo liberi perché ci siamo messi in sella oppure che stiamo guidando una moto per raggiungere la libertà. Nel primo caso stiamo sulla strada dei road movie: di "Easy Rider" o di "Best Bar in America". Nel secondo invece, quando la libertà è lo scopo, allora possiamo parlare di "fuga".

E così torniamo a "La grande fuga" e a una moto usata per raggiungere la liberà e addirittura per volare fisicamente oltre le barriere (il filo spinato) o almeno per provarci. Perché alla fine di quei cinque minuti di inseguimento sui verdi campi al confine con la Svizzera McQueen e la sua Triumph non riescono nell'impresa.

Di questa pellicola ne avevamo già parlato quasi dieci anni fa, la penna è di Maurizio Tanca.

Tra la libertà e il capitano Virgil Hilts ci sono solo pochi metri presidiati da una doppia barriera di filo spinato, sul confine tra la Svizzera e il Terzo Reich. Una rapida valutazione, un paio di sgasate nervose, poi la decisione: giocarsi il tutto per tutto saltando in moto. Ma il filo spinato è troppo anche per un tipo come Hilts: cade, resta intrappolato e viene catturato dai soldati tedeschi che lo inseguivano da un bel pezzo. La sequenza è fra le più iconiche della storia del cinema. 

Solo uno come Steve McQueen avrebbe potuto interpretarla, lui che si definiva un pilota prestato alla carriera di attore. Inutile dilungarsi sulla sua figura, piuttosto sovraesposta negli ultimi tempi. È più interessante sapere che quella scena è il frutto di una serie di stratagemmi, di “falsi storici” molto efficaci. Nonostante il parere contrario della produzione, di nascosto McQueen tentò davvero di saltare il filo spinato da una rampa di terra battuta, in terza marcia e gas tutto aperto. 

Dopo qualche caduta, passò il manubrio all’amico pilota Bud Ekins, voluto come stuntman e controfigura dallo stesso McQueen. Al primo ciak, Ekins saltò in quarta piena per 20 metri a un’altezza di quasi 3, su quella che sembra una BMW, o una DKW militare tedesca. In realtà si tratta di una Triumph TT 650 del ’61 da fuoristrada, camuffata in grigioverde dalla produzione: su una BMW della Wehrmacht, massiccia e pesante, nemmeno a Ekins sarebbe riuscito quel salto.


Da "Lo spaventapasseri" ai giorni nostri le due ruote sono in molte pellicole lo strumento per raggiungere la libertà. Ci sono inseguimenti spettacolari in diversi film d'azione: da Matrix a Mission Impossible, senza dimenticare ovviamente i vari 007. Di grandi fughe la storia del cinema è piena, ma quella di "The Great Escape" è indimenticabile.


** da: Bertrand Russell - Storia della filosofia occidentale, 1948

Caricamento commenti...