Indian Motorcycle design: "Il nostro limite è il cielo"

  • di Giulia Toninelli
Al MOARD di Milano i designer di Indian Motorcycle, Ola Stenegard, Richard Christoph e Bartek Krawczykowski, sono stati protagonisti di un talk nel salotto di Moto.it. L’intervista integrale sulla nostra IGTV
  • di Giulia Toninelli
6 maggio 2019

Futuro, mobilità urbana, creatività e voglia di non crescere mai. I designer Ola Stenegard, Richard Christoph e Bartek Krawczykowski hanno parlato (qui l'intervista completa su IGTV) di questo e di molto altro al MOARD di Milano, in una tripla intervista organizzata da Moto.it durante la seconda giornata del salone.

Dopo un primo giorno in cui sono stati ospiti attori e imprenditori visionari, il secondo pomeriggio di MOARD ha visto protagonista la creatività dei designer delle "due ruote" (qui l'intervista a Giovanni Antonacci, Ducati).

Iniziamo con Ola Stenegard: tu sei arrivato all’apice della customizzazione con il tuo lavoro in BMW, e poi sei passato in Indian Motorcycle, perché?

O.S. «Ho lavorato in BMW per 12 anni, ma in realtà molti anni fa avevo già lavorato per Indian. Ho conosciuto i ragazzi che lavoravano lì, che facevano cose molto stimolanti, e quando ho ricevuto un’offerta ho deciso di tornarci. È una sfida, e io volevo contribuire a questo progetto che già da prima del mio arrivo era parecchio interessante».

Richard Christoph, com’è cambiata Indian in questi ultimi anni?

R.C. «È cambiata molto e credo che sia cresciuta e migliorata. Abbiamo incrementato il nostro prodotto verso la vendita e la visione globale».

Secondo te come sta cambiando la customizzazione oggi?

R.C. «Per un designer come me, l'obbiettivo di creare una moto customizzabile è quello di creare un prodotto che funzioni e che sia fruibile al cento per cento, come se fosse una tela bianca. In questo modo l'utente può fare sua la moto e crearci un legame, anche emotivo. Ad oggi l'importante per me è far sì che il cliente abbia quello spazio bianco nel quale muoversi liberamente, e creare la propria moto su misura. Indian sta puntando proprio su questo: ideare la miglior "tela bianca" possibile».

Una domanda per Bartek Krawczykowski, che è un po' il futuro di Indian: che cosa c'è nel domani dell'azienda, e in quello del mondo della customizzazione?

B.K. «Credo che il nostro prodotto sia l'espressione massima di quella che è la customizzazione del futuro. È un settore che noi stiamo cercando di esplorare e vogliamo continuare in questa direzione. La customizzazione è sempre stata un po’ il marchio di fabbrica delle motociclette americane, ma ad oggi tutti vogliono una sorta di customizzazione, vogliono rivedersi nella propria moto. Noi vogliamo raggiungere questo livello di totalità nel modo più facile ed elegante possibile».

Voi invece come vedete questo futuro?

R.C. «Con la FTR 1200 Indian abbiamo probabilmente aperto una sorta di nuovo segmento del mercato e, così come si apre una porta, all’interno si svelano contemporaneamente diversi particolari che ognuno può leggere a proprio modo. In questo modo si arriva a un livello di customizzazione che secondo noi è il futuro, un processo che vogliamo raggiungere sia attraverso la qualità dei prodotti che attraverso la singolarità del nostro brand. Ma il limite è il cielo: non ci sono dei paletti per il futuro, vogliamo semplicemente arrivarci nel miglior modo possibile».

O.S. «Anche secondo me l’ultima creazione di Indian è perfetta per aprire, in questo senso, nuovi mercati. Comunque è elettrizzante lavorare con un prodotto americano per il mercato globale, visto che vogliamo mantenere il nostro stile ma vogliamo sempre implementare il nostro mercato e far conoscere il marchio. In questo momento la FTR 1200 è il simbolo perfetto del nostro tentativo di far conoscere Indian come un brand mondiale, non solo americano».

Per voi che realizzate prodotti poco cittadini, cosa significa il futuro della mobilità urbana?

O.S. «È una domanda molto difficile. Le nostre moto nascono per la clientela americana, ma per esempio la FTR 1200 si inserisce bene nella mobilità urbana delle città europee. Poi sicuramente bisogna fare una distinzione tra moto e scooter o altri mezzi che vengono utilizzati in città, come, ad esempio, tutto il campo dell’elettrico. Questi sono argomenti che vanno tenuti d’occhio, soprattutto perché lo sviluppo degli ultimi anni si sta muovendo in modo molto veloce. Sono cose alle quali sicuramente pensiamo, ma per il momento non possiamo dire niente».

R.C. «La FTR è nata nel mondo delle corse e per le corse, anche come estetica, ma nella realtà dei fatti si tratta di una moto che va benissimo in pista, sulle colline italiane e sulle strade aperte americane. Quindi è un prodotto che in questo senso fa già un primo passo verso la mobilità urbana, e che proietta in avanti l’idea di quelli che potrebbero essere progetti futuri più urbani. È un buon primo compromesso, in questo senso».

Sarà possibile vedere una e-bike nel vostro futuro?

O.S. «Non posso dirvi niente di preciso, perché si tratta della nostra politica aziendale, ma oggi siamo in un mondo e in una società che stanno cambiando in fretta: sostenibilità, restrizioni nel campo delle emissioni, sharing… È impossibile non avere nel radar questo tipo di mobilità, però non posso dire sì o no».

Qual è la parte del processo creativo che preferite?

O.S. «Ci saranno sicuramente tre risposte diverse a questa domanda perché veniamo da settori diversi dello sviluppo stilistico del prodotto. Essendo io a un livello più direttivo all’interno dell’azienda, la mia parte preferita è quella che consiste nel cercare nuove strade e capire in che direzione può inserirsi il nuovo progetto».

R.C. «La mia parte preferita invece è il processo creativo in senso puro. Il lasciarsi ispirare da qualsiasi cosa e poi disegnare e creare la mia versione personale del prodotto. La parte più complicata, ma anche interessante di questo momento, è rimanere coerenti con il brand e rimanere onesti e legati all’idea iniziale».

B.K. «Come diceva Richard, la parte più bella secondo me è quella creativa, ma anche quella di ricerca e sviluppo dell’ispirazione. Chiaramente, in questo senso la soddisfazione più grande arriva quando il prodotto finito è come quello che ti aspetti quando riesci a coniugare il fattibile con l’idea madre che arriva dal primo bozzetto».

Dove trovate l’ispirazione per guardare sempre avanti ed essere curiosi?

R.C. «Sono molto fortunato, perché credo di essere nato con una mente che cerca continuamente di cogliere cose nuove. Quindi trovare ispirazione per me non è difficile, perché ogni giorno guardo a qualcosa di nuovo. Contemporaneamente sono molto appassionato alle "due ruote", quindi questo mix mi dà modo di avere le idee e di arrivare al prodotto finale».

B.K. «Siamo designer, quindi di base abbiamo la voglia e la curiosità di andare a cercare, anche in altri mondi, motivi di ispirazione. Ma soprattutto siamo persone, quindi abbiamo degli hobby e spesso sono proprio le cose che ci piacciono quelle che ci affascinano e ci danno l’idea».

O.S. «Per me sono essenzialmente tre cose. La prima è la passione per questi cavalli meccanici, che sono ammassi di pezzi bellissimi e veloci. La seconda sono le persone che ruotano intorno al mondo delle moto: persone diverse, che in ogni caso portano qualcosa di nuovo. L’ultima è il fatto che fare questo lavoro mi diverte, perché alla fine faccio la stessa cosa che facevo quando ero piccolo, ma adesso vengono anche pagato».

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