Harley-Davidson e Trump, la storia infinita. Capitolo 3: Europa, il terzo incomodo

Harley-Davidson e Trump, la storia infinita. Capitolo 3: Europa, il terzo incomodo
Maurizio Gissi
  • di Maurizio Gissi
Alla politica commerciale USA risponde l’Unione Europea. Alla fine a rimetterci sono in molti, da un lato all’altro dell’Atlantico, e Harley-Davidson viene bacchettata in casa
  • Maurizio Gissi
  • di Maurizio Gissi
21 giugno 2019

Come abbiamo già visto, in seguito alle nuove minacce di innalzamento dei dazi americani su acciaio (al 25%) e alluminio (al 10%), materiali importati negli Stati Uniti da Canada, Messico, Cina ed Europa l’Unione Europea preparò nel marzo 2018 delle contromisure sui prodotti americani. Si trattava di una contromossa nel caso la minaccia di Trump si fosse concretizzata e, quando ciò avvenne, finirono per essere penalizzate anche le moto Harley-Davidson: le moto americane superiori ai 500 cc videro infatti le tariffe di importazione passare dal 10 al 25%.

Il principio di difesa dal protezionismo americano (che da parte sua aveva fino a quel momento dazi molto bassi su tutto e proprio da questo squilibrio nasceva la rivendicazione trumpiana) venne ribadito dal commissario per il commercio europeo Cecilia Malmström quando la UE annunciò nuove tasse d’importazione del 25% su alcune merci simbolo del made in USA per un valore di 6,4 miliardi di euro. Il tutto rispettando le regole del WTO in merito al riequilibrio commerciale. Il provvedimento europeo sarebbe potuto scattare senza l’autorizzazione della stessa Organizzazione Mondiale del Commercio, poiché si sarebbe trattato della metà di quanto l’industria siderurgica europea esportava all’epoca negli Stati Uniti.

La guerra sui dazi del 2018, restando nel settore delle due ruote, rischiò di penalizzare tanto le marche motociclistiche europee quanto la Harley-Davidson.

Da anni la casa di Milwaukee piazza in Europa oltre il 15% delle proprie vendite, mentre le industrie motociclistiche del nostro continente esportano negli USA – che rimane il nostro primo mercato straniero del settore - poco meno del 30% dell’export totale. Sono circa 500 milioni di euro più altri 140 in componentistica e ricambi.

In quella occasione il presidente dell'associazione dei costruttori europei del settore motociclistico (l’Acem, che raggruppa 17 aziende e altrettante associazioni nazionali di settore, e che rappresenta le americane Harley-Davidson, Polaris Industries e la canadese Bombardier proprietaria di due stabilimenti negli Stati Uniti) Stefan Pierer affermò: «Le aziende motociclistiche sono attori internazionali coinvolti in accordi commerciali liberi ed equilibrati. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea dovrebbero cooperare per facilitare il commercio internazionale e per giungere a una convergenza sul piano normativo: non dovrebbero limitare gli scambi adottando misure unilaterali, motivate da ragioni politiche».

Il portavoce della Casa Bianca Paul Ryan durante il suo intervento nello stabilimento Harley-Davidson di Menomonee Falls
Il portavoce della Casa Bianca Paul Ryan durante il suo intervento nello stabilimento Harley-Davidson di Menomonee Falls

Il matrimonio fra Donald Trump e l’Harley-Davidson è durato insomma poco, nonostante lo slogan American First della campagna presidenziale, una volta varati i dazi su alcune merci europee.

Nel settembre 2017 il portavoce della Casa Bianca Paul Ryan aveva scelto lo stabilimento Harley-Davidson di Menomonee Falls, nel Wisconsin, per promuovere la riforma fiscale voluta dal Presidente. Lo stesso Trump aveva incontrato a febbraio 2018 i vertici di Harley-Davidson spendendo parole di elogio per l’icona americana della motocicletta, e ringraziando per il fatto di costruire in patria.

Ma già a maggio arrivarono le prime critiche ai vertici di Milwaukee, da parte inizialmente di alcuni organi di stampa: colpevoli di aver beneficiato di una riduzione delle imposte sulle imprese dal 35 al 21%, grazie ai tagli voluti del governo Trump, Harley-Davidson aveva annunciato il taglio di 800 dipendenti della fabbrica di Kansas City. Proprio mentre stanziava un piano di riacquisto azioni, e aumento dei dividendi, di 696 milioni di dollari.
E’ pur vero che H-D si impegnava a 350 nuove assunzioni per lo stabilimento di York (Pennsylvania), ma contemporaneamente comunicava l’apertura di un nuovo stabilimento in Thailandia: una scelta presa in funzione dello sviluppo dei mercati di quell’area (nei quali H-D cresceva del 12%), utile anche ad aggirare i dazi europei arrivati come contromisura a quelli americani.

E non finisce qui perché recentemente Matt Levatich ha parlato di un nuovo impianto produttivo da realizzare in Europa, mentre è di ieri l'annuncio di un accordo con la cinese Qianjiang per costruire modelli di piccola cilindrata. Ma questo sarà argomento del prossimo capitolo.
(Segue)

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