Nico Cereghini: "Il Mali era la bellezza della Dakar"

Nico Cereghini: "Il Mali era la bellezza della Dakar"
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Mi fa effetto vedere che oggi il Sahel è il teatro di una guerra, e nella mia testa si confondono le tragedie africane e quelle del rally, di qua e di là dall’Atlantico | N. Cereghini
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
15 gennaio 2013

 
Ciao a tutti! In questo periodo faccio fatica ad orientarmi: arrivano brutte notizie sia dalla Dakar sia dal Mali, le une di carattere sportivo e le altre politico, e nella mia testa le cose si confondono. Perché ai miei tempi il Mali “era” la Dakar, era forse il posto più bello e caratteristico del rally; e purtroppo la morte è la morte. Le terribili immagini di quel povero ragazzo che si è fracassato sabato scorso con la sua KTM contro la macchina dei Carabineros cileni, si sovrappongono a quelle dell’avanzata francese nel nord Africa –in appoggio al governo locale minacciato dagli integralisti- per riprendere Konna, non lontano da Mopti dove si faceva tappa con Orioli De Petri Picco e Teruzzi.

Le autorità dicono che si sia addormentato nel lungo trasferimento, invadendo la carreggiata opposta, ma una foto dell’auto coinvolta, di traverso sulla strada, fa pensare piuttosto ad una inversione tentata dai Carabineros

Come si farà ad ottenere giustizia per il più giovane motociclista, che era esordiente alla Dakar? Le autorità dicono che si sia addormentato nel lungo trasferimento, invadendo la carreggiata opposta, ma una foto dell’auto coinvolta, di traverso sulla strada, fa pensare piuttosto ad una inversione tentata dai carabineros. E di sicuro Thomas non dormiva: raccontano di una lunga striscia nera sull’asfalto, a documentare il suo disperato tentativo di frenare. Mi torna in mente il povero Gilles Lalay, morto contro un’ambulanza nel 1992, al quale ero affezionato; ma mi compaiono davanti anche le espressioni felici di Giampaolo Marinoni, di Fabrizio Meoni, di tanti altri che erano pieni di energia e si sono fermati lì. Consola –diciamo tra noi- la consapevolezza che Fabrizio e compagni stavano facendo quello che più amavano; e allora come sempre andiamo avanti con la convinzione (forse assolutoria) che si debba e si possa lavorare sulla sicurezza, e questo basti per seguitare ad amare il nostro sport.

 
Ma le tante morti che i questi giorni funesteranno il Mali, il nostro Mali sconvolto dalla guerra, sono forse ancora più difficili da accettare. Abbiamo conosciuto quella gente, siamo stati nei giardini di Tessalit, sulle piste che portano a Gao, tra le meraviglie architettoniche di Tombouctou. Abbiamo cenato nei freschi ristoranti della capitale Bamako, conosciuto molti maliani e anche tanti europei che sono là per validi progetti di cooperazione. Ora la guerra, leggo che Al Qaeda minaccia Parigi ma chissà poi se è vero; di certo la Francia mantiene tuttora rapporti stretti con i governi delle sue ex-colonie (6.000 francesi solo a Bamako), e immagino che gli interessi economici in gioco siano anche superiori a quelli politici. Ma il Mali era ed è considerato uno dei posti più poveri del mondo, minime risorse; era pacifico, allora, non come la confinante e integralista Mauritania che nel ’91, quando scoppiò la guerra del Golfo, ospitò per qualche tempo i familiari di Saddam Hussein. Noi per caso eravamo proprio là, e per una giornata intera la carovana della Dakar fu trattenuta nei confini con dei pretesti, praticamente in ostaggio. C’era molta tensione.

Ora chissà quanta gente morirà, la guerra non fa sconti ed è spesso contagiosa.
A Parigi c’è la paura che Al Qaeda compia attacchi anche sul suolo francese.


Foto: dal Web

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