Dakar 2014, Rest Day. L’Intervista a Paolo Ceci

Dakar 2014, Rest Day. L’Intervista a Paolo Ceci
Piero Batini
  • di Piero Batini
È il migliore dei due soli italiani rimasti in gara con le moto. Ma Paolo Ceci non si preoccupa del risultato. Il suo compito è assistere Juan-Carlos Salvatierra, che ha già avuto bisogno di un paio d’interventi | P. Batini
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
11 gennaio 2014

 

Salta, 11 Gennaio. Giornata di Riposo. E anche di bilanci, di impressioni. Spesso e per molti è un giorno estremamente caotico, nel quale anche il recupero fisico è difficile o ridotto al minimo. In questo caso, vista la micidiale sequenza di tappe che lo ha preceduto, è un giorno talmente agognato che viene sfruttato in ogni caso. Del resto, dopo tre giorni come quelli appena passati, anche starsene fermi in uno stesso posto, e magari dormire in piedi come un cavallo, ma avere da mangiare e non dover vedere l’acqua come un miraggio, è già moltissimo. Paolo Ceci, assistenza veloce con una SpeedBrain ufficiale del boliviano “Chavo” Salvatierra, 25° assoluto e con una classifica che deve essere rivista in suo favore per un errore di giudizio di una penalità, quasi se la gode, e fa di tutto per ricaricare le batterie in vista della settimana conclusiva della sua terza Dakar.
 

«Tutto a posto. Un po’ stanchino ma tutto bene, tranne che secondo me gli organizzatori si sono lasciati scappare un po’ la mano. Ve bene, la Dakar è la Dakar, ma hanno fatto qualche errore. Io penso che Eric Palante sia morto perché era disidratato. In quella tappa sono rimasti dentro in tanti, e io quando sono uscito dal tratto brutto avevo finito l’acqua e avevo ancora un’infinità di chilometri da fare. Mi sono fermato tre volte a chiedere da bere. È stata anche una escalation. Capisco ora perché l’hanno chiamata “Odissea”. Allucinante, inimmaginabile. Gli appassionati ricordano le Dakar “classiche” con 600 km di speciale, oggi magari sono la metà, ma senza un attimo di respiro. Se continuano a farla così, è una gara che gli amatori non possono più fare, a meno che non si allenino almeno da semi-professionisti. Uno che si allena poco e gira in moto una volta alla settimana, la Dakar non la può più fare. È dura per tutti, del resto. Sono tre giorni che finisco l’acqua e fa un caldo pazzesco, nella quinta sono stati misurati 51 gradi. Alla Dakar, d’accordo, c’è dentro un po’ di tutto, ma già la terza tappa era esagerata. Ci hanno fatto fare quella trialera a 4.300 metri di altitudine, sono riuscito a salire solo alla quarta volta. E non sono proprio l’ultimo arrivato! Quando sono arrivato ai quattromilatré ero morto. E poi, che hanno fatto? Ci hanno messo della navigazione! Fai conto, una vetta, “pelata”, con pendenze da tutte le parti, e lì ti danno un waypoint a sei chilometri, un wp che devi trovare, masqué, che si “apre” quando entri negli 800 metri. Solo un cap, una direzione, e sei chilometri nei quali devi salire e scendere più volte, sempre a quelle altitudini. Basta che sbagli di un pelo, e scendi nella vallata sbagliata, dopo non risali più. È il problema che hanno avuto in tanti, compresi i Brioschi, per esempio, ma anche Sunderland, Pedrero, Gonçalves e via dicendo. Secondo me è stato esagerato, potevano mettere il wp, ma non mascherato. Io non ho sbagliato, ma solo perché quando sono arrivato lì mi sono reso subito conto che dovevo prenderla con la massima calma per non fare stupidaggini. Mi rendevo conto che una volta sceso non sarei risalito mai più».
 

Ma finalmente sei al bivacco di Salta, puoi fare un bilancio che, credo, sia positivo…
«Tutto sommato, sono contento di essere arrivato a Salta, perché è stata veramente dura. L’unico rammarico che ho è che dopo la seconda tappa, quando mi sono fermato ad aiutare il mio compagno di squadra, sono rimasto un po’ indietro, e di conseguenza a soffrire molto la polvere. Nella quinta e sesta tappa ho viaggiato costantemente in una nuvola, e la sesta era una di quelle tappe nella quale, se fossi partito più avanti, mi sarei divertito e avrei potuto anche pensare a fare un buon risultato. Ma non è il risultato che mi preoccupa, quanto il disagio di correre in condizioni critiche. Ma è un dettaglio, in effetti sono molto contento, perché sto facendo, credo bene, il mio “lavoro”. Sono già riuscito a dare una mano a Juan-Carlos in un paio di occasioni, altrimenti avrebbe avuto il suo bel da fare per proseguire, e allo stesso tempo sono contento di essere qui perché quest’anno è veramente una Dakar ad eliminazione. Devi stare lì con la testa e non sbagliare niente per arrivare tutti i giorni».

Quest’anno è veramente una Dakar ad eliminazione. Devi stare lì con la testa e non sbagliare niente per arrivare tutti i giorni


Che atmosfera c’è al bivacco?

«Diciamo che non è un clima rilassatissimo, tra i Piloti, sì, c’è sempre un ottimo rapporto, ma non è rilassato perché effettivamente ci hanno massacrato, anche i primi. Ricordo che alla Dakar del 2012, che pure era dura, si arrivava sempre alle tre, quattro del pomeriggio. Adesso quando ti va bene sei al bivacco alle cinque, sei, e anche oltre. Una sera sono arrivato alle sette. C’è gente che continua ad arrivare alle due, tre di notte. Nelle Dakar sudamericane non era mai successo, a meno che non fosse intervenuto un problema».
 

E i big, come li vedi?
«Vedo Coma che continua a non sbagliare niente, sempre, e che sta andando molto bene. Despres, al contrario, non l’ho visto rilassatissimo. Poi ha fatto quel grave errore di navigazione. Obiettivamente non era facile trovare quel waypoint, ma io l’ho trovato. C’era da seguire un cap, 57 gradi, e lui insieme ad altri ha seguito la traccia sbagliata a 40 gradi. Io sono andato dietro a loro perché non mi sentivo di avventurarmi da solo in quel m…daio e rimanerci dentro. Alla fine eravamo troppo a sinistra, e io mi sono buttato a destra e sono riuscito a trovarlo. Vedo bene Viladoms, che sbaglia pochissimo, e Barreda lo vedo molto bene, e secondo me, è ancora in gara. Secondo me va più veloce di Coma. Ha veramente una marcia in più. Il suo problema è, forse, che non riesce ad amministrarsi. Se riuscisse a farlo vincerebbe guidando con una mano sola. È così, è bravissimo, ma non ancora maturo. Ma penso che ci arriverà. Immagino che oggi anche per i suoi del Team sia difficile tenerlo buono!
Peccato per Chaleco che è fuori, ma gli è andata molto bene. È volato di sotto in un burrone che, quando sono arrivato e ho visto l’elicottero, mi ha preso male. C’era la polvere, d’accordo, ma era una curva a novanta gradi secca, con un pericolo di livello almeno 3, invece indicato come 1. Gli altri, direi che sono ormai fuori».
 

Come vedi la seconda parte della corsa?
«Adesso, almeno teoricamente, dovrebbe essere un po’ più scorrevole. Me lo auguro. L’Argentina è sempre stata la parte più dura, mi auguro che sia così anche quest’anno, altrimenti c’è da spararsi».
 

Bolivia, che cosa ti aspetti?
«Le due tappe sono molto lunghe. Abbiamo un problema di altitudine, e l’incognita meteo. Dicono che potrebbe piovere, e farsi 4 o 500 km sotto l’acqua non sarebbe una meraviglia!».
 

Come passi la tua giornata di riposo?
«Tranquillo in Hotel. Ho dormito abbastanza e me ne sto rilassato. Devo risistemare le mie borse, perché in questi giorni non c’era tempo di riordinare le cose e ho fatto un casino. Non riuscivo a trovare più niente. Poi vado a mangiare qualcosa al ristorante, in perfetta tranquillità, e quindi torno al bivacco perché alle 4 ci consegnano il road book e lo devo preparare. Poi cena, massaggio e a letto presto, perché la gara riprende
prestissimo, sveglia alle 3 e mezza».


E Luca Viglio, il tuo “collega scampato”?

«L’ho visto quasi tutte le sere. Cerco di tenerlo su di morale, ma ho visto che è uno bello tenace. Soffre molto, ma credo che, arrivato a Salta, anche per lui le cose andranno molto meglio. L’altro giorno si è fermato a dormire tre volte, mezz’ora, e altre volte per chieder acqua alla gente, non ce la faceva più. La “famosa” quinta tappa, che è costata cara anche a Catanese, anche lui disidratato. Ha rischiato grosso, pare che gli abbiamo trovato la pressione a… 8. Era praticamente morto».


Moto e team?
«Tutto bene, la moto va bene e forte. Ho avuto un problema il secondo giorno, al cambio, e ho cambiato il motore, poi più niente da segnalare. Mi dispiace per Botturi, che ha rotto la frizione. Gli ho dato un disco anche io, ma non c’è stato niente da fare. Il Team è perfetto, sta lavorando alla grande».


E allora avanti tutta!

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