Le sospensioni posteriori. (Seconda parte)

Le sospensioni posteriori. (Seconda parte)
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
L’affermazione dei forcelloni oscillanti è stata accompagnata da alcune interessanti “variazioni sul tema”. Da Moto Guzzi a Bimota
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
3 aprile 2018

Dopo la prima puntata sulle sospensioni posteriori, proseguiamo l’argomento guardando ad altri esempi interessanti.
Passati alcuni anni nei quali il sistema a ruota guidata lo ha contrastato in apprezzabile misura, quello a forcellone oscillante si è imposto universalmente per la sua razionalità e la sua funzionalità. In questo caso, durante l’escursione molleggiante l’asse della ruota si muove secondo un arco di cerchio.
Le variazioni di tensione della catena sono dovute al fatto che il pignone non si trova sullo stesso asse del fulcro del forcellone, ma è leggermente spostato in avanti rispetto ad esso. Di conseguenza, mano a mano che la sospensione si comprime, diminuisce la distanza tra l’asse del pignone e quello della ruota, e quindi anche la tensione della catena.

Questa variazione non si avrebbe solo se il pignone e il fulcro del forcellone fossero coassiali, e in effetti alcuni costruttori hanno proposto questa soluzione su certi loro modelli. Vanno ricordate la Suzuki Bimota SB 2, apparsa nel 1977, e la BMW G450X di una decina di anni fa.
Ci sono stati anche rari casi nei quali il motore oscillava assieme al forcellone (Imme 98, Victoria Swing, Idroflex), con il quale faceva corpo unico. Ciò evitava variazioni di tensione della catena, o consentiva di impiegare un albero di trasmissione privo di giunti cardanici (IMN Rocket 200, costruito in pochissimi esemplari nel 1957-58).
Dunque, nella classica sospensione posteriore a forcellone oscillante la tensione della catena è massima quando risultano allineati gli assi del pignone, del fulcro del forcellone e della ruota. È ovvio che la variazione di tensione durante l’escursione molleggiante aumenta al crescere della distanza tra i primi due.

 

Nella IMN Rocket il motore a due cilindri contrapposti oscillava assieme al forcellone, in un braccio del quale era alloggiato l’albero di trasmissione
Nella IMN Rocket il motore a due cilindri contrapposti oscillava assieme al forcellone, in un braccio del quale era alloggiato l’albero di trasmissione

 

Per diverso tempo si è avuta una notevole variabilità di schemi per quanto riguarda la disposizione degli elementi molleggianti; alcuni di essi oltre che notevolmente ingegnosi, si sono rivelati anche piuttosto validi in quanto a funzionalità. Rapidamente però si è poi affermata universalmente la soluzione che appariva più semplice e lineare, ovvero quella che prevede un gruppo molla-ammortizzatore da ciascun lato della moto, disposto in modo da collegare direttamente la parte superiore del telaio con uno dei bracci del forcellone.

Quando hanno iniziato a diffondersi le sospensioni posteriori a forcellone oscillante c’è stato chi ha utilizzato come elementi elastici delle semibalestre. Ne impiegava una centrale, disposta verticalmente all’interno della parte centrale scatolata del telaio, la milanese Sertum.
Ne usava invece due di piccole dimensioni, disposte orizzontalmente al di sotto dei due bracci del forcellone (al quale era collegata la loro estremità posteriore), la prima versione della “Bi” 98 di Giuseppe Benelli, dalla quale nel 1950 ha avuto inizio la storia della Motobi. Il Motom Delfino, presentato alla fine dello stesso anno, impiegava una serie di dischi di gomma lavoranti in compressione e disposti (uno dietro l’altro) dentro un astuccio orizzontale piazzato sotto il motore.

In quasi tutti gli altri casi si impiegavano le familiari molle elicoidali, che però talvolta non erano disposte verticalmente o quasi (ossia nella posizione usuale). Per alcuni anni la Gilera ha utilizzato uno schema che prevedeva una disposizione orizzontale delle molle, entro astucci ricavati nella parte posteriore del telaio, al di sopra del forcellone.

Nelle Guzzi monocilindriche a volano esterno di 250 e 500 cm3, tali elementi elastici erano collocati in astucci orizzontali piazzati sotto il motore. Particolarmente “pulita” era la soluzione utilizzata dalla Benelli sui modelli Letizia e Leoncino (di 98 e 125 cm3, apparse rispettivamente nel 1949 e nel 1951), nella quale le molle erano collocate all’interno dei due bracci del forcellone.
Uno schema non molto dissimile era stato studiato dalla ditta Cavani di Bologna, importatrice della DKW, per dotare di una sospensione posteriore gli RT 125 a telaio rigido.

 

Nella Guzzi Lodola 235, qui mostrata, la sospensione posteriore è di schema classico. Una particolarità interessante è costituita dal fatto che per l’estremità superiore dei gruppi molla-ammortizzatore erano previsti due diversi punti di fissaggio al telaio (nella Velocette Venom c’era addirittura un’asola arcuata)
Nella Guzzi Lodola 235, qui mostrata, la sospensione posteriore è di schema classico. Una particolarità interessante è costituita dal fatto che per l’estremità superiore dei gruppi molla-ammortizzatore erano previsti due diversi punti di fissaggio al telaio (nella Velocette Venom c’era addirittura un’asola arcuata)

 

Il perno di oscillazione del forcellone inizialmente lavorava quasi sempre su bussole in bronzo. I cuscinetti volventi erano infatti riservati quasi esclusivamente ai modelli con trasmissione finale ad albero. Per questi ultimi si impiegavano quelli a rulli conici, ai quali andava impartito il corretto precarico all’atto del montaggio. In seguito, quando è iniziata l’era delle “maximoto”, si sono andati diffondendo i cuscinetti volventi anche su numerosi modelli con trasmissione finale a catena. Oggi le bussole non hanno più una diffusione significativa.

Per molti anni i forcelloni oscillanti sono stati realizzati in tubi di acciaio, a sezione tonda o ovale. Non mancavano comunque importanti esempi di forcelloni in lamiera stampata. Poi, nella seconda metà degli anni Settanta, hanno iniziato a venire impiegati quelli in lega di alluminio. È interessante segnalare che la Moto Guzzi ha proposto questa soluzione nel settore delle moto di serie già alla fine del 1976, quando ha presentato le sue bicilindriche della serie “piccola”, ovvero la V35 e la gemella V50. E già stava per iniziare la grande era delle sospensioni posteriori monoammortizzatore, che verrà descritta prossimamente.