Le sospensioni posteriori. (Prima parte)

Le sospensioni posteriori. (Prima parte)
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Dai telai rigidi a quelli con ruota guidata, fino all’affermazione dei forcelloni oscillanti. La scuola europea come modello
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
20 marzo 2018

A dotare i mezzi a due ruote di un sistema di molleggio in grado di collegare elasticamente la ruota direttrice al cannotto di sterzo i costruttori hanno pensato fin dagli albori del motorismo.
Una efficiente sospensione anteriore era assolutamente necessaria sia per assicurare un minimo di comfort che per consentire un buon comportamento su strada del veicolo. Per queste ragioni già nei primi anni del XX secolo quasi tutte le moto erano dotate di una forcella “elastica”.
Le cose andavano diversamente per la sospensione posteriore, nei cui confronti l’interesse era decisamente tiepido. C’erano stati alcuni esempi interessanti agli albori del motorismo ma negli anni Dieci e negli anni Venti quasi nessuno pensava di utilizzarne una.
Il comfort del pilota assicurato dalle molle della sella era ritenuto adeguato e per quanto riguarda la trasmissione al suolo della potenza, e quindi la tenuta di strada, un retrotreno rigido forniva risultati migliori rispetto a uno molleggiato. I sistemi che erano stati proposti avevano quasi tutti parti mobili sottodimensionate e articolazioni soggette a deformarsi e ad usurarsi rapidamente, oltre a elementi elastici la cui efficienza lasciava molto a desiderare.

Moto Guzzi pioniera

Nel corso degli anni Trenta però la situazione ha cominciato a cambiare, in larga misura grazie alla adozione sulle moto da competizione di sospensioni posteriori ben dimensionate e di disegno razionale (che sul finire del decennio sono state adottate anche su diversi modelli di serie di elevato livello). La Moto Guzzi è stata una grande pioniera, che ha contribuito a dimostrare la superiorità delle ciclistiche dotate di una sospensione posteriore ben studiata e realizzata.
Gli schemi emersi erano fondamentalmente due: quello a ruota guidata e quello con forcellone oscillante.
Nel primo caso alla estremità del telaio erano fissati due astucci verticali contenenti una molla principale e una contromolla; vincolato a ciascuno di essi scorreva, con movimento rettilineo, un portaruota dotato di una appendice posteriore alla quale veniva fissato l’asse della ruota. Si trattava di un sistema semplice ed economico, che poteva essere adottato modificando i precedenti telai rigidi (diversi costruttori hanno fatto proprio questo). Addirittura, per diverse moto di notevole diffusione per qualche anno sono stati commercializzati dei kit che consentivano appunto di trasformare la parte terminale del telaio rigido e di applicare da ciascun lato un astuccio con molle interne.

 

Sulle sue bicilindriche a due tempi, come la Competizione SS costruita dal 1951 al 1955 e nota anche come Gobbetto (qui mostrata), la Rumi ha impiegato a lungo una sospensione posteriore a ruota guidata
Sulle sue bicilindriche a due tempi, come la Competizione SS costruita dal 1951 al 1955 e nota anche come Gobbetto (qui mostrata), la Rumi ha impiegato a lungo una sospensione posteriore a ruota guidata

 

Nel dopoguerra le case italiane hanno rapidamente dotato di una sospensione posteriore anche le loro moto di piccola cilindrata, mentre alcuni costruttori inglesi hanno mantenuto ancora per qualche tempo il telaio rigido pure sulle grosse bicilindriche (la Triumph ad esempio lo ha fatto fino ai primi anni Cinquanta, quando per la 6T offriva il suo famigerato “mozzo elastico” solo come optional). In Germania le preferenze dei costruttori andavano alla sospensione posteriore a ruota guidata, ma modelli economici come la DKW RT 125 hanno continuato per diverso tempo ad essere costruiti anche in versioni con telaio rigido.

L'Italia e i GP

In Italia, mentre diversi costruttori si sono orientati subito verso lo schema a forcellone oscillante, altri hanno continuato per diverso tempo a utilizzare la ruota guidata. Spiccano qui case come la Morini (prime 125 a due tempi) e la Mondial (versioni iniziali delle 125 e 200 ad aste e bilancieri).
La Rumi ha continuato ad impiegare questo tipo di sospensione addirittura fino all’inizio della seconda metà degli anni Cinquanta. Nelle prime stagioni del Campionato Mondiale il sistema a ruota guidata è stato impiegato anche su alcune moto da Gran Premio di grande successo come la Mondial 125 bialbero.

Il Motom 48 è stato uno dei ciclomotori di maggiore diffusione nel nostro paese. Aveva un telaio in lamiera stampata che per diversi anni è stato rigido. Il passaggio alla ruota guidata in questo caso è stato particolarmente facile: è bastato infatti fissare mediante viti i due astucci con le molle alla estremità posteriore del telaio stesso. I ciclomotori a quattro tempi della casa milanese sono stati gli ultimi mezzi a due ruote italiani ad impiegare questo tipo di sospensione.

Con il sistema a ruota guidata la tensione della catena aumenta a mano a mano che ci si avvicina agli estremi della corsa della sospensione. Si tratta di variazioni considerevoli, che costituirebbero un problema se le escursioni molleggianti fossero elevate. All’epoca erano modeste, come pure le potenze in gioco... La sospensione a forcellone oscillante però, oltre ad assicurare un’ottima rigidezza, permetteva di avere escursioni nettamente maggiori in quanto le variazioni di tensione erano notevolmente inferiori. Insomma, era decisamente meglio e per tale ragione si è affermata, venendo adottata universalmente.