La parabola di Canepa Niccolò da Genova, pilota multitasking

La parabola di Canepa Niccolò da Genova, pilota multitasking
Moreno Pisto
La vittoria alla 8 Ore di Sepang, in un'impresa eroica d'altri tempi, è il segno di una rinascita, il punto più alto di una vita professionale e personale che ha visto anche momenti di buio
19 dicembre 2019

C’è chi la tira sempre fuori quella vecchia storia. Quando parli di lui qualcuno la butta lì: “Uno così non dovrebbe più correre, altro che”. Sì, è quella vecchia storia successa in pista durante un corso di guida: Niccolò che si avvicina alla moto di un ragazzo, che gli dice qualcosa, allunga una mano, dal video sembra che gli tocchi il freno davanti, il ragazzo che vola in highside.

Il video esce fuori due anni dopo l’accaduto ed è subito gogna pubblica, attacchi via social, accuse pesanti. Già non se la passava bene, il sogno della MotoGP era finito male, faticava a ritrovare la sua strada, poi questo casino.

Colpa o non colpa, adesso parlare di Niccolò Canepa è fare un elogio alla determinazione, a chi non si arrende e all’umiltà, la sua è una parabola di chi in anni di lavoro nell’ombra si è ricostruito un mondo. Perché soprattutto quando ti ritrovi nella merda (che tu abbia ragione o torto) hai bisogno di costanza e di spirito di sacrificio, più di prima, più del previsto, facendo fede solo su te stesso, ché in Italia tutti sono bravi a parlare di riabilitazione ma poi quando uno chiude davvero i conti con il passato c’è sempre qualcuno che invece preferisce comunque marchiarlo a vita.

Sta di fatto che dopo ogni difficoltà Niccolò Canepa è risalito, lentamente ma costantemente. È ripartito dal campionato italiano, poi in Stock, in Superbike, è passato da team falliti dopo 4 gare, team che dopo una stagione andata bene gli hanno detto: devi far spazio a piloti che portano i soldi. Ma alla fine eccolo qua: campione del mondo Endurance, pilota di fiducia in Yamaha, pilota in Moto-E e ora - in questi giorni - la conquista della 8 ore di Sepang, guidando per più di un’ora senza elettronica e cambio elettronico, senza lasciare la moto per tre stint di seguito. Una gara a squadre vinta da solo

Niccolò è un pilota multitasking: corre in più categorie contemporaneamente, come succedeva una volta. E poi è un bravo ragazzo e alla faccia di chi dice che i bravi ragazzi non vincono mai, lui vince eccome.

Conoscendolo in tutti questi anni mi è sempre parso assurdo vederlo accostato a un episodio infamante e scorretto.

La prima volta che l’ho conosciuto eravamo a Valencia. Lui era venuto lì per assaggiare l’aria della MotoGP, prima della stagione successiva dove sarebbe passato in Ducati Pramac. Passiamo la notte in giro per realizzare intervista e servizio fotografico. Niccolò appare subito fuori contesto per il mondo del paddock: ha studiato, frequenta l’Università, di famiglia borghese di Genova, super sorridente e molto, molto educato.

L’esperienza in Pramac è andata male. Non tanto per i risultati sportivi (il livello era molto alto in quegli anni, l’ultimo della fila era James Toseland, 2 volte campione del mondo in SBK), quanto per i risvolti umani: “Avevo solo 19 anni e il team mi trattò male, malissimo. E la stagione successiva in Moto2 fu ancora peggio, oltretutto i miei si separarono e io non ci capivo più niente”. 

Dopo la vittoria nel mondiale Endurance ci rivediamo: racconta dei cambiamenti della sua vita, anche di quelli che riguardano la sfera privata, il rapporto col padre, e di quanto abbia dovuto fare affidamento su di sé, sulla sua forza e su ciò che di più amava fare, cioè andare in moto, per emergere da un periodo difficile: “Mi sono guardato dentro, mi ripetevo: perché devo rinunciare a ciò che più mi piace? Vaffanculo, io vado avanti”.

L'Endurance, un'esperienza mistica

Questa conoscenza di sé gli è servita nell’Endurance perché “devi correre di notte, al freddo, senza dormire e tante volte ti viene da chiederti: ma chi me lo fa fare? Poi ti rispondi: e non lo fai per i soldi, né per la gloria, lo fai per te, per te e basta, perché andare in moto è ciò che più ami nella vita”.

Correre in Endurance è estenuante: “Dopo così tante ore in moto la sera dopo, quando vado a dormire, ho degli scatti, cado dal letto, non sto fermo. Se chiudo gli occhi mi sembra di cadere dalla moto, mi vengono fuori tutte le ansie. Il cervello ti fa sta roba qua. Una specie di incubi”.

L’ultima volta che ci siamo parlati è stato a Eicma. Ha guidato dalla Fiera alla Rinascente una Alfa Romeo Stelvio Quadrifoglio scodando pure in rettilineo, poi nella lounge in Rinascente di Moto.it lo abbiamo intervistato.

Adesso è fidanzatissimo con una ragazza dal cognome impronunciabile che dire che è bella è dire poco: una Barbie vera, in carne e ossa. Ci abbiamo scherzato su e alla domanda di troppo Niccolò ha risposto: “Ha una mamma che le assomiglia, vista l’età se vuoi te la presento!”

C’è solo da essere contenti se Niccolò vince e continua a vincere perché è l’emblema e l’inno di chi non si arrende. Tifare per lui significa tifare per chi crede in quello che fa nonostante tutto vada male, ché se non ci credi tu non ci crede mica qualche altro.

Niccolò è l’elogio di chi mette da parte l’immagine e i bei copy da Instagram per andare dritto, lavorare tanto e tirare fuori il meglio di sé quando nessuno lo vede. E quando nessuno ti vede. Nell’ombra c’è sempre una luce. La devi saper vedere, riconoscere, seguire e inseguire, e come se non bastasse il resto ce lo devi continuare a mettere tu. Ripetendoti che non è finita fin quando non è finita. Questo insegna la parabola di Canepa Niccolò da Genova. E così sia. 

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