Il fascino dei motori Big ones

Il fascino dei motori Big ones
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Considerazioni tecniche sui cilindri di grandi dimensioni, mono e plurifrazionati, dallo straordinario fascino nel modo di erogare la potenza
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
25 maggio 2016

In campo motociclistico si sono da tempo affermati monocilindrici che, non di rado, hanno una cilindrata molto elevata (talvolta tra 600 e 700 cm3), pur senza raggiungere gli eccessi di una ventina di anni fa, quando la Suzuki ha prodotto i DR Big di 750 e 800 cm3 e per la Parigi-Dakar anche alcuni costruttori hanno realizzato moto con un solo cilindro di 750 cm3.

Negli anni Cinquanta, quelli di 600 cm3 erano considerati monocilindrici davvero imponenti. In genere, prima di allora ci si fermava a 500 cm3. In tempi più vicini a noi, una cilindrata di 650 cm3 è diventata abbastanza usuale per i grossi mono. Oltre 700 cm3 si entra nel campo delle realizzazioni esuberanti, e questo vale anche per la cilindrata unitaria dei bicilindrici, che negli ultimi anni ha subito una autentica escalation.


 

Il bicilindrico ad aste e bilancieri X-wedge della americana S&S, montato sulla Duu dalla CR&S, ha una cilindrata unitaria di 958 cm3
Il bicilindrico ad aste e bilancieri X-wedge della americana S&S, montato sulla Duu dalla CR&S, ha una cilindrata unitaria di 958 cm3

I motori Harley-Davidson sono via via cresciuti fino ad arrivare a ben 901 cm3 per cilindro (motore Twin Cam 110 da 1,8 litri) e valori leggermente superiori vengono raggiunti dai bicilindrici a V destinati a grosse custom o a classic style tourers, della Indian e della S&S (il cui X-wedge ha una cilindrata unitaria di ben 958 cm3). Valori assai simili vengono raggiunti da alcune bicilindriche giapponesi destinate a moto di tipo più o meno analogo. Basta pensare alla Suzuki Intruder M e alla Yamaha Midnight Star, che hanno una cilindrata unitaria rispettivamente di 890 e di 927 cm3. Nella Kawasaki Vulcan 1700 siamo a 850 cm3.

Interessante la strada seguita dalla Triumph, che per la sua esagerata Rocket III di ben 2,3 litri ha scelto di impiegare un motore con tre cilindri soltanto: la cilindrata unitaria è quindi di 764 cm3. Questo tricilindrico ha l’asse dell’albero a gomiti disposto longitudinalmente rispetto al telaio, è dotato di un albero ausiliario di equilibratura e ha la distribuzione bialbero a quattro valvole. La trasmissione primaria a ingranaggi, collocata anteriormente, invia il moto al cambio piazzato longitudinalmente, a lato dell’albero a gomiti.

Tra il nutrito gruppo dei grossi monocilindrici spiccano quelli della KTM (690 cm3) e della Yamaha (660 cm3). Le prime moto moderne con un solo cilindro che hanno superato i 600 cm3 sono state la cruiser Suzuki 650 Savage e la enduro stradale Kawasaki KLR 650, apparse rispettivamente nel 1986 e nel 1987.

 

Le grosse cubature del recente passato

Per ciò che riguarda i modelli recenti ma non più in produzione, moto bicilindriche con grandi cilindrate unitarie sono state prodotte in anni a noi assai prossimi dalla Honda (VTX 1800) e dalla Kawasaki: nella VN 2000 di questa seconda casa giapponese, ogni cilindro aveva una capacità di ben 1026 cm3, il che costituisce un autentico record, se non si considerano gli anni pionieristici delle due ruote. E tra i monocilindrici non si può non tornare a citare lo straordinario DR Big, costruito in versioni di 750 (che ha fatto la sua comparsa nel 1988) e di 800 cm3. Questo motore, con distribuzione monoalbero a quattro valvole e raffreddamento misto aria-olio (tipico delle Suzuki dell’epoca), era dotato di due alberi ausiliari di equilibratura.


 

Il Cagiva CRV 750 era stato studiato per la Parigi-Dakar. Aveva un albero a gomito monolitico che lavorava interamente su bronzine, la lubrificazione a carter secco  e impiegava una doppia accensione
Il Cagiva CRV 750 era stato studiato per la Parigi-Dakar. Aveva un albero a gomito monolitico che lavorava interamente su bronzine, la lubrificazione a carter secco e impiegava una doppia accensione

Grossi monocilindrici sono stati realizzati per la Parigi-Dakar nel periodo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio del decennio successivo. Alcuni di questi motori, che avevano una cilindrata di 750 cm3, derivavano in buona misura da modelli di serie preesistenti (Yamaha, Gilera), ma il mono Cagiva era totalmente inedito.

Gli anni nei quali sono state popolari le gare dei Supermono hanno visto svariati esempi di motori con cubature davvero cospicue (del resto, uno dei sistemi per incrementare la potenza, quando il regolamento lo consente, è quello di aumentare la cilindrata…). Tra svariate realizzazioni artigianali spicca lo Yamaha BYRD, che è arrivato a ben oltre 700 cm3 (nella fattidspecie 740, nell’ultima evoluzione).

Assai prima, grossi mono sono stati realizzati in Inghilterra per il traino dei sidecar. Ricordiamo in particolare il Panther modello 120 di 645 cm3, e i Norton modello 19 e ”Big Four”, rispettivamente di 596 e 630 cm3, che si incontravano con una certa frequenza sulle strade britanniche negli anni Cinquanta.

 

Perché grosso è meglio?

Per quale motivo i tecnici decidono di adottare grandi cilindrate unitarie? È evidente che, nel caso dei monocilindrici, una maggiore cubatura consente di ottenere una potenza più elevata. Ed è tutto OK, ma oltre un certo punto non conviene spingersi. Crescono le misure caratteristiche e le masse in movimento. All’aumentare della corsa diventa via via più difficile raggiungere regimi di rotazione molto alti, e al crescere dell’alesaggio aumentano il peso del pistone e il percorso che il fronte di fiamma deve compiere per propagare la combustione attraverso tutta la camera. Insomma, ci sono dei limiti, per quanto riguarda le dimensioni dei cilindri dei motori motociclistici. Qui va anche considerato il tipo di impiego al quale la moto è destinata. Una cosa è una custom o una classic style cruiser, e un’altra è una supersportiva. Di grande importanza è anche il “carattere” della erogazione, del quale si deve tenere sempre ben conto in fase di progetto.

Infine, ecco una sintesi relativa alle prestazioni. Fermi restando la velocità media del pistone, il rapporto corsa/alesaggio, il numero dei cilindri e la pressione media effettiva (ossia la “vigoria” delle singole fasi utili, per intenderci), al crescere della cilindrata unitaria aumenta la potenza prodotta dal motore. Questo incremento però non è lineare. Un cilindro di 500 cm3 non dà il doppio dei cavalli di uno di 250 cm3! L’incremento di potenza è di circa il 60%. In altre parole, i cavalli aumentano comunque, ma la potenza specifica diminuisce. Con cilindri grandi, però, la camera di combustione, anche se meno compatta, ha un minor rapporto superficie/volume: questo si traduce in minori perdite di calore (in percentuale), il che è vantaggioso ai fini del consumo specifico.

 

Unici e coraggiosi

 

La tedesca Gunbus 410
La tedesca Gunbus 410

Un accenno meritano anche certi straordinari pezzi unici, alcuni dei quali vengono perfino messi in vendita per gli appassionati un po’ fuori di testa (è il bello di molti motociclisti, no?). Tra i bicilindrici a V, va subito menzionato l’incredibile Gunbus di 6.728 cm3, realizzato in Germania dalla Leonhardt Manufacturing. Ha superato il record stabilito negli anni Ottanta dall’australiano Lucky Keizer, che aveva impiegato due cilindri del motore d’aviazione Rolls-Royce Merlin, ottenendo un V-Twin di circa 5.000 cm3. Decisamente moderno, con la sua distribuzione bialbero a quattro valvole, è il bicilindrico canadese “Bad Dog” di circa 3.500 cm3.

 

La Goldammer Nortorious
La Goldammer Nortorious

Tra i monocilindrici spiccano due mostruose realizzazioni tedesche. Si tratta della HG 3000 di Claus Mees (3.034 cm3) e della NSU Bison 2000 di Franz Langer.

Decisamente più umana la Nortorious del canadese Roger Goldammer, con telaio a doppia culla continua in tubi e motore di 965 cm3, costruito partendo da un basamento destinato alle Harley-Davidson, sul quale, al posto del cilindro posteriore, è montato un compressore centrifugo Rotrex.