Guzzi V7 vs Harley 883 vs Triumph Bonnie

Guzzi V7 vs Harley 883 vs Triumph Bonnie
Maurizio Tanca
  • di Maurizio Tanca
I marchi sui serbatoi di queste moto, messi insieme, sommano tre secoli di storia del motociclismo. La nuova V7 Classic si confronta con 883 e Bonneville, cioè le sue più logiche concorrenti a livello di prestazioni e prezzi. Le analogie tra loro sono parecchie
  • Maurizio Tanca
  • di Maurizio Tanca
17 dicembre 2015

Rovistando nel mio piccolo “giacimento” di prove effettuate in passato, sono incappato in questa comparativa che, in effetti, proprio storica non è, visto che risale al non lontanissimo 2008, e che vede l’allora nuovissima Moto Guzzi V7 Classic confrontarsi con l’Harley-Davidson Sportster 883 Low e la Triumph Bonneville standard (che fino all’anno precedente era ancora alimentata da un paio di carburatori). Tuttavia abbiamo pensato che questo articolo ci possa stare ugualmente in questo contesto, specie dopo un’edizione dell’Eicma milanese - svoltasi alla fine dello scorso novembre - dove sia Moto Guzzi che Harley-Davidson e Triumph hanno presentato succose novità riguardanti proprio i modelli protagonisti di quel test multiplo di bicilindriche reffreddate ad aria. Moto che curiosamente, ma solo casualmente, erano tutte tre di un bel bianco candido: la V7, in effetti, era nata esclusivamente così, mentre le altre due in quei giorni non erano disponibili in altre colorazioni, nei parchi stampa di Harley e Triumph.

A Eicma 2015, della Guzzi erano presenti rispettivamente due nuove versioni col motore maggiorato a 850 cc, ovvero  le V9 Bobber e Roamer; della Sportster c’era l'Iron sostanziosamente ritoccata, con nuove ruote, ergonomia e sospensioni molto migliorati; mentre  allo stand Triumph abbiamo appreso che la mitica Bonneville T100 ha dovuto inchinarsi all’Euro-4 e, di conseguenza, al raffreddamento a liquido, presentandosi con le rivoluzionate T120 (con motori da 1200 anziché 865 cc), mentre la Bonneville standard ora si chiama Street Twin, e monta il nuovo motore  da 900 cc. 

Ma andiamo a vedere, per pura curiosità,  anche le differenze di prezzo tra le protagoniste della comparativa che vi proponiamo, rispetto alle loro equivalenti versioni 2016. Bene, nel 2007 la V7 Classic costava 8.300 Euro, franco concessionario; la Sporster 883 L ne costava 8.400 e  la Bonneville 8.250 Euro (entrambe c.i.m.). Oggi,  la V7 che costa meno è la Stone, in listino a 8.670 Euro, mentre la Special ne costa 9.070, sempre franco concessionario; l’attuale Harley 883 Superlow costa da 10.100 a 10.600 Euro secondo la colorazione (mentre la nuova Iron va da 10.200 a 10.500 euro) e la Triumph Street Twin ne costa 8.700 (f.c.).  
Ed ora, se vi va, eccovi di seguito il resoconto di questo pacifico e  ancora attualissimo confronto tra una Guzzi, un’Harley ed una Triumph ben note agli appassionati del genere.  Una nota: ci perdonerete se le foto, tratte come al solito da fonte cartacea, non sono impeccabili….Buona lettura!

Moto Guzzi V7 Classic vs Harley-Davidson 883 Low vs Triumph Bonneville

E’ qui la Storia?
I marchi sui serbatoi di queste moto, messi insieme, sommano tre secoli di storia del motociclismo. La nuova V7 Classic si confronta con 883 e Bonneville, cioè le sue più logiche concorrenti a livello di prestazioni e prezzi. Le analogie tra loro sono parecchie.


L'arrivo in redazione della Moto Guzzi V7 Classic ci ha presto portato ad alcune riflessioni. Innanzitutto, le persone che si sono fermate a esaminarla incuriosite sono state parecchie, come del resto le domande che, andandoci in giro in città, ci siamo sentiti rivolgere. "Complimenti, sembra nuova!" mi dice in milanese un tipo dal finestrino dell'auto. "Ah, questa è quella che hanno fatto per sostituire il Falcone?" (giuro che non è uno scherzo, ce l'ha chiesto un vigile urbano seriamente...). "Ah, finalmente l'hanno rifatta!", chiosa un altro signore sulla sessantina. Rifatta? Ma che cosa?

Tutto ciò ci ha ulteriormente confermato che in giro c'è un sacco di gente che di moto capisce ben poco, ma che comunque ama parlare a vanvera. Ma mi ha anche convinto che in Moto Guzzi hanno avuto una bella pensata creando questa piacevole moto rètro, che evidentemente attira l'attenzione: ha un bel vestito bianco, con bande nere e filetti rossi, come l'aveva la celebre "mucca", la V7 Special del '69; ma il suo stile è  più filante, vicino a quello della mitica V7 Sport, della quale ricalca il serbatoio, più o meno. La V7 Classic, in realtà, non è che la Breva 750 rivestita ad hoc, e con cerchi a raggi anziché anziché in lega pressofusi: cambiano solo le misure della ruota anteriore - che qui è da 2,50x18" con gomma da 100/90 anziché da 3,00x17" gommata 110/80 (misure esattamente uguali a quelle della posteriore, sulla vecchia V7 Sport!)  - e gli ammortizzatori, con escursione più lunga di 23 mm, che mantengono il sistema di precarico delle molle a doppia ghiera stile racing, decisamente poco pratico per una moto utilitaria. Cosa non mi piace di questa Classic? Beh, intanto la carrozzeria è tutta di plastica, mentre le moto di questo genere secondo me dovrebbero essere rivestite di sano metallo. E poi, il guzzista doc criticherà certamente l'assenza dal serbatoio della mitica aquila di Mandello! E quel cablaggio bruttino da vedere, sotto la strumentazione? Breva e Nevada sono molto più ordinate, li sotto...

Ma veniamo alle altre due carismatiche protagoniste di questo nostro test: non potevano che essere l'Harley-Davidson 883 e la Triumph Bonneville, non credete? Si, lo so che esiste anche la Ducati GT 1000: però le nostre tre viaggiano poco oltre gli 8.000 euro, mentre la GT, più grossa e potente, ne costa 10.000 netti... A parte la comune veste bianca - volutamente l'unica disponibile, nel caso della Guzzi - queste tre classiche di analogie ne hanno parecchie: intanto, portano sui serbatoi marchi onusti di gloria, con alle spalle rispettivamente con 106  anni per l'inglese (la cui prima moto nacque nel 1902), 105 l'Harley e 87 anni la Casa di Mandello; e poi sono moto che si prestano molto a personalizzazioni con accessori più o meno sfiziosi, e sono senza dubbio poco impegnative da usare, per chiunque. Moto pure ed essenziali, senza troppi orpeIli estetico-tecnologici, tutte e tre con motori bicilindrici raffreddati ad aria con testate a due valvole, cambi a cinque marce, frizioni a cavo e uno scarico per cilindro. Hanno telai tradizionali a culla in tubi d'acciaio, normali forcelle senza regolazioni e due semplici ammortizzatori posteriori regolabili solo in precarico. Hanno le ruote a raggi (non tubeless, purtroppo...), con le anteriori più alte delle posteriori e due freni a disco, uno davanti e uno dietro. "Filosoficamente" parlando, variano invece le disposizioni dei cilindri e il modo di trasmettere potenze - non certo travolgenti - alle rispettive ruote posteriori: abbiamo quindi cilindri verticali paralleli frontemarcia con trasmissione finale a catena per l'inglese; a V longitudinale di 45° con finale a cinghia dentata per l'americanina e a V trasversale di 90°, ovviamente con trasmissione ad albero cardanico, per l'italiana. La quale è anche la più piccola a livello di cilindrata, e inferiore come potenza e coppia dichiarate. Ma la V7 è anche nettamente la più leggera, sia sulla carta che nella pratica, coi suoi 182 kg a secco contro i 205 della Bonnie e i ben 251 della 883.

La Triumph Bonneville, che negli anni '60 fu una delle sportive di riferimento, oggi è una elegante e tranquilla motocicletta da utilizzo quotidiano, sufficientemente comoda e con prestazioni più che dignitose. Delle tre, peraltro, è la più potente, e vanta anche un buon picco di coppia: 7 kgm, esattamente come l'883, che però li eroga ben 2.000 giri più in basso. La Bonneville è ben fatta, e certamente affascinante, non solo per chi in passato ne possedette una, o per chi poteva solamente sognarsela (tipo il sottoscritto, ma meglio così, vien da dire col senno di poi, visti i guai congeniti che a quei tempi affliggevano le moto inglesi...), ma anche per un neofita attratto dal vintage. Sarà anche una mia mania, però mi scoccia abbastanza trovare anche qui parafanghi e fianchetti in plastica, mentre il serbatoio per fortuna è metallico. Di questa affascinante lady britannica non riesco a sopportare il blocchetto della chiave di accensione piazzato sul supporto sinistro del faro: io lo eliminerei senza pensarci un attimo, perché sembra posticcio, è scomodo da raggiungere e, se si usa un portachiavi, questo sventolerà fastidiosamente per tutto il tempo. Trovo brutti anche i due tubi tronchi posteriori del telaio che sbucano da sotto la sella, e sorvolo sull'antico bloccasterzo Neiman piazzato sul cannotto, che tanto vale non usare. Non trovo inoltre alcun perché all'assenza del pulsante di lampeggio, assente peraltro anche sull’Harley. Che comunque (grazie al cielo!) è fatta tutta di metallo. E si sente, vien da dire, quando la si manovra a motore spento, soprattutto per via di quel massiccio blocco motore che però è posto così in basso che al peso, una volta in movimento, non ci si fa più caso.

Anche la "piccola" Harley è un bell'oggetto, che qui compare nella versione più “bassa” di tutte perchè... era l'unica disponibile nel parco-stampa di Harley-Davidson Italia: in pratica, la XL883L (L come "Low") ha la sella a soli 64 cm da terra, contro i 67 della versione custom, i 69 della standard ed i 71 della roadster. Sella che peraltro è rigorosamente monoposto, quindi, nel caso, bisognerà spendere dei soldini in più (cioè circa 330 euro) per montare sellino posteriore e relative pedane. Da notare che anche le 883 hanno di serie l'antifurto elettronico che si attiva appena ci si allontana con la chiave in tasca, e si riattiva quando ci si riavvicina (sempre che si abbia la chiave con sé, naturalmente..). Difficile che in sella all'Harley-Davidson 883 ci si senta apostrofare con domande ingenue come può capitare sulla V7 Classic: la piccola Sportster è in giro da una vita, la gente ormai è abituata a vederla e i curiosi difficilmente azzardano ipotesi che non riguardino, come al solito, il prezzo. Solo gli Harleysti molto esperti sono in grado di distinguere un modello recente da uno di dieci o più anni addietro, se tenuto come si deve. E questo è uno dei pregi di questa moto, e uno dei motivi per cui mantiene buone quotazioni sul mercato dell'usato. Le Harley, infatti, dai primissimi anni Ottanta ad oggi hanno visto il loro carisma rafforzarsi sempre più, mentre il marchio Triumph è praticamente resuscitato dall'oblio più recentemente. Tant'è che in sella alla Bonnie mi è capitato di sentirmi ancora chiedere dal solito curioso: "Ma è la vecchia o la nuova?". È stato divertente realizzare questo servizio in giro per Milano alla ricerca di adeguate ambientazioni fotografiche, in una caldissima giornata di giugno. Tre belle moto, semplici e candide, con in sella tre individui bardati da motard, sono state una sorta di carta moschicida per i curiosi, a partire dal vigile urbano in bicicletta che ci ha visti armeggiare davanti ad un bel muro di mattoni (da usare come sfondo fotografico) per poi sbottare con quella perla di domanda sul Falcone…

Nonostante il caldo, comunque, ci siamo divertiti andandocene a spasso con queste moto, anche se Gianluigi, il nostro collega spilungone, sembrava sempre in sella a dei cinquantini. Lui sceglierebbe la Guzzi, che trova la più divertente in generale; della Triumph ha gradito molto la posizione di guida, che ritiene la più comoda delle tre, mentre dell'Harley predilige la personalità del motore. Fabio invece sarebbe indeciso se comprarsi la V7 o la Bonnie: della prima preferisce le qualità dinamiche, che la rendono la più divertente da guidare in maniera briosa; dell'inglese invece apprezza la gran dolcezza e la fluidità del motore ai bassi regimi, e le sospensioni meno rigide; dell'Harley gli piace molto lo stile fascinoso, ma le qualità dinamiche non lo entusiasmano, al di là del fatto che qui non si possa piegare come si vorrebbe. Per quanto mi riguarda, anch'io trovo la nuova V7 molto divertente (come la stessa Breva 750, del resto): è compatta, leggera e agile da portare in giro in ogni frangente, dalla città alle strade di collina, dove c'è da divertirsi a piegare con ben poco impegno, contando su una ciclistica facile e immediatamente confidenziale: in questo caso, è facile ritrovarsi presto seduti tutti in avanti, contro al serbatoio, con le ginocchia a filo delle testate. La posizione di guida è decisamente naturale, la sella - asportabile, ma con poco spazio sotto - non è morbidissima ma ci si sta digntosamente comodi, anche in due, se di corporatura media: per le taglie forti, invece, lo spazio diventa scarsino.

Della V7 ho apprezzato le sospensioni, non troppo morbide ma buone incassatrici anche sul pavè cittadino, e i freni, potenti e ben modulabili nonostante il comando anteriore sia un po' "gommoso", ma non duro da usare. Tutti i comandi sono morbidi, sulla Guzzi, dai freni alla frizione, dal gas al cambio: quest'ultimo pecca per l'escursione lunghetta del pedale, e a volte si impunta in seconda andando piano, ma normalmente è silenzioso e scorrevole sia salendo di rapporto che in scalata, anche non usando la frizione. Il motore, si sa, non è un mostro ingovernabile, e proprio per questo è adatto anche ai principianti. Ovviamente c'è chi si chiede perché non sia stato usato quello della Breva 850, ma questa è un'altra moto, più leggera, agile e sbarazzina; e anche se non ha certamente un tiro strappa-braccia ai bassi regimi, il "piccolo" V2 ha un suo buon perché: è piacevolmente silenzioso e dignitosamente elastico, e per andarci tranquillamente a spasso basta lasciarlo correre giocando con le marce. Se invece gli si vuol proprio tirare il collo, oltre i 5.000 giri inizia a vibrare abbastanza, anche se poi, salendo con i giri, la cosa si fa meno noiosa. Ma agli alti regimi, in quinta, siamo già sui 170 orari indicati, e senza parabrezza, si sa, si fatica a guidare eretti (oltre ad essere a rischio di ritiro patente, ovviamente).

Se in sella alla V7 vien subito voglia di "giocare", l'approccio con la Bonneville invece è più pacioso: la sella è più morbida (e anche di una buona spanna più lunga), si siede più in basso di 3 cm buoni ma con le gambe meno angolate, probabilmente grazie alle pedane un po' più basse, e il manubrio, abbastanza ampio tra le mani, aiuta a gestire meglio il maggior peso concentrato sull'avantreno: la Bonneville pesa più della Guzzi, il bicilindrico Triumph è più massiccio, più lungo e sembra più vicino alla ruota anteriore, che di per sè è anche più alta. L'avantreno della classica britannica, in sostanza, è più pesante, più solidamente appoggiato all'asfalto, e la moto va guidata con più determinazione rispetto alla V7. Lungi dal sostenere che si fatichi ad andare in giro con la celebre inglesotta, moto piacevolissima da portare a spasso con limitato impegno, con una ciclistica solida e piuttosto confortevole, sebbene gli ammortizzatori in verità siano un po' secchi sulle buche. La Triumph è la dolcezza fatta moto. Il suo motore, fasato a 360°, frulla regolare e silenzioso, trasmette ben poche vibrazioni ed eroga la sua coppia con pacata fermezza, senza picchi o colpi di coda, aiutato da un cambio altrettanto piacevole e da una frizione morbida da gestire. Una moto tranquilla, capace anche di veleggiare sui 190 orari, che non è mica poco, ma decisamente più a suo agio ad andature più normali. Volendo passare dal trotto al galoppo sul misto, qui si piega un po' meno che con la Guzzi, e la ciclistica, causa anche la ruota anteriore da 19”, è decisamente più sottosterzante, quindi richiede una guida più calibrata; ma freni e gomme sono a posto e il freno-motore è sostanzioso, quindi è solo questione di prendere le giuste misure per tenere un buon ritmo. Chi ha conosciuto le vecchie Bonnie Made in Meriden ed è in vena di revival, insomma, troverà magari meno carattere e molta più pacatezza, ma anche un'efficacia globale, inutile dirlo, letteralmente di un altro pianeta. E ci mancherebbe altro...

L'Harley-Davidson 883, altra compagna di giochi di questo servizio, in effetti è la più criticabile del gruppo. Tuttavia ha sempre un suo perché. È un po' come il mio adorato gattone, tale Bubba: mi devasta i cuscini (e non solo) con le unghie, poi viene lì a sfregarsi facendo le fusa e leccandomi il naso, e io non riesco proprio ad arrabbiarmi. Con la 883 è un po' così. Per esempio, noi abbiamo usato la versione Low che, bassa com’è, a sinistra striscia a terra con la stampella laterale solo facendo inversione di marcia, a destra non ne parliamo, nemmeno. "Si, però c'è anche la normale, chi è più alta sotto e si piega un po’ di più..." giustifico subito la cosa. Il manubrio ha una piega che costringe i polsi a una presa innaturale. "Si, però si può cambiare, ce ne sono talmente tanti in catalogo..”. Il motore emana parecchio caldo ."Si, ma non è certo l'unico! E poi questa è un'Harley, mica paglia, ed è così carina...". La 883 comunque piace sempre, specie alle ragazze, anche se onestamente è la moto meno versatile di questo simpatico terzetto. La Low, oltretutto, è pure monoposto, e senza pedane posteriori. "Si, però si può trasformare facilmente in biposto….” Eccoci di nuovo!

Ma com'è la 883, dinamicamente parlando? Che sia la più pesante è ormai assodato. Però il peso è molto in basso, quindi intimorisce meno e facilita la guida anche ai meno navigati. L'avantreno è pesantino anche qui, ma la piccola Sportster (che comunque  come dimensioni e peso è esattamente uguale, per esempio, alla  sorellona Nightster 1200) vanta una guidabilità insospettabile, una verve che invoglia presto a guidare con molta più disinvoltura di quanto sia possibile, e se a sinistra si consuma la stampella, a destra sono le povere marmitte a pagar pegno, se si insiste a esagerare. La Low, quindi, lasciamola ai principianti, e per andare in giro tranquillamente prendiamoci la 883 standard, o la più grintosa R.

La posizione in sella alla nostra bianca Harley è curiosa: manubrio a parte, le ginocchia rimangono alte e molto piegate, rendendo gli spilungoni davvero buffi da vedere. E poi, quel il piccolo serbatoio a goccia da 12,5 litri è impossibile da stringere tra le gambe, complici anche il filtro dell'aria sporgente e le pedane abbastanza larghe. Quanto alle sospensioni, la forcella è soffice, contrariamente gli ammortizzatori, davvero troppo secchi sullo sconnesso (per non dire direi letali, in questo caso). La frizione è piacevolmente morbida, mentre la grossa leva del freno anteriore va strizzata per bene per decelerare dignitosamente. Il discone posteriore e il sostanzioso freno motore, comunque, aiutano notevolmente nel caso ci si abbandoni a qualche sparatina. Anche il bicilindrico 883 è un motore sostanzialmente dolce, e in questo contesto è il più favorito dalla coppia motrice - 7 kgm, a soli 3.750 giri - che ti porta a spasso col suo rilassante, inconfondibile borbottio asincrono (il celebre e brevettato “potato potato”, come viene definito oltreoceano). II cambio, migliorato nelle ultime versioni, non è comunque da riferimento a livello di scorrevolezza, e rimane un po' duretto, specie barcamendandosi nel traffico cittadino. Contesto in cui, peraltro, la poco ingombrante 883 si trova peraltro decisamente a suo agio. Ma questa moto apparentemente da bar e da brunch con gli amici ha un carisma tale che ti fa venir voglia di usarla anche più ad ampio raggio: piccolo parabrezza, due borse morbide, una sella verosimile per l’uso anche in coppia (almeno una Badlander, se non addirittura una King & Queen, pedanine posteriori…), e via. Ricordandosi però che il serbatoio non è poi così capiente…

Argomenti