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Quando Fuell aveva fatto la sua comparsa qualche anno fa, le premesse erano ottime. Non parliamo dell'ennesima startup sconosciuta che promette rivoluzioni elettriche dal garage di casa: dietro c'era una figura come Erik Buell, nome che nel motociclismo significa qualcosa. Pilota, ingegnere, imprenditore con una carriera fatta di alti e bassi ma sempre con progetti tecnicamente interessanti, originali, di carattere. E poi c'erano nomi pesanti nel board, come Fred Vasseur (sì, quello della Ferrari) e François Terny. Prototipi funzionanti, presentazioni curate. Insomma, non i soliti rendering photoshoppati o promesse su carta. Il progetto aveva tutta la credibilità del caso e forse proprio la sua concretezza è stata un arma a doppio taglio perché la promessa di Fuell si è sgonfiata velocemente ed è diventata una meteora.
Il primo campanello d'allarme è arrivato con i continui slittamenti delle date di produzione. Poi il pivot strategico verso le biciclette elettriche, segnale classico di chi sta cercando liquidità rapida per tenere a galla la baracca. Fino all'inevitabile: nell'ottobre 2024, Fuell ha dichiarato bancarotta, probabilmente prima che il buco economico diventasse impossibile da recuperare.
Purtroppo è un altro capitolo triste nella carriera imprenditoriale di Erik Buell dopo la chiusura della sua Buell e l'estromissione dal suo rilancio che oggi avviene per mano d'altri. Un ingegnere visionario che come imprenditore ha avuto fortune alterne e che a settantacinque anni forse appenderà il cappello di imprenditore al chiodo per dedicarsi alla sua seconda grande passione: la musica. Almeno non dovrà rincorrere investitori.
La liquidazione della Fuell è stata gestita da Heritage Global Partners, che ha messo all'asta tutto il vendibile: marchi, proprietà intellettuale, macchinari, prototipi, il dominio web e altri asset per un totale di 185 lotti. L'obiettivo era recuperare il più possibile dai presunti 7 milioni di dollari di debiti accumulati.
L'asta però non è andata come si sperava e il bottino è stato piuttosto magro: soltanto circa 170.000 dollari. Per un'intera azienda con brevetti, prototipi e brand. Letteralmente spiccioli rispetto ai milioni investiti e alle valutazioni iniziali. Oltre al danno, la beffa. Secondo quanto riportato dai colleghi americani di RideApart, la casa d'aste si sarebbe presa 38.000 dollari di commissioni, lasciando ai creditori ancor meno briciole. Un disastro finanziario completo.
Ma chi ha comprato Fuell e perché lo avrebbe fatto? Purtroppo non sappiamo al momento rispondere con certezza a nessuna delle due domande. Il nome dell'acquirente e le sue motivazioni sono ancora avvolte dal mistero. Possiamo azzardare l'ipotesi che qualcuno del settore abbia approfittato dell'occasione per portarsi a casa parte del know-how sviluppato e quindi progetti e brevetti che, allo stato attuale, sembrano essere l'eredità di maggior valore di Fuell. Più difficile immaginare che l'interesse fosse per il marchio in sé per un'intenzione di rilancio visto che, di fatto, non era neppure decollato. La company non ha avuto il tempo di costruirsi una reputazione solida, un seguito di clienti o un prodotto realmente commercializzato su larga scala. Qualche e-bike e alcuni prototipi non bastano per creare quella "cenere" da cui risorgere come l'araba fenice.
Nel mercato delle moto elettriche, già piuttosto complicato, serve ben altro: capitale consistente, una supply chain affidabile, partner industriali solidi e soprattutto tempo per costruire credibilità e rete. Fuell non ha avuto nessuno di questi elementi in quantità sufficiente.
La storia di Fuell si aggiunge al lungo elenco di startup nel settore delle due ruote elettriche che non sono riuscite a trasformare prototipi promettenti in business sostenibili. Il settore rimane ostico: costi di sviluppo altissimi, mercato di nicchia, consumatori ancora scettici sull'elettrico a due ruote. Le grandi Case stanno arrivando ma lo fanno con molta cautela. Per Erik Buell, è un'altra bastosta dopo la chiusura della Buell Motorcycle Company (assorbita e poi liquidata da Harley-Davidson) e il tentativo con EBR (Erik Buell Racing), anch'esso finito male. Il talento ingegneristico non è mai stato in discussione, ma evidentemente nel business delle moto non basta avere una buona idea e neppure saperla mettere in piedi. Ma come si fa a non voler un po' bene ad un personaggio come l'ingegner Buell? Figure così appartengono ad una generazione di imprenditori visionari e appassionati che ora non vediamo praticamente più, perlomeno nel nostro settore sempre più dominato da grandi realtà industriali. Non possiamo perciò che augurargli un grosso in bocca al lupo.