Ducati V4: analisi di un capolavoro

Ducati V4: analisi di un capolavoro
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Ritorniamo sull'inedito motore V4 Ducati Desmosedici Stradale, che equipaggerà le nuove supersportive di serie di Borgo Panigale, con questa analisi di Massimo Clarke
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
24 ottobre 2017

La Ducati ha aperto una nuova pagina nella sua straordinaria storia. Per la prima volta mette infatti in produzione di grande serie un motore a quattro cilindri.
Nel 2007 aveva costruito la Desmosedici RR, ma si trattava di una “race replica” prodotta in un numero limitato di esemplari.

Il nuovo Desmosedici Stradale è strettamente imparentato con il V4 della MotoGP, ma nella sua realizzazione si è utilizzato largamente il prezioso know-how in fatto di gestione della turbolenza e di controllo della combustione, acquisito nella messa a punto dei bicilindrici 1.199 e 1.299, con i loro alesaggi record (e i problemi da essi derivanti). Questo ha tra l’altro consentito di adottare un rapporto di compressione di ben 14:1, inusitato per un modello di serie.

Il motore della nuova creazione dell'azienda bolognese presenta una serie di caratteristiche di straordinario interesse. Tanto per cominciare, non si può più parlare di una architettura a L ma di una a V di 90°. Non ci sono più due cilindri orizzontali (o quasi) e due verticali, ma due anteriori e due posteriori. Rispetto allo schema a L c’è stata infatti una rotazione di 42° all'indietro, che ha consentito di ridurre notevolmente l’ingombro longitudinale con effetti molto positivi ai fini della centralizzazione delle masse (e quindi della guida della moto).

 

 

Questo è il primo motore Ducati di serie con cilindri incorporati nella stessa fusione del basamento, e con distribuzione comandata per mezzo di catene silenziose. Ed è anche il primo nel quale il basamento si apre secondo un piano orizzontale (che taglia a metà i tre supporti di banco).

 

L’albero a gomiti a sua volta ruota “all’indietro”, ossia in senso contrario a quello delle ruote. Questa soluzione, che sembra presentare interessanti vantaggi ai fini del comportamento su strada della moto, non è inedita per la casa bolognese. Giravano all’indietro anche gli alberi a gomito delle bicilindriche di 750 e di 860 cm3 dell’era Taglioni (con distribuzione comandata mediante alberelli e coppie coniche), nelle quali la trasmissione primaria era come di consueto a coppia di ingranaggi e il cambio era del tipo con presa diretta, ovvero con il manicotto di uscita coassiale con l’albero di entrata.

 

L’albero a gomiti in acciaio nitrurato ruota su tre supporti di banco e ha i perni di biella a 70°
L’albero a gomiti in acciaio nitrurato ruota su tre supporti di banco e ha i perni di biella a 70°


Nella Desmosedici Stradale, invece, si impiega una trasmissione primaria composta da tre ingranaggi, mentre il cambio è dell’usuale tipo in cascata, con un albero di entrata e uno di uscita. Di conseguenza la frizione ruota nello stesso senso dell’albero a gomiti, cioè all’indietro, mentre l’albero secondario del cambio, sul quale viene montato il pignone della trasmissione finale, ruota ovviamente in avanti.

Le trasmissioni primarie a terna di ingranaggi (generalmente abbinate a un cambio con presa diretta) hanno avuto una notevole diffusione negli anni Cinquanta. Le impiegavano ad esempio la Morini 175 e la NSU Max (costruita in oltre 90.000 esemplari).

Nel caso della Desmosedici, l’ingranaggio intermedio (ossia la cosiddetta "ruota oziosa") viene impiegato anche per comandare la pompa dell’acqua. Giova ricordare che pure nelle Ducati da Gran Premio a due cilindri paralleli (costruite tra il 1958 e il 1960 nelle cilindrate di 125, 250 e 350 cm3) l’albero a gomiti girava all’indietro; per la trasmissione primaria si faceva ricorso a un albero ausiliario, che prelevava il moto da quello a gomiti e lo inviava alla campana della frizione.

 

Nella parte superiore di ogni testa sono alloggiati due alberi a camme che provvedono ad azionare le valvole agendo su ciascuna di esse con un bilanciere di apertura (a dito) e uno di chiusura (a due bracci)
Nella parte superiore di ogni testa sono alloggiati due alberi a camme che provvedono ad azionare le valvole agendo su ciascuna di esse con un bilanciere di apertura (a dito) e uno di chiusura (a due bracci)

Il motore della Desmosedici Stradale ha una cilindrata di 1.103 cm3, ottenuta con un alesaggio di 81 mm (lo stesso della MotoGP) e una corsa di 53,5 mm. La potenza è di 210 CV a 13.000 giri/min. A tale regime la velocità media del pistone è di 23,18 metri al secondo. Particolare attenzione è stata dedicata alla fruibilità di questo quadricilindrico, come dimostra la coppia, che si mantiene al disopra di 120 Nm per un arco di 3.500 giri.

In ciascuna delle due teste sono alloggiate otto valvole (cioè quattro per cilindro), collocate su due piani inclinati tra loro di 25,5°. Quelle di aspirazione hanno un diametro di 34 mm e una alzata di 10,45 mm; quelle di scarico sono da 27,5 mm e hanno una alzata di 9,45 mm. La distribuzione è l’inconfondibile desmodromica bialbero Ducati, nella sua versione più evoluta.

Il comando è misto: la catena silenziosa che arriva a ciascuna testa trasmette il moto a uno dei due alberi a camme (di aspirazione per i cilindri anteriori e di scarico per quelli posteriori), che aziona l’altro tramite coppia di ingranaggi. Questa soluzione consente di ottenere teste molto compatte.

Il motore respira tramite cornetti di aspirazione la cui lunghezza viene regolata, grazie a un apposito servomotore elettrico, su due posizioni in modo da risultare maggiore ai medi e bassi regimi e minore agli alti. In questo modo la curva del rendimento volumetrico viene ad avere un andamento molto favorevole, e l'erogazione risulta assai corposa per un ampio campo di regimi. I corpi farfallati hanno un diametro equivalente di ben 52 mm; ognuno di essi è dotato di due iniettori, con quello posto sopra la valvola a farfalla che entra in azione solo alle grandi aperture della manopola del gas. L’airbox ha un volume di ben 12,8 litri.

 

Le due bancate dei cilindri, munite di canne integrali, sono incorporate nella struttura del semibasamento superiore, ottenuto per fusione in conchiglia
Le due bancate dei cilindri, munite di canne integrali, sono incorporate nella struttura del semibasamento superiore, ottenuto per fusione in conchiglia

Le canne dei cilindri sono integrali ed hanno l’ormai classico riporto superficiale costituito da una matrice di nichel più particelle di carburo di silicio. Al loro interno scorrono pistoni forgiati dotati di una struttura box-n-box. I cilindri sono incorporati nel semibasamento superiore (fuso in conchiglia per gravità, come quello inferiore).
Le bielle, in acciaio ad alta resistenza, hanno una lunghezza di 101,8 mm, corrispondente a 1,9 volte il valore della corsa. Il cappello viene posizionato per mezzo di spine calibrate. L’albero a gomiti è in acciaio forgiato e viene indurito superficialmente mediante nitrurazione; ha le manovelle a 70°, poggia su tre supporti di banco e lavora interamente su bronzine. I perni di biella hanno un diametro di 34 mm e quelli di banco di 37,7 mm.
Le fasi utili si susseguono così distanziate: 0°- 90° - 290°- 380°. In pratica scoppiano prima i due cilindri di un lato (separati tra loro di soli 90°) e, dopo 200°, quelli dell’altro lato, essi pure molto ravvicinati tra loro.

 

Il gruppo delle pompe dell’olio ne prevede una di mandata e tre di recupero, delle quali due aspirano dalle camere di manovella e una dalle teste
Il gruppo delle pompe dell’olio ne prevede una di mandata e tre di recupero, delle quali due aspirano dalle camere di manovella e una dalle teste

La lubrificazione è a carter secco, con serbatoio dell’olio collocato nella coppa fissata inferiormente al basamento. Una pompa di mandata a lobi invia il lubrificante in pressione al circuito, mentre due pompe di recupero provvedono ad aspirare la schiuma di olio e aria dalle camere di manovella, che vengono così mantenute in depressione, a vantaggio del rendimento meccanico (meno perdite per sbattimento e per ventilazione interna). Una terza pompa di recupero (a ingranaggi e non a lobi come le altre) aspira l’olio dalle teste, inviandolo direttamente al serbatoio. Il lubrificante destinato alle bronzine di banco arriva dalla canalizzazione principale del basamento, collegata anche agli oil jets (uno per ogni cilindro); quello per le bronzine di biella entra invece nell’albero da una canalizzazione assiale, passando per il coperchio laterale destro. Il peso totale del motore è di soli 64,9 kg.