Dove le moto diventano "fuorilegge"

Dove le moto diventano "fuorilegge"
Marco Berti Quattrini
In alcuni Stati del mondo le moto sono bandite per ragioni di ordine pubblico perché considerate un mezzo che favorisce la criminalità
12 luglio 2019

Vietereste la vendita di accendini perché i piromani li usano per appiccare gli incendi? E' ovviamente un paradosso, ma la storia ci insegna che spesso si è (anche giustamente) proibito l'utilizzo di cose o sostanze per l'uso improprio che ne è stato fatto e non per la loro destinazione d'uso principale o iniziale.


Lo stesso principio è stato applicato in diversi Paesi per ridurre la criminalità: i malviventi usano le moto ergo vietiamo le moto per impedire i crimini. Questo è, semplificando, il pensiero che sta dietro alla scelta di bandire le moto da Addis Abeba. La capitale etiope è solo una delle ultime città africane che in ordine di tempo hanno vietalo la circolazione di ciclomotori e motocicli: in Nigeria, per esempio, sono interdetti a Lagos, Abuja e Port Harcourt. 
 

Le moto sono ritenute il mezzo ideale per commettere furti e scippi oltre che per fuggire in molto rapido da una scena del crimine. Quindi per contenere la criminalità, in contesti dove sembra impossibile da arginare, si tentano tutte le strade, anche quelle più estreme e all'apparenza sproporzionate. 

 

Questi divieti infatti vengono applicati con durezza, spesso imponendo in aggiunta a pene e sanzioni anche il sequestro del mezzo. Provvedimenti di questo tipo, oltre a limitare la libertà individuale, hanno anche gravemente condizionato l'economia di tutte quelle piccole e medie aziende che utilizzavano le due ruote come mezzo di trasporto e per la consegna delle merci. 

NON SOLO AFRICA

L'Africa però non è l'unico continente che non vede di buon occhio le moto e anche in Asia alcune città le hanno bandite dai centri urbani. Qui il problema è legato all'ordine pubblico oltre che alla criminalità. Regimi più o meno autoritari usano infatti il divieto come strumento di controllo. Le motivazioni del bando sono le più varie: c'è chi sostiene che le moto non rispettano il codice della stada e che quindi siano pericolose. Altri invece individuano scopi più pragmaticamente politici: impedire rapidi assembramenti o altrettanto rapide fughe dopo le proteste antigovernative.


Quello che è certo è che anche solo chiedere informazioni su come reperire una moto può mettervi nei guai. Un esempio? Lascio la tastiera ad un amico e collega motociclista che in prima persona ha provato la sensazione delle manette ai polsi in nome della liberà di viaggiare in moto.

 

"Nel 2011 ho fatto un viaggio in Myanmar (Birmania), come al solito senza avere programmato nulla se non i voli di andata e ritorno. Arrivato nella capitale Yangoon ho tracciato il mio itinerario e, come fatto in altri Paesi, mi sono messo alla ricerca di un mezzo a due ruote per percorrerlo. 


Una rapida occhiata in giro mi è stata sufficiente per capire che in effetti non c'era nemmeno un underbone in giro, moto nemmeno a parlarne, quindi mi rivolgo a qualche locale per capirne di più e comunque cercare di recuperare una moto o un motorino per raggiungere Bagan. Vengo così a sapere, con tutti i limiti dovuti alla barriera linguistica, che dopo la rivolta dei monaci del 2008 il governo militare ha deciso che per ragioni di ordine pubblico non deve essere più consentito - perlomeno nelle grandi aree urbane - di potersi assembrare e disperdere rapidamente, vietando l'uso di mezzi a due ruote a motore nella capitale e in altre aree (Bagan inclusa). 


Non mi do per vinto e nei tre giorni successivi cerco comunque un contatto per riuscire a trovare un mezzo a due ruote e poi, magari, trasportarlo fuori dalla città e iniziare il mio viaggio verso nord. Solo che una mattina, mentre attraverso un ponte pedonale, vedo due poliziotti che mi vengono incontro; mi giro e alle mie spalle ce ne sono altri due. Mi arrestano, parlando solo birmano, e mi portano all'interno del loro posto di polizia: non esattamente un resort, nel quale vengo ammanettato ad una sedia e sottoposto ad un interrogatorio in un inglese piuttosto scarno e basico. In sostanza, vengo accusato di essere un agente sovversivo. Letteralmente in panico, tengo duro, chiedendo di far chiamare l'ambasciata francese o americana (a Yangoon non è presente quella italiana) per cercare di comporre la questione su binari razionali, ma nulla. Faccio pure capire che in Italia ho registrato il mio viaggio presso il Ministero degli Esteri, spiego che sono in Myanmar solo per turismo ma tutto quello che ottengo è solo un bicchiere d'acqua. Vengo lasciato solo, poi reinterrogato da un militare e soltanto dopo qualche ora di mia assoluta irremovibile volontà di chiamare l'Italia o una ambasciata occidentale comprendono che sono solamente uno sfigato che non ha ben capito che aria tira. Quello che mi è sembrato il capo, ad un certo punto dice "Del Piero", ridendo, facendo cenno ad una mia presunta somiglianza con il campione juventino e da lì in poi sembra che la situazione diventi più logica. Mi tolgono le manette e mi lasciano andare. Grazie Alex. 

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