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C'è un nome che racconta la storia della bicicletta italiana più di molti altri: Atala. Un marchio che a molti di noi evoca ricordi d'infanzia, negozi di paese, generazioni cresciute sulle due ruote. Ma quella che era un'azienda storica oggi è diventata qualcosa di più: il più grande produttore italiano di e-bike. E lo ha fatto perlopiù lontano dai riflettori. Per capire come ci è riuscita siamo andati nella sede di Monza, dove ci ha accolto Massimo Panzeri, amministratore delegato del gruppo.
Partiamo dai fatti: cos'è Atala oggi?
«Oggi Atala è un'azienda concentrata al 100% sulla bicicletta. Siamo probabilmente il più grande produttore italiano di e-bike. Produciamo biciclette con motori Bosch, Avinox, Ananda, Oli, in fibra di carbonio e alluminio. Copriamo ogni segmento: trekking, city, urban, cargo, mountain bike, bici da corsa e naturalmente tutta la gamma bambino. Insomma, bicicletta al 100%.»
E il marchio Whistle che compare accanto ad Atala?
«Abbiamo acquisito questo brand americano nel 2003-2004. Ci serviva per coprire la fascia da competizione. Dopo vent'anni la strategia è consolidata: Whistle è il marchio per chi cerca prestazioni, sia su e-bike che su gravel o bici da corsa. Atala rimane il riferimento per la famiglia e il commuting.»
Parliamo di numeri: quante biciclette producete e dove?
«Abbiamo due sedi in Italia: qui a Monza gestiamo la logistica del prodotto finito, a Padova la movimentazione dei materiali per la produzione. In Italia produciamo circa 50.000 biciclette all'anno: bici da corsa in carbonio, mountain bike in carbonio e tutte le e-bike, nessuna esclusa. Dai modelli da 1.000 euro a quelli da 9.000 euro, sono tutte assemblate qui con componenti che arrivano da tutto il mondo. Lavoriamo con circa 1.500 negozi in Italia attraverso una rete di 28 agenti monomandatari, più distributori in tutta Europa.»
E la fascia bassa?
«La produciamo in Tunisia. Non è una scelta ideologica, è una questione di sostenibilità economica. Tutto viene comunque sviluppato qui in Italia: concetto, disegno, distinta base, colori, grafiche, geometrie. Ma sotto i 1.000 euro di prezzo al pubblico, produrre in Italia ad oggi non è fattibile. Abbiamo riportato la produzione nel 2010-2011 aprendo due siti produttivi, ed è stata una crescita continua. Ma una parte resta fuori.»
Che volumi movimentate dal magazzino di Monza?
«Normalmente abbiamo 28-30.000 biciclette a stock, corrispondenti a 3-4 mesi di vendite. In alta stagione, primavera-estate, possiamo avere mille pezzi in entrata e mille in uscita al giorno. In bassa stagione, tipo novembre, scendiamo a 200-300. La bicicletta resta un prodotto stagionale, anche se l'e-bike sta iniziando a rompere questo schema.»
Avete presentato la nuova Vairo, top di gamma a 7.999 euro con Super Record Campagnolo. Come riuscite a essere così competitivi?
«Due motivi. Primo: facciamo bassissimi investimenti in marketing e i risparmi li riversiamo sul prodotto. Secondo: abbiamo volumi e teniamo una marginalità che ci serve per fare impresa, coprire i costi e avere un piccolo utile, ma siamo estremamente attenti a tenere i costi bassi. Una nostra bicicletta, per il contenuto che offre, ha sempre un prezzo estremamente competitivo. Che sia una bici da corsa, una gravel o un'e-bike da trekking.»
C'è anche una cura particolare nella consegna...
«Il nostro cliente è il negozio. E il negozio deve ricevere la bicicletta già montata e regolata al massimo grado. La finitura ultima la fa il negoziante, ma non può perdere troppo tempo, soprattutto se ha necessità di consegnare più biciclette. Noi facciamo internamente tutte le attività possibili. Questo ci consente anche di verificare eventuali problemi. Il negozio farà esclusivamente un fine tuning su una bici già pronta e verificata.»
Dopo il boom del 2020-2021 si è parlato di crisi del settore. Come l'avete affrontata?
«Bisogna distinguere due cose. Il sell-out, cioè quello che compra il cliente finale, ha avuto un rallentamento nel 2022-23-24, ma su valori ancora più alti rispetto al 2019. Il cliente ha continuato a comprare. Il problema è stato un eccesso di offerta da parte dei produttori, che hanno sovrastimato la crescita. Ma oggi quell'eccesso sta finendo. Il mercato c'è sempre stato, e noi siamo pronti a coglierlo.»
C'è molto dibattito sui motori per e-bike. Voi offrite sia Bosch che Avinox DJI. Qual è la vostra posizione?
«Offriamo la tecnologia al top seguendo la richiesta del mercato. Con Bosch lavoriamo da più di 15 anni, è un prodotto di fascia altissima con soluzioni tecniche moderne e un funzionamento caratteristico. Avinox è un new entry con caratteristiche diverse.»
Quali sono le differenze tecniche?
«Entrambi sono motori da 250 watt nominali con velocità massima 25 km/h, come prevede la normativa. La differenza sta nella coppia: Avinox arriva a 105 Nm contro i 100 di Bosch, e in modalità boost addirittura a 120 Nm. Anche la potenza di picco è diversa, così come il rapporto di assistenza. Il risultato sono due comportamenti differenti, entrambi conformi alla normativa. Poi c'è un dettaglio: la batteria Avinox non si estrae dal tubo come su Bosch, bisogna smontare il motore. Può sembrare uno svantaggio, ma esteticamente permette un tubo più sottile.»
Si arriverà ad avere lo stesso modello con motori diversi a scelta?
«Ad oggi e nel medio termine, direi di no. Ogni produttore ha la sua filosofia sul matrimonio motore-telaio. I telai saranno sempre diversi. Queste due e-MTB che vedete, una Bosch e una Avinox, hanno geometria identica: angolo di sterzo, corsa delle sospensioni, angolo sella, tutto uguale. Ma esteticamente sono completamente diverse, e i telai non sono intercambiabili. Vale non solo per il motore, ma anche per batteria, cablaggi, display. Non c'è possibilità di standardizzazione.»
Qual è la prossima sfida per Atala?
«Crescere nel segmento e-bike. Nonostante la crisi da sovrapproduzione, è il prodotto con più possibilità di crescita a livello europeo. È un mezzo moderno che risponde perfettamente a come sono le città e i trasporti oggi. Le infrastrutture miglioreranno, le piste ciclabili aumenteranno.»
Cosa manca ancora alle e-bike?
«Funzioni aggiuntive. Un po' come i telefonini: i primi avevano poche funzioni, quelli attuali sono completi. La bici deve fare lo stesso. Capacità di carico, per esempio: quando vado al supermercato devo poter caricare sei bottiglie d'acqua senza che mi sbilancino la bici, sia da fermo che nel traffico. Non serve una cargo grossa e impegnativa, serve una bicicletta normale con quelle funzioni in più.»
Quindi state lavorando su bici "mezze cargo"?
«Esatto. Sembra una stupidata, ma è uno degli sviluppi principali: biciclette normali per ingombro, ma con capacità di carico e sicurezza del carico a bordo, anteriore e posteriore. Una bici che può essere usata anche per lavoro, e lavoro vuol dire anche fare la spesa. Poi ci sono i servizi: post-vendita, ricambi, localizzazione, antifurto, gestione batterie, risoluzione problemi. Su tutte queste attività ci sono sviluppi in corso. Le biciclette stanno andando avanti molto velocemente dal punto di vista tecnico.»
La bicicletta da mezzo semplice si sta evolvendo per rimanere se stessa. E se il futuro della mobilità urbana passa dalle due ruote a pedalata assistita, Atala ha già dimostrato di saper guidare la corsa. Con i piedi ben piantati in Italia e lo sguardo rivolto all'Europa.