Dove va la Superbike?

Dove va la Superbike?
Carlo Baldi
Dopo Ducati anche Yamaha ritira la sua squadra ufficiale dal mondiale Superbike. Cerchiamo di valutare cosa ha portato all’attuale situazione e quali possono essere le prospettive future | C. Baldi
4 agosto 2011

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L’annuncio del ritiro della squadra ufficiale Yamaha è giunto come un fulmine a ciel sereno soprattutto perché non ci si aspettava che la Casa dei tre diapason abbandonasse il mondiale Superbike dopo aver ingaggiato solo un anno fa Marco Melandri (per il quale si parlava addirittura di un rinnovo per il prossimo anno) e proprio mentre il pilota italiano è ancora in lotta per il titolo mondiale 2011. Un ritiro pesante, un duro colpo per il mondiale Superbike anche perché si va ad aggiungere a quello della Ducati dello scorso anno e giunge in un momento incerto e delicato, nel quale Suzuki e Honda ancora non hanno fatto sapere se vorranno proseguire, ed in che modo, il loro impegno nel mondiale delle derivate dalla serie (e dubbi sono sorti anche per quanto riguarda Aprilia).

Ma quali sono le cause che hanno portato a questa difficile situazione e perché alcuni produttori hanno deciso di abbandonare un campionato che viene da sempre considerato strettamente legato alle vendite ed al mercato? La causa primaria deriva proprio dal mercato. Le vendite delle iper sportive negli ultimi anni è crollato, facendo segnare numeri quasi insignificanti. Basti pensare che Aprilia in un anno ha venduto poco più di 300 RSV4. Il mercato è cambiato e le “street racing” non si vendono più. Inutile quindi impegnare notevoli risorse aziendali in nuovi modelli iper tecnologici con elettroniche sempre più sofisticate quando poi le vendite favoriscono gli scooter e le naked a basso costo. Vendite condizionate anche dalla difficile situazione economica, con una crisi che dura ormai da alcuni anni e che sembra peggiorare anziché migliorare. L’interesse delle grandi Case giapponesi non riguarda più il mercato Europeo bensì i mercati emergenti di Cina, India, Vietnam, Filippine, Malesia. Paesi in piena espansione, dove si vendono ogni anno milioni di motocicli. Honda ha aperto il suo terzo stabilimento in India dove ogni anno vende tre degli otto milioni di motocicli che rappresentano il venduto di una nazione con più di un miliardo e duecento milioni di abitanti, che utilizzano la moto per muoversi nel caotico traffico di megalopoli come Mumbai, Calcutta o Delhi. Numeri che ci devono far riflettere. La stessa Suzuki ha da poco investito quasi 19 milioni di euro per un nuovo impianto produttivo nelle Filippine, un altro mercato in piena espansione.
Questi sono i mercati che interessano i produttori giapponesi, ma anche quelli europei, visto che Piaggio da tempo produce scooter e motocicli in Vietnam, proprio per soddisfare la crescente richiesta di mezzi a due ruote che viene dall’Estremo Oriente.

Non dimentichiamoci poi che solo pochi mesi fa il Giappone è stato terribilmente colpito dal terremoto e dal conseguente tsunami. Una catastrofe che ha messo in ginocchio un'economia che non era certo nel suo momento più florido. I quattro produttori giapponesi devono quindi fare molto bene i loro calcoli ed investire dove sanno di poter avere un ritorno certo. Meglio quindi presentare due nuovi scooter ed una moto da 200 cc per il mercato indiano che non una nuova supersportiva per il mercato europeo. Ne va della sopravvivenza delle loro aziende.

Ma le corse sono anche immagine e le vittorie portano una fama che può avere importanti riflessi sulle vendite in tutto il mondo. E qui entra in gioco la cronica carenza di visibilità sui media del mondiale Superbike, soprattutto se paragonata a quella della MotoGP. Visto che il mondiale delle derivate dalla serie non porta benefici direttamente legati alle vendite, così come era invece sino ad alcuni anni or sono, chi vuole investire sulla propria immagine preferisce continuare ad impegnare i propri budget in MotoGP. Ed è quanto stanno facendo Ducati, Suzuki e ora anche Yamaha. Se devono risparmiare sui budget legati al racing lo fanno sui campionati che hanno meno visibilità e la scelta è, purtroppo per Infront, drammaticamente obbligata.

Ultima ma non certo meno importante, la possibilità da parte di Dorna di poter utilizzare a partire dal 2012 motori di serie in MotoGP. Si apre un nuovo mercato per i produttori che non dovranno investire in onerose squadre ufficiali, ma al contrario potranno vendere i loro propulsori ai team che li potranno utilizzare nel campionato che, di fatto, è il più importante al mondo.

Ma allora la Superbike sta morendo?

Fortunatamente no. Nonostante il ritiro di alcune case ufficiali ed il fatto che solo per il 2012 Infront Motorsports si sia finalmente decisa ad intervenire sui regolamenti con l’intento di ridurre i costi, la Superbike ha ancora un futuro. Un futuro che risiede nel suo passato. Nata in Nord America come competizione per moto di serie, ha rappresentato per decenni una grande opportunità per le squadre private che, acquistate dai concessionari le moto sportive, ci lavoravano sopra con passione e con grande creatività per poi metterle nelle mani di giovani promesse che in pista davano spettacolo. D'altronde quando le moto hanno prestazioni simili tra loro, lo spettacolo non manca mai ed i piloti più bravi e talentuosi hanno modo di emergere. Questo è il vero e unico spirito della Superbike, che ogni volta che ci si è allontanata ha rischiato di morire. Negli ultimi anni i budget dei team ufficiali, la corsa all’elettronica ed alla più accesa competitività, ha ridotto ai minimi termini la presenza dei team privati, che non potevano più competere con gli ufficiali. Sempre meno team privati ha significato meno moto in pista, tanto che siamo passati dai 30 partenti del 2008 ai 21 di quest’anno. Ma poi i produttori non sono più riusciti a reggere quella corsa all’elettronica ed ai grandi investimenti che loro stessi avevano innescato. Ducati ha preferito abbandonare il campionato che gli aveva dato fama, onori e prestigio, lasciando spazio ad un team privato che è ora il più serio candidato alla vittoria finale. Il team Althea è una struttura privata di gente appassionata e competente, che riesce a far quadrare il bilancio facendo meglio di quanto aveva fatto l’anno prima il team ufficiale.

E che dire della BMW? Per anni l’azienda tedesca ha investito ingenti risorse nella propria squadra ufficiale e solo ora sembra che sia finalmente sulla strada giusta e vicina a sfruttare tutto il grande potenziale della S1000RR. Ma non grazie alla propria milionaria squadra ufficiale, bensì grazie al lavoro del team della filiale italiana. Gente che conosce bene le corse e sa come spendere al meglio i soldi che riesce a raccogliere. Meno costi e più successi. E ora è il turno della Yamaha, che non riesce più a supportare una struttura ufficiale che probabilmente verrà rilevata da un team privato.

La Superbike deve avvicinarsi alla Stock ed allontanarsi dalla GP (anche perché se ci si vuole avvicinare al campionato della Dorna si è perso in partenza). Ridurre i costi e dare spazio ai privati. Facendo di necessità virtù, la Superbike sta forse imboccando la strada giusta per tornare ad essere il campionato motociclistico più avvincente e combattuto del mondo.

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