Vito Ippolito racconta il futuro di Superbike e MotoGP

Vito Ippolito racconta il futuro di Superbike e MotoGP
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In questa esaurientissima intervista, Vito Ippolito, ex-pilota ed attuale presidente della Federazione Motociclistica Internazionale, racconta il suo pensiero su vari argomenti inerenti le corse su pista
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1 aprile 2010

Il sito inglese Motomatters (http://www.motomatters.com/) ha intervistato a lungo il presidente della FIM, Vito Ippolito, su vari argomenti inerenti le corse su pista a livello mondiale.
Ippolito è stato estremamente disponibile a parlarne, rispondendo ad ogni domanda con pazienza ed estrema precisione, aiutando in tal modo a chiarire alcuni dei punti chiave dell’attuale mondo delle competizioni.
La sua grande passione per questo sport e per il motociclismo in generale vien subito fuori parlando con lui, che, lo ricordiamo, è figlio d’arte: suo padre infatti era quell’Andrea Ippolito (scomparso nel 1997) che nel 1961 fondò la Venemotos, tutt’oggi società importatrice di Yamaha in Venezuela, e che lanciò un paio di piloti di altissima levatura, presto divenuti Campioni del Mondo: Johnny Alberto Cecotto, iridato della 350 al suo esordio, nel 1975, e Carlos Lavado (due volte campione della 250, nell’83 e nell’86).
L’intervista seguente ha avuto luogo lo scorso 17 febbraio a Utrecht, in Olanda, lo stesso giorno in cui la Commissione Gran Prix aveva approvato a Barcellona il nuovo regolamento della MotoGP che andrà in vigore nel 2012, e che consentirà alle moto da 1000 cc di correre assieme alle 800, introducendo anche il concetto di “CRT” (Claiming Rule Team), ovvero i team privati che potranno correre con motori di normale produzione.

L'intervista a Vito Ippolito


Signor Presidente, il nuovo regolamento appena emesso dalla Commissione Gran Prix a Barcellona ha ratificato che le 800 cc e le 1000cc potranno correre assieme, creando oltretutto una nuova categoria a favore dei team privati.
VI: «Si, la questione è che fondamentalmente dobbiamo seguire gli intendimenti dei costruttori, e l’anno scorso parlammo della possibilità di tornare a correre con le 1000. Loro dicevano che sarebbe meglio, perché sarebbe meno costoso, e ci sarebbe la possibilità di costruire un maggior numero di motori. Ora, sembra che alcuni costruttori vogliano continuare con le 800, altri ritornare alle 1000: in entrambi i casi, si tratterebbe sempre di prototipi. Ok, se loro pensano che ciò si possa fare senza che la cosa crei attriti reciproci, allora va bene. Naturalmente ci dovranno essere specifiche differenti, riguardanti i pesi (3 kg in più, sulle 1000, ndr), la quantità di benzina, e altri differenti aspetti. La volontà della FIM è quella di avere una classe valida che duri per molti anni, e che non sia così onerosa come quella attuale. È difficile usare le parole “non costoso” quando si corre con dei prototipi, quindi costosissimi per definizione, ma noi crediamo che l’attuale MotoGP lo sia davvero troppo: fino a pochi anni fa magari non ci si badava più di tanto, perché la situazione economica generalmente andava bene. Ma ecco la nostra richiesta: le moto “devono” essere dei prototipi, ma dobbiamo pensare a ridurne i costi, anche per dare maggiori possibilità anche ad altri team – non solo a due o tre team e a due o tre piloti – e poter avere una griglia formata da 21 o 22 piloti. Sarebbero sufficienti, anche perché non è che in giro ce ne siano poi così tanti in grado di guidare come si deve moto del genere. Non ci interessa avere in griglia trenta piloti, dieci dei quali vengano doppiati in pochi giri.
Questa è una lunga discussione. Noi proponiamo, loro ascoltano noi e anche ciò che dice la Dorna, perché cerchiamo di suddividerci le responsabilità. Ma questa è la richiesta della FIM, ed è il nostro obiettivo per gli anni a venire».

Lei ha detto che prima della crisi circolava parecchio denaro. Pensa che fosse così perché gli sponsor tabaccai potevano utilizzare come media solo gli sport motoristici, in particolare Formula 1 e MotoGP, e non potevano spendere denaro altrove, illudendo così i team di poter disporre di molto più denaro del necessario?
 VI: «È così, ma sapete, quando si è grassi ma si è in grado di respirare e di camminare, si dice che tutto va bene; ma quando un giorno ci si ammala, ecco che si pensa «Diavolo, sono grasso! Faccio fatica ad alzarmi in piedi!». È proprio questo il fatto. Mi ricordo che nel 2006 e 2007 molti team mi dicevano «È tutto così costoso! Ci servono più sponsor, non abbiamo sufficiente disponibilità!». E poi, quando arrivavano altri soldi, ne spendevano ancora di più. No, oggi c’è questa grossa crisi, ma i team soffrivano già quattro anni fa, ben prima che questa si facesse sentire. Ciò significa che i costi si possono tagliare parecchio, sia nella gestione di un team che nelle parti tecniche delle moto».

I regolamenti vengono stabiliti ogni cinque anni, o cos’ abbiamo avuto le 990 per cinque anni, le 800 pure, ora c’è questa nuova formula. Aiuterà il fatto di mantenerla per un periodo più lungo?
VI: «Ok, quando abbiamo chiesto alle Case costruttrici di lavorare su un tipo di moto che consentisse di ridurre i costi, è stato proprio perché vorremmo star tranquilli per una decina d’anni, e dare ai team la possibilità di poter far bene i loro conti: ok, questi sono i costi fissi, questi altri sono quelli probabili, ci servono sponsor per coprire la tal cifra. Abbiamo anche chiesto di avere una sorta di “prototipi di serie” come accadde in passato, negli anni ’70 e ’80, se ricordate, quando c’erano prototipi come la Yamaha TZ750, o la Suzuki RG500. Ma loro, i costruttori, devono studiare bene come muoversi, e come farlo nel modo meno oneroso possibile. Non so quanto la cosa sia fattibile, anche perché dipende dalla situazione di mercato delle varie Case, ma noi comunque abbiamo bisogno di un messaggio da loro. Anni fa avevamo in Giappone il campionato National destinato ai prototipi, mentre in Europa si correvano alcune gare con le 500 al di fuori del circus iridato (tipo Transatlantic Trophy, ovvero una serie di combattutissime sfide tra i piloti Usa e quelli europei, ndr).
Comunque è sicuro che dobbiamo assolutamente spendere meno, praticamente in tutte le discipline motociclistiche, specialmente in MotoGP e Superbike: questo è molto importante, visto per scendere di mezzo secondo al giro magari bisogna investire tre milioni di dollari! E allora ti vien da dire, ok, capisco l’importanza della tecnologia, ma è proprio necessario spendere una cifra del genere per quello scopo? Sai, ogni Casa costruttrice vorrebbe assolutamente schierare la moto migliore di tutte, come tutti i progettisti ovviamente amano molto le sfide a colpi di tecnologia. E io lo capisco benissimo. Ma c’è un limite a tutto: secondo me il nostro sport non ha un bisogno assoluto di avere proprio tutti gli specialissimi congegni che vengono usati attualmente».

Come pensa di far desistere i progettisti dal raccogliere tutte queste sfide tecnologiche?
VI: «Beh, dev’essere il top management di una Casa a gestire i propri progettisti, perché si può capire che essi ogni anno abbiano la necessità di sviluppare nuove tecnologie, che magari in seguito andranno applicate anche sulle moto di serie. Chiaramente questo aspetto è molto importante, visto che interesserà prima o poi anche l’utente normale, che ogni anno potrà avere una moto migliorata, in particolare per quanto riguarda il fattore sicurezza. Ogni anno le moto migliorano, e questo non va certo impedito. Ma non tutto è così strettamente necessario. Per esempio, riguardo alla MotoGP, l’anno scorso decidemmo, in accordo con i Costruttori, di eliminare i dischi freno in carbonio, che sulle moto di serie non arriveranno mai: chiaro, i piloti li apprezzano moltissimo, ma sono talmente costosi che si potrebbe anche lasciar perdere. Questo è il genere di cose sulle quali dobbiamo lavorare».

Ogniqualvolta si parli di necessità di tagliare i costi, subito si fa riferimento alla Formula 1, e di quello che hanno tentato di fare loro per affrontare questo problema. Lei ritiene che la Formula 1 possa fare da riferimento in questo senso?
VI: «Credo di no. Di sicuro loro hanno costi elevatissimi, ma la tecnologia applicata alle auto è differente. Loro, per esempio, investono moltissimo, diciamo il 50% dei loro budget, negli studi aerodinamici. Poi viene l’elettronica e, per ultimo, il motore.
Da noi è tutto differente: non abbiamo problemi aerodinamici di quella portata, per via della natura differente dei veicoli che usiamo. Penso che, alla fine, quando vai a vedere una gara in circuito la prima cosa che ti interessa è ammirare i tuoi piloti preferiti e quello che riescono a fare. La tua passione per lo sport inizia con la persona, non col veicolo che usa, che certamente comunque è importante, perché dev’essere competitivo. Puoi dire che quest’anno la moto migliore è la Yamaha, gli anni scorsi lo era la Ducati, o la Honda , o la Suzuki, o che altra; e magari ti interessa il tipo di tecnologia che loro utilizzano, ma anche quanto bravo sia stato questo o quel pilota a sistemare a dovere la sua moto. Alla fine dei conti, lo sport si traduce nella bravura con cui il pilota porta al successo la sua moto».

Parlando di Mondiale Superbike, lei è una delle poche persone al mondo a conoscere gli estremi del contratto in corso tra la FIM e la Infront Motor Sports circa l’utilizzo di motori e moto di produzione. Ogniqualvolta si parli di motori di serie impiegati in MotoGP, i fratelli Flammini si arrabbiano parecchio. Cosa ci può dire riguardo agli estremi di questo contratto? I Flammini hanno il diritto esclusivo di far correre moto prodotte in serie?
VI: «Ok, la parola chiave, in questo contesto, è “omologazione”. Il nostro contratto con i Flammini dice chiaramente che in Superbike si devono utilizzare moto normalmente prodotte in serie. La Federazione omologa queste moto – ogni anno, o comunque quando sia necessario farlo – che devono normalmente essere reperibili presso i relativi concessionari. Questa è la condizione necessaria per omologarle. Naturalmente, poi, ogni anno possiamo modificare qualche normativa tecnica in modo da permettere al tal costruttore di modificare qualche particolare alla propria moto. Che comunque deve rigorosamente essere omologata. Nel caso delle MotoGP con motori di serie e delle Moto2, le moto non possono ovviamente essere omologate, semplicemente perché non sono modelli prodotti in serie».

Questo è chiarissimo. Quindi nel caso, per esempio, di FTR, il costruttore inglese che partecipa alla Moto2, loro stanno vendendo dieci delle loro moto per l’uso esclusivo in pista, ma le vendono a singoli privati. Poiché quelle moto non saranno mai omologabili, vuol dire che sono da considerare prototipi?
VI: «Chiaro. Queste moto non certo targabili, né tantomeno in vendita nei negozi. I telai sono totalmente liberi, ci sono sette od otto costruttori diversi. Secondo me è molto positivo dare questa possibilità a vari telaisti. Inoltre, il loro motore ha parecchie parti speciali, ha più potenza di un normale motore Honda. Quindi, a maggior ragione, questo tipo di moto non è omologabile».

Sta facendo un pensierino alla Moto2? Lei stesso ha una storia alle spalle, nella classe 250, avendo corso per il team Venemotos con Carlos Lavado e Roberto Pietri, il cui figlio Robertino è impegnato nella nuova categoria…
VI: «Si, è vero, abbiamo di nuovo un venezuelano nel motomondiale! A volte, specialmente dai Paesi ove la crisi mondiale si avverte più che in altri, è difficile che salti fuori qualche pilota di buon livello. Però Carlos (Lavado, ndr) ha lavorato molto negli ultimi anni per tenere d’occhio qualche giovane promettente, come Robertino, appunto».

Lei spera che la classe Moto2 potrà diventare appetibile anche a livello di campionati nazionali?
VI: «Certo, penso che sia molto importante questo aspetto, visto che uno dei motivi per cui la 250 è sparita dipende appunto anche dal fatto che vari campionati nazionali in giro per il mondo per anni non si sono più disputati, che le moto bisognava prenderle in leasing, e alla fine dell’anno, una volta restituite, ci si ritrovava ad aver speso mezzo milione, se non addirittura un milione di dollari. Difficile continuare a sostenere una politica del genere… Per questo è importante che in Moto2 si spenda molto meno rispetto alla 250. Ed è per questo che sono certo che la nuova categoria avrà successo, e che vada estesa ai vari campionati nazionali: è questa la loro linfa vitale».

Fino ad oggi, alla MotoGP si arrivava iniziando con la 125 per poi passare alla 250. Più o meno tutti i piloti arrivati alla classe regina dalla Superbike o dalla Supersport si sono trovati spesso in difficoltà. Secondo lei la Moto2 potrebbe essere una buona scelta intermedia anche per chi arriva magari dal Mondiale o dall’Europeo Supersport, se non da un campionato nazionale, per poi fare il saltosuccessivo alla MotoGP?
VI: «Credo che la cosa dipenda dalle situazioni esistenti in ogni singola nazione. Ogni federazione, ogni Paese vive una situazione differente: uno può avere la Supersport e la 125, un altro la 125, la Superbike e la Moto2, e così via. Dipende dalla situazione nazionale. Io confido nel fatto che la Moto 2 sarà una buona classe dalla quale passare alla MotoGP piuttosto che al Mondiale Superbike. E sono abbastanza ansioso e curioso, come tutti, di assistere al suo imminente debutto. In ogni caso, credo che ne ricaveremo soddisfazione».

Lei ha citato il Venezuela e il fatto che ci sia un vostro pilota nel motomondiale. Andando a consultare Google Trends, si scopre che il Paese dove chi usa Internet si interessa maggiormente alla MotoGP è l’Indonesia, e l’Asia generalmente è molto importante per i costruttori, perché li si vendono molte motociclette. Carmelo Ezpeleta (il capo della Dorna, ndr) sta cercando di ottenere un Gran Premio a Singapore: lei cosa pensa che possa fare la FIM per avere più gare in Asia? E, soprattutto, pensa che sia importante che ci siano?
VI: «Io credo che sia importante, e che si possa anche fare. Abbiamo Paesi con milioni di motociclisti, ma la passione per il nostro sport non è uguale ovunque. Nel caso della Cina, loro hanno dei problemi a diffondere il nostro sport, quindi dobbiamo aspettare un po’ prima di tornarci. Ma ci sono altre nazioni, come l’Indonesia e la Thailandia, dove gli appassionati delle corse sono tantissimi. Attualmente, per quanto riguarda l’Asia, corriamo in Giappone e Malesia, e basta. Si, c’è spazio per un altro paio di Gran Premi laggiù. Del resto l’economia globale si sta spostando in quella direzione, un terzo della popolazione mondiale vive in Asia».

Traduzione di Maurizio Tanca