Nico Cereghini: “La prima emozione non si scorda mai”

Nico Cereghini: “La prima emozione non si scorda mai”
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Le passioni sono una gran cosa, e la nostra per la moto oggi è a rischio. Ma se contro la crisi possiamo fare poco, invece possiamo fare molto per tenere vivo questo sacro fuoco che ci anima. E diffonderlo | N. Cereghini
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
4 dicembre 2012

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Ciao a tutti! La nostra passione è una gran cosa, e oggi vi chiedo uno sforzo supplementare: ricordare e descrivere quale specifica emozione ha fatto nascere dentro di noi l’amore per la moto. Qualcosa deve essere scattato per forza, per sentire di colpo che la moto meritava il secondo posto nella classifica delle gioie della vita. Perché il primo posto è fuori discussione. Rumore, forma, colore, potenza, velocità? Magari, questo è lo scopo, riusciamo a contagiare qualche giovane in più, distratto dai giochini elettronici. I tempi sono grami, ma non si sa mai.

Comincio io. La mia passione è nata sulla Ducati 175 S di un vicino di casa. Questa storia non l’ho mai raccontata. Il vicino si chiamava Ettore Manacorda ed era un appassionato di grande competenza e pazienza; dopo l’ufficio stava ore e ore nel box a trafficare sulle sue quattro o cinque moto, ed io, quattordicenne, lo osservavo dall’altra parte del cortile facendo finta di aggiustare la mia bici e senza osare avvicinarmi. Fu lui a coinvolgermi, e mi spiegava la tecnica dei suoi motori, i dettagli delle varie soluzioni, questo è il Guzzino 65, questa la Gilera 150 e quest’altra la Ducati 175 Sport, aste e bilancieri, albero in testa, coppie coniche. La mia preferita era la più grossa: una motorona rossa e bronzo, il serbatoio pieno di incavi per braccia e mento, il manubrio basso, il faro enorme, un cilindro che era un’opera d’arte, lo scarico doppio sovrapposto sulla destra. La Ducati! Mi ci sedevo sopra e non ascoltavo più. Ma una volta mi parve che Manacorda dicesse: “magari vuoi farci un giretto”.

La mia passione è nata sulla Ducati 175 S di un vicino di casa. Questa storia non l’ho mai raccontata...


In famiglia eravamo dodici e non c’era una macchina, uno scooter, neanche una patente. Io avevo imparato a guidare la moto sui fascicoli settimanali di “Conoscere”, sapevo guidare la macchina, la moto, anche l’aereo. Mi mancava soltanto la verifica pratica. “Non ho la patente, non ho nemmeno 15 anni…”. Balbettai qualcosa, ma forse si vedeva che non aspettavo altro.

Bravi davvero, quelli di Conoscere: già sapevo giocare con il gas e la frizione. E via: il giro dell’isolato, forse di due isolati, la terza ingranata una volta sola. Senza casco, naturalmente, erano gli anni Sessanta… L’accelerazione mi toglieva il fiato, il suono riempiva la via, ebbi la sensazione di una potenza inesauribile e di leggerezza: una totale assenza di peso. E quello che soprattutto mi entusiasmò fu il comando del gas e l’effetto che provocava. Una piccola rotazione del polso e tutta quella potenza trasmessa a terra. Che meraviglia poter controllare l’infinito con il palmo della mano. Ancora oggi quell’emozione riemerge con la stessa potenza, e tuttora penso che la manopola destra che ruota sul suo asse sia l’invenzione più bella del mondo e abbia fatto la fortuna della moto. L’auto, con il suo acceleratore a pedale, è indietro di secoli.

Forse Manacorda era capace di leggere nel pensiero e per questo si fidò. Più avanti nella vita l’ho incontrato di nuovo, un ottimo collaboratore dei giornali di tecnica d’epoca. Un signore. E glielo dissi: quella sua imprudenza ha aperto in me un nuovo mondo e di questo gli sarò sempre grato.