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Da quando avevo saputo che tra Jonathan Rea ed Alvaro Bautista il Barni Spark Racing Team aveva scelto lo spagnolo, la logica mi diceva che Jonny avrebbe anche potuto smettere, ma stavo comunque preparando un articolo per dire come mi sembrasse assurdo che il pilota più vincente della storia del WorldSBK non trovasse una sistemazione consona.
Poi ho visto il suo video ed è cambiato tutto.
Aveva intuito che si potesse ritirare perché Rea non è il tipo da restare a tutti i costi nel paddock e soprattutto so che non si sarebbe mai accontentato di un ruolo da pilota comprimario. Ha una bellissima famiglia ed interessi anche al di fuori dal paddock e soprattutto è un uomo orgoglioso e non avrebbe mai accettato una moto o una squadra non competitive.
Lo dice lui stesso nel suo video: “Non ha senso correre se non puoi lottare per la vittoria”. Come per tutti i veri campioni anche per lui la vittoria è l’unica cosa che conta, ed è sempre stato il suo unico obiettivo. Rea ha sempre corso per vincere.
Ha iniziato a farlo a livello internazionale nel 2003 in 125 e dopo qualche anno nel BSB, nel 2008 è stato ingaggiato dal Team Honda Ten Kate che lo ha mandato in Supersport, ma nello stesso anno lo ha poi fatto debuttare in SBK, nell’ultimo round di Portimao.
Nei suoi sei anni con la Honda Jonny ha messo in mostra un grande talento ed è riuscito a spremere al massimo la vetusta CBR, conquistando 15 vittorie e 42 podi. Per meglio comprendere quale impresa abbia compiuto vi basti sapere che dopo di lui, dal 2014 ad oggi, la Honda ha ottenuto una sola vittoria con il compianto Niki Hayden, sotto la pioggia di Sepang.
Stufo delle promesse mai mantenuta dalla Honda di portarlo in MotoGP, nel 2015 il nordirlandese passa alla Kawasaki e su una moto finalmente competitiva vince subito. Era iniziata l’era di Jonathan Rea.
Al di là dei successi e delle gare dominate, il mio ricordo dei suoi primi anni con la Ninja va alla rivalità con Tom Sykes, alle acerrime lotte in pista (e fuori) con Chaz Davies che ieri per salutare il suo ritiro lo ha definito un grande pilota, ma anche un grande “spaccamaroni”.
Non sono riusciti ad interrompere il suo dominio nemmeno i piloti che sono arrivati in seguito, tra i quali Marco Melandri, ma nel 2019 la Ducati ha calato gli assi: ha fatto debuttare la Panigale V4 e l’ha affidata all’ex MotoGP Alvaro Bautista.
E proprio il titolo del 2019 a mio parere è stato il più bello, quello che ha mostrato tutto il carattere di un pilota e di un uomo che non molla mai, tanto che alla fine è riuscito a portare a casa il quinto titolo mondiale. Il sesto arriva nel 2020 e nonostante una Ninja ormai al capolinea piega il pilota di punta della Ducati, un altro ex MotoGP: Scott Redding. Intanto pertò un altro grande rivale si affaccia nel mondo della Superbike: Toprak Razgatlioglu. Tra i due c'è una grande stoma reciproca e Rea gli deve cedere lo scettro nel 2021, ma solo all’ultimo round a Mandalika. Il 2022 e 2023 sono gli anni di Bautista ma anche delle bellissime lotte tra tre campioni con tre moto diverse. E’ uno dei periodi migliori del WorldSBK che sembra tornato agli anni d’oro con tanto spettacolo in pista. Ancora una volta Rea non si accontenta e non si rassegna alla scarsa competitività della sua moto, lotta e va spesso oltre ai limiti della Ninja e per questo a volte cade. Chiude al terzo posto in entrambe le stagioni.
Anche i grandi amori finiscono ed il rapporto tra Jonny, il Team KRT e la Kawasaki è ormai logoro. Nel 2024 ecco il suo passaggio alla Yamaha, ma il sei volte campione del mondo passa dalla padella alla brace. La R1 non si dimostra all’altezza di BMW e Ducati e come se non bastasse la sfortuna ci mette lo zampino, con cadute ed infortuni, a Phillip Island e a Magny Cours, che però non intaccano la sua forza di volontà e la sua voglia di rivalsa. Come sempre Jonny reagisce, non si rassegna, e torna in pista il più in fretta possibile, anche quando non è ancora al 100%.
E ora ha deciso di ritirarsi.
E’ molto bello vedere come tutti i piloti, ad iniziare da quelli che sono stati i suoi avversari, gli stiano inviando messaggi di stima. Con lui ci scambiamo spesso dei messaggi su Whatsapp e lo abbiamo fatto ovviamente anche ieri. Quando gli ho fatto notare quanti segnali di stima stesse ricevendo dai piloti e non solo mi ha risposto “If I can be remembered for that it will be enough mate”. "Se potrò essere ricordato per questo, sarà sufficiente, amico mio".
A volte la sua grande determinazione e la sua rabbiosa voglia di vincere hanno nascosto quella che è la vera anima di Rea, una persona gentile e corretta con dei sentimenti e dei valori importanti, che chi ha avuto la fortuna di conoscerlo veramente apprezza.
Conservo ancora il messaggio che mi ha inviato quando è mancata mia moglie.
Un’altra cosa che vorrei chiarire è che Jonny non è assolutamente finito come pilota. Anzi, la sua voglia di vincere è stata esaltata dai risultati purtroppo negativi degli ultimi due anni. Con una moto competitiva avrebbe potuto lottare ancora per il titolo, mettendoci la stessa determinazione e lo stesso talento che gli ha permesso di riprendersi dai due gravi infortuni di Phillip Island e da quello di Magny Cours. Invece nessuno ha creduto in lui.
Un fatto molto grave che non depone certo a favore dei team manager del WorldSBK e nemmeno della Dorna. L’organizzatore spagnolo in passato è intervenuto per salvaguardare campioni in difficoltà e a mio parere avrebbe dovuto farlo anche adesso con Rea. Avrebbe dovuto impegnarsi per coinvolgere sponsor, contattare eventuali team e case produttrici in modo da permettere al sei volte campione del mondo di disputare almeno un’altra stagione ai propri livelli. Ma così non stato.
Jonny non ha avuto tutti i riconoscimenti che merita, tanto meno dai media. Gli stessi media che in passato avevano esaltato piloti che alla prova dei fatti avevano vinto solo alcune gare, hanno spesso sminuito i suoi successi, senza rendere merito al suo reale valore.
Ma a rendergli giustizia ci penserà la storia ed il futuro, quando si citerà Jonathan Rea ed i suoi record ogni volta che qualcuno cercherà di avvicinarlo o di superarlo.
Concludo leggendovi una lettera che gli consegnai a Magny Cours nel 2018, al termine della conferenza stampa che sanciva il suo quarto titolo mondiale.
Solitamente in quelle occasioni gli ponevo delle domande, ma in quel caso preferii scrivere questa sorta di lettera, e gliela consegnai, convinto che probabilmente non l’avrebbe nemmeno letta. Invece il giorno dopo quando mi vide mi abbracciò e mi ringraziò.
Caro Jonny,
abbiamo iniziato assieme in Superbike, nel 2008, undici anni fa. Mi ricordo di te come di un giovane pilota appena arrivato dal BSB, che correva nel mondiale Supersport. Eri alquanto timido e non parlavi molto, ma eri già molto veloce.
Quell’anno hai fatto il tuo debutto in Superbike, nel round finale di Portimao, nelle due gare che hanno festeggiato il titolo mondiale di Troy Bayliss, ma anche il suo addio alle corse. Senza saperlo il mondiale Superbike dava l’addio ad un idolo e salutava il debutto del suo nuovo dominatore.
Nei tuoi primi anni in Superbike ti soprannominai “l’impaziente inglese” parafrasando il film di Anthony Minghella (Il paziente inglese), perché volevi sempre stare davanti, ad ogni costo, a volte andando oltre i limiti della tua moto, commettendo degli errori e collezionando qualche caduta, ma anche incredibili rimonte. La Honda non era certo la moto migliore, ma con lei tu hai ottenuto dei risultati che nessuno è più riuscito a ripetere.
Ti ho visto crescere e passare da debuttante a campione affermato, da ragazzo a padre di una bellissima famiglia.
Non riesco più a tenere il conto delle tue vittorie e dei tuoi record e, a mio modesto parere, ti paragono a due grandi campioni del passato della Superbike che ho avuto la fortuna di conoscere: Carlos Checa e Max Biaggi. Hai la stessa educazione e gli stessi modi gentili dello spagnolo e stessa la feroce determinazione dell’italiano nel cercare la vittoria.
Mi congratulo vivamente con te per questo quarto consecutivo titolo mondiale, che ti rende unico nella storia della Superbike.
Non so per quanto continuerò a fare questo lavoro e per quanto ancora frequenterò il paddock della Superbike (non sono più tanto giovane …….) ma quando mi fermerò sarò comunque felice, perché avrò vissuto nell’era di Jonathan Rea.