Nico Cereghini: “Quando con la moto salti nel letto”

Nico Cereghini: “Quando con la moto salti nel letto”
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Dopo una 24 Ore, tutto lo stress accumulato viene fuori proprio quando a casa ti rilassi: ti addormenti nel letto e sei sulla moto, in piega, e la gomma posteriore ti scappa di colpo. Facevo dei balzi così alti che mi svegliavo, la stessa cosa succede ai piloti di oggi
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
7 gennaio 2020

Ciao a tutti! Sarà capitato anche a voi: in fondo a un cassetto appare, tutt’a un tratto, qualcosa che per mesi o per anni era sparito. Magari lo avevi cercato a lungo, ti eri chiesto dove fosse finito, ed ecco che riappare inaspettato per conto suo, quando ormai non ci pensavi più. Mi è successa la stessa cosa qualche tempo fa leggendo l’intervista a Niccolò Canepa, campione del mondo endurance 2017, vincitore del Bol d’Or e recentemente della sei ore di Sepang ridotta a tre ore: una sua frase ha spalancato il turbine delle mie emozioni.

Raccontava, Canepa, che la gara di endurance è mentalmente e fisicamente dura, ma i problemi arrivano anche dopo, quando la corsa è finita. Il sonno, per esempio: appena ti addormenti, sogni di cadere dalla moto e salti nel letto come una molla. “Vengono fuori tutte le ansie, una specie di incubo”, diceva. 

Me lo ero quasi scordato: quello era stato per me un danno collaterale delle gare. Come le cadute, le ammaccature, il dolore e il recupero, tutta roba che quando si corre in moto si dimentica volentieri. Che balzi, dopo una 24 Ore, la notte! Io saltavo nel letto per una settimana intera. Ai miei tempi l’endurance si faceva a coppie, soltanto due piloti: ho partecipato sei volte al Bol d’Or, prima a Le Mans con Bonera, Daneu (due edizioni), Sorci, Gallina e infine con Perugini e la V6 Laverda al Castellet nel 1978. Mi vanto in particolare di aver corso la stagione intera dell’endurance 1975 con la 1000 Laverda tre cilindri della squadra ufficiale, in coppia con Augusto Brettoni (terzi alla 1000 km del Mugello) e poi con Roberto Gallina; prendevo 500 mila lire a gara, mica tanto, sono circa 3.000 euro di oggi; poi qualche sponsor personale, il casco, si campava. Stento a crederlo io stesso, ma a Spa-Francorchamps, agosto 1975, con Roberto Gallina coprimmo qualcosa come 3.750 km in due. Concludemmo secondi assoluti dietro alla coppia vincitrice Ruiz-Huguet con la Honda-Japauto, 19 ore su 24 con la pioggia fitta, sulla velocissima (e pericolosa) vecchia pista belga di 14 chilometri e rotti. Senza dormire mai, nemmeno dieci minuti.


 

Quando finalmente la gara era alle spalle e tornavo a casa, cominciava la baraonda. Appena chiudevo gli occhi nel primo sonno, tornavo di nuovo in pista, in piega, e quasi subito la gomma posteriore mi mollava. Il fatto che nella realtà non fossi mai caduto (nelle 24 Ore prima regola non cadere), non incideva affatto: ero al limite bello spianato, la ruota dietro partiva di colpo, per lo spavento saltavo nel letto e mi svegliavo. Tutto lo stress accumulato nella lunga gara andava in qualche modo smaltito. I salti notturni potevano durare anche una settimana o dieci giorni.

Ai tempi miei, anni Settanta, una 1000 derivata dalla serie, gommata Dunlop con le mitiche K81 o K91 (eccezionali anche sul bagnato), poteva piegare intorno ai 44-45 gradi; oggi una SBK preparata per l’endurance arriva vicina ai sessanta gradi di inclinazione, altra storia, altre gomme altre sospensioni e altri telai. Ma è bella la dimostrazione che, a distanza di quasi cinquant’anni, poco è davvero cambiato nelle gare di moto: il limite resta il limite, andare forte ti chiede sempre il massimo della concentrazione, il bagnato resta insidioso e stressante, la notte non vedi quasi nulla di quello che puoi trovare sull’asfalto. La corsa in pista con la moto è un’esperienza fantastica, e l’endurance, ai miei occhi, ancora di più: è una sfida nella sfida.

Nico Endurance