Morire a 13 anni nel troppo silenzio

Morire a 13 anni nel troppo silenzio
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Difficile accettare la morte di un ragazzino di soli 13 anni in una gara motociclistica e ancora più difficile digerire la mancanza di un atto ufficiale in tutta la giornata | di N. Cereghini
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
31 agosto 2010

La tragica morte del tredicenne americano Peter Lenz, domenica scorsa a Indianapolis, apre una serie di interrogativi inquietanti. I fatti sono noti a tutti, ormai: nel giro di allineamento per la gara di domenica mattina, poco dopo le 10 ora locale, Peter è caduto con la sua Moriwaki 250 e purtroppo è stato investito da un altro concorrente, di un anno più piccolo, dodicenne addirittura.
La gara apriva il programma della giornata. La macchina organizzativa era adeguata a una prova del mondiale e i soccorsi sono stati rapidi, il giovanissimo pilota è stato trasportato all’ospedale, i medici si sono prodigati, il coroner ne ha certificato la morte tre ore dopo l’incidente. Dunque intorno alle 13 locali. Si dice però che fin da subito è stato chiaro che ben poco si poteva fare: Peter già in pista era clinicamente morto.

Perché –questa è la prima questione- in tutta la giornata di domenica si è fatto poco o nulla? Nessun atto ufficiale di lutto e di cordoglio. Sappiamo che la Dorna aveva pensato a un minuto di silenzio prima del via della 125, poi rientrato: addirittura, i giornalisti sono stati pregati di ritardare la notizia perché alcuni parenti di Peter non erano ancora informati della tragedia. Meda e Reggiani hanno parlato della morte del ragazzino tra le gare di Moto 2 e MotoGP, ma poi tutto è andato in scena secondo copione: podi, feste, champagne. Peter è stato dimenticato subito. 

La seconda questione è forse ancora più delicata: si tratta di capire quanto senso abbia far correre dei bambini su una pista vera e con moto vere. Se sia accettabile una morte così terribile. E su questo piano io non so proprio cosa dire, perché da una parte penso che non sia giusto negare una passione, ma dall’altra parte sono certo che non si deve morire così piccoli. Credo che sia accettabile che i bambini corrano con le minimoto sulle minipiste, con poca velocità, però metterei dei limiti alle formule superiori. Ma non so adesso esattamente quali.
Ora mi preme di più protestare per questo silenzio quasi assoluto, inaccettabile come quella morte. Perché non si è ricordato Peter almeno a fine giornata, quando tante ore erano passate dall’incidente e i parenti erano stati certamente informati?
Non era forse il caso di pensare a Peter Lenz sul podio della MotoGP?
Tutti avevano il diritto di riflettere a fondo su questo dramma, e quindi scegliere le parole e i comportamenti. Oggi fa male ricordare il podio festante, le risate e lo champagne, le regazze e le feste dei protagonisti. I piloti erano passati dove Peter poco prima stava morendo, sul sangue di Peter lavato via con gli spazzoloni in tutta fretta. Neanche una parola per un bambino appena morto con la moto. Mi dicono che sia stato l’organizzatore americano a volere così.

E invece, ne siamo certi, in tanti avrebbero trovato le parole giuste per ricordarlo come si deve e per provare a consolarci. Soprattutto a freddo, a fine giornata, smaltita l’adrenalina. Penso alle voci di Pedrosa, di Lorenzo, di Rossi, Dovi e Simoncelli. Chissà come si sono sentiti i piloti, il giorno dopo.