Circuiti stradali, l'ennesima tragedia

Robert Dunlop – fratello del compianto Joey - finisce fuori strada a 250 km/h e muore durante la North West 200. Bisogna fermare il gioco?
16 maggio 2008


Non abbiamo la scienza infusa e, di fronte a notizie tanto sconvolgenti, fatichiamo a capire da che parte stia la ragione.
Ci domandiamo però sino a che punto si possa spingere la passione e dove questa non sconfini invece nella irragionevolezza.
Si potrà certo dire che negli sport motoristici il rischio fa parte del mestiere del pilota ed è da quest'ultimo ponderato e accettato. Tutto vero, il motociclismo è e resterà sempre uno sport potenzialmente pericoloso.

Lo sanno i piloti che si sfidano sul filo dei 300 orari, o affrontano le insidie del deserto in tappe massacranti lunghe centinaia di chilometri.
Negli ultimi anni molto si è fatto in tema di sicurezza. Grandi miglioramenti hanno investito gli autodromi e le protezioni dei piloti (l'ultima barriera è l'airbag, che ha già fatto qualche apparizione nel Motomondiale).

Sforzi importanti, che hanno dato grandi risultati. Il tutto è vanificato nel momento in cui si corre sui circuiti stradali, disseminati di trappole letali per i piloti che perdono il controllo del mezzo meccanico.

Il dramma della North West 200
Robert Dunlop
ha perso la vita a causa delle gravissime ferite riportate il 15 maggio durante le prove libere di una competizione classica, la North West 200, che si corre in Irlanda dal 1929 lungo un tracciato stradale di 200 miglia.
In sella alla sua 250 cc, correva sul filo dei 250 km/h quando ha perso il controllo della moto nel tratto Mathers Cross. Il pilota che lo seguiva, Darren Burns, non è riuscito ad evitare l'impatto con la moto di Robert, finendo a sua volta ferito.

King of the road
La notizia ha destato grande commozione nel Regno Unito. Robert era fratello del grande Joey Dunlop, soprannominato in patria "king of the road", vincitore di ben 26 gare al Tourist Trophy (la celebre competizione motociclistica stradale che si corre ogni anno sull'Isola di Man).
Joey  perse la vita nel 2000 in Estonia, mentre correva in sella a una 125 cc da gran premio (nella stessa giornata aveva già vinto le categorie 600 e 750 cc).
Una scivolata, che in pista non avrebbe lasciato traccia sul fisico del pilota, non diede scampo a Dunlop che morì sul colpo finendo contro gli alberi a bordo pista.

Il divieto italiano
Nel 1957 il Parlamento italiano promulgò una legge che vietava le competizioni su strada. Il dibattito fece seguito al drammatico incidente che colpì l'edizione della Mille Miglia di quell'anno.
Il pilota spagnolo Alfonso De Portago perse il controllo della sua Ferrari 355S nei pressi di Goito, nel mantovano.
Il bolide da 400 cavalli, lanciato a oltre 250 km/h, finì la sua corsa tra la folla, provocando una strage. Nove spettatori, oltre al pilota e al copilota (il giornalista americano Edmund Gurner Nelson), persero la vita.
Quella fu l'ultima Mille Miglia agonistica.

Nel primo dopoguerra era prassi correre in sella a potenti motociclette o al volante di autentiche vetture da corsa lungo i circuiti cittadini.
Gli sport motoristici erano agli albori e non c'erano alternative:  tutti i grandi campioni del passato affrontarono le insidie delle piste stradali.

Che senso ha continuare oggi?
I piloti professionisti hanno già dato un'indicazione precisa, rifiutandosi di prendere parte a queste competizioni.


Andrea Perfetti

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