Nico Cereghini: "Trent'anni fa doppio dramma alla Dakar"

 Nico Cereghini: "Trent'anni fa doppio dramma alla Dakar"
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Sta per scattare la Dakar e un pensiero mi sorprende: sono già passati trent'anni da che il suo inventore è scomparso. Trent'anni fa Thierry Sabine precipitò con l'elicottero insieme ad altre quattro persone. 14 gennaio 1986. E ancora non era finita...
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
29 dicembre 2015

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Ciao a tutti! Lasciate che vi racconti. Il primo gennaio il rally più duro del mondo partiva da Versailles ed era una gran festa. All'ottava edizione della Parigi-Algeri-Dakar erano iscritti 282 equipaggi sulle auto, 73 sui camion e 131 motociclisti. Li aspettavano quindicimila chilometri, di cui quasi ottomila di prove speciali.
 

Per la prima volta vivevo la gara davvero, inviato di Mediaset con un operatore tv e il suo assistente. Negli anni successivi avrei seguito la Parigi-Dakar per intero, ma per l'esordio il programma era minimo: tre giorni a Parigi per raccontare la partenza, qualche giorno a Dakar provando a seguire le ultime tre tappe, il resto in redazione combinando immagini e classifiche. I piloti italiani erano forti e numerosi. Ricordo sulla Yamaha Franco Picco, che un anno prima era stato protagonista portando la fama della gara anche in Italia, poi De Petri e il debuttante Orioli sulle Honda mono, Giampaolo Marinoni sulla Cagiva di fianco al mitico Auriol, e ancora Findanno, Boano, Andrea Marinoni, Andrea Balestrieri che partecipava alla Dakar fin dall'83, primo italiano. E Giacomo Vismara con il camion Mercedes Unimog che poi avrebbe vinto la sua categoria.


Così non ero in Africa, ero a Milano quando il 15 gennaio arrivò l'incredibile notizia: Sabine è morto ma la gara continua. Era stato un buon pilota di auto, Thierry: turismo, rally e una 24 ore di Le Mans. Amava anche la moto, e in moto si era perduto nel deserto libico durante la Abdijan-Nizza del '77. Aveva passato due giorni di attesa in piena solitudine, e fu lì che decise di portare centinaia di persone nei deserti africani con una grande gara e una grande organizzazione. L'avventura vera con la migliore assistenza possibile. Era geniale e fantasioso, fu proprio lui a inventare il celebre Enduro del Touquet. Ebbene, il 14 gennaio 1986, intorno alle 19, l'Ecureil bianco della TSO si era attardato troppo e cercava di seguire i fari di un concorrente per arrivare al bivacco di Gourma Raous; mancavano soltanto dieci minuti di volo, ma nel buio il pilota svizzero non vide la duna più alta, nell'urto il velivolo prese fuoco e non ci fu scampo per nessuno. La notizia fu diffusa solo all'alba. Il padre Gilbert Sabine, la compagna Suzanne e il vice-direttore di corsa, Patrick Verdois, dichiararono che il rally doveva continuare, che Thierry aveva considerato anche l'eventualità di una disgrazia così terribile e lo stop era stato escluso.


Partimmo dall'Italia per il Senegal come previsto, credevo che di drammi se ne fossero vissuti già anche troppi eppure no, c'era ancora da soffrire. Ancora adesso non so darmi pace. Riuscimmo a incontrare la carovana soltanto a Sali Portudal per l'arrivo della penultima speciale, e il giorno dopo, 22 gennaio, ci precipitammo al Lago Rosa per la breve finale di 60 km. Poco più che una passeggiata. Tre fotografie nella mia memoria: la gran flemma del giovane Edi Orioli che pure era sesto assoluto e miglior debuttante, la gioia di Ciro De Petri formidabile vincitore di cinque tappe (ben undici andarono agli italiani), la smorfia di dolore di Giampaolo Marinoni accasciato vicino alla sua Cagiva. "Non è niente, al massimo un paio di costole" minimizzava lui con un filo di voce, la caduta a soli 20 km dalla conclusione della gara era stata rovinosa ma non lo aveva fermato. Marinoni era un bergamasco di Rovetta, collaudatore Cagiva e agente della Stradale, due speciali vinte, uno tosto. Lo portarono all'ospedale centrale di Dakar, fu operato d'urgenza per una brutta lesione al fegato, il giorno dopo fu dichiarato fuori pericolo, invece il 24 gennaio intorno alle 20 moriva. Eravamo passati a trovarlo nel pomeriggio, l'operatore tv, il suo assistente ed io, e forse fummo gli ultimi a vederlo in vita. Giampaolo era incosciente e solo, cercammo aiuto: "il pilota italiano sta molto male", ma fummo cacciati in malo modo da un autoritario medico francese e ci arrendemmo. Il mattino dopo all'alba, in aeroporto, qualcuno mi fulminò: "Marinoni è morto". Dall'Italia stava decollando un aereo speciale dei Castiglioni per curarlo a casa. Il 6 febbraio avrebbe fatto trentun anni.

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