Nuove Triumph Cruiser 2014

Nuove Triumph Cruiser 2014
Passeggiata distensiva sui luoghi prediletti dal mitico George Clooney, in sella alle Triumph Cruiser. Tre bicilindriche e la tricilindrica più esagerata mai costruita, equipaggiate con i Metzeler 888 Marathon Ultra
14 maggio 2014

Triumph Motorcycles Italia un paio d’anni fa istituì una simpatica iniziativa per promuovere le sue moto. Nella fattispecie per dare risalto alle diverse famiglie che costituiscono una gamma attualmente composta, se non sbaglio, da 23 modelli, suddivisi tra Adventure, Classics, Cruisers, Roadsters, Supersport e da un’unica Touring, la poderosa Trophy SE1200. Tutte moto con motori a due o tre cilindri, di cubatura che spazia dai 675 cc delle naked Street Triple ai roboanti 2.300 cc della moto più “grossa” del mondo: l’incredibile tricilindrica Rocket III, che attualmente è disponibile nella sola versione Roadster (che nel listino Triumph figura comunque tra le cruiser).


Si iniziò con una bella sgroppata tra amici in sella alle classics (Bonneville, Thruxton e Scrambler) nel magnifico scenario delle Langhe cuneesi, in una splendida giornata baciata dal sole. Lo scorso ottobre, la scampagnata si è ripetuta lungo le verdeggianti colline veronesi della Valpolicella, di nuovo in sella alle duttili bicilindriche da 865 cc.  Quest’anno invece sono state scelte le Cruiser per gustarsi la magica atmosfera lariana. E con noi c’erano anche i rappresentati della Metzeler, per raccontarci le peculiarità delle ME888 Marathon Ultra (in commercio da circa un anno) montate sulle nostre moto. Dunque siamo andati piacevolmente a spasso sulle rive del lago di Como adiacenti al suggestivo promontorio del Ghisallo, che sovrasta Bellagio. Strade notissime a noi lombardi, anche perché proprio attorno alla chiesetta della Madonna del Ghisallo, sita al culmine del promontorio, ogni 1° di Novembre si tiene da decenni l’affollatissimo raduno commemorativo dei caduti del motociclismo.

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Questa volta, dunque, quelle strade ce le siamo goduti in sella a due bicilindriche 865 – Speedmaster ed Americaalla più grossa (sempre in termini di cubatura) cruiser del mondo con motore bicilindrico parallelo – la Thunderbird 1700 Commander – e alla suddetta Rocket III Roadster: una vera “straccia-braccia” con motore a tre cilindri longitudinali e 148 cv in corpo. Ma soprattutto con un picco di coppia massima di ben 22,5 kgm (221 Nm!) a soli 2.750 giri, il che sarebbe già decisamente fuori da comune. Ma va anche detto che già a poco meno di 2.000 giri è disponibile ben il 90% della coppia massima! Traduzione: aprendo il gas in quinta anche da 1.500 giri si schizza via aggrappati al manubrio, come lanciati dalla fionda di Wilcoyote (sono un grande fan del simpaticissimo quanto sfigato eroe dei Looney Tunes…).

 

Triumph Rocket III Roadster studio


La Rocket III


Già, la Rocket III. Il suo progetto iniziò nel 1998, ed il suo nome è quello della celebre tricilindrica BSA, omologa e coeva della mitica Triumph Trident 750. La prima volta che ebbi il piacere di conoscere l’affascinante mostro a due ruote fu nel 2004, durante il lancio tenutosi (chissà come mai?) negli Stati Uniti, dove, manco a dirlo, venne più volte premiata come “Cruiser of the year”, se non addirittura come “Bike of the year”. La “cosa” aveva 140 cv e 20 kgm di coppia, e nel 2006 venne affiancata dalla versione Classic, modificata negli scarichi ed in alcuni altri particolari come pedane e manubrio. Due anni più tardi arrivò anche la Touring, allestita per i viaggi e col motore depotenziato a 100 cv, ma tuttavia con la medesima coppia motrice a disposizione. Ma anche dotata di pneumatici più stretti - in particolare il posteriore, ridotto dal 240/50 ad un più agile 180/70 – ma sempre da 17” davanti e 16” dietro: una scelta che rimase fine solamente a quel modello, oggi non più in produzione. E nel 2010 esordì l’attuale Roadster, la più potente e forzuta delle Rocket III, con 148 cv a 5.750 giri e dotata anche di ABS.


Alcuni dei colleghi partecipanti all’allegra scorribanda lariana non ci erano mai saliti, su una Rocket III. Ma, dopo averla approcciata con giustificabile diffidenza , hanno dovuto convenire che guidare questa specie di rimorchiatore a due ruote è davvero un’esperienza mistica, perfino su percorsi guidati come quello prescelto. Andando a spasso, in sella ci si sta da pascià, seduti a 75 cm da terra con il corpulento serbatoio da 24 litri (però sembra più capiente) che tiene larghe le gambe, e con sotto un motorone con gli scoppi fasati a 120° che ruggisce da far venire i brividi. Chiaramente la seduta è a busto eretto, col manubrio piuttosto largo e gli stinchi praticamente verticali: un assetto che naturalmente patisce parecchio le brutali accelerazioni che il mega-triple britannico regala ad un pilota che si trova letteralmente aggrappato al manubrio, magari con il gommone posteriore che “scrive” sull’asfalto. Ci vogliono braccia robuste, insomma, per stuzzicare questa motona che ti guarda con gli stessi occhioni delle vecchie Speed Triple. E certamente va tenuto conto che il consumo medio di un motore come il suo è ben più vicino ai 10 che ai 15 km/litro. Il che probabilmente farà arricciare il naso a chi prevede lunghi viaggi, naturalmente dopo aver montato il parabrezza disponibile nella gamma accessori (a ben 522 euro), piuttosto che il piccolo cupolino sport, che costa meno della metà ma proteggerà anche molto meno.


Da notare che il cambio è a 5 marce, ma ne basterebbero anche solo 3, e che la trasmissione finale, impeccabile, è ad albero cardanico. Il quale, assieme al contralbero di bilanciamento e agli alberi del cambio, è controrotante rispetto all’albero motore longitudinale, per annullare una coppia di rovesciamento che in effetti è ben poco avvertibile, anche sgasando da fermi per bearsi del vocione del bestione. Un albero motore da ben 17 kg, e posizionato molto in basso, che non può che far bene al baricentro e dunque alla guidabilità. Quasi inesistenti le vibrazioni - poca roba, in zona pedane - e tutto abbastanza confortevoli le sospensioni, anche se guidare con passo brillante i 3,7 quintali dell’ordigno col serbatoio pieno su un percorso tutto curve innescherà inevitabilmente qualche “pompatina” al posteriore se l’asfalto non è perfetto. Chiaramente gli angoli di piega son quelli che sono, tipici del mondo cruiser, quindi piuttosto limitati. Ed altrettanto ovviamente le manovre a spinta e il traffico intenso risultano piuttosto impegnativi, con la Rocket. Tuttavia, prese le doverose misure a questa esclusiva supercruiser da oltre 220 orari, ci si può divertire anche sul misto. Soddisfacenti i freni: due dischi anteriori flottanti da 320 mm, con le pinze a 4 pistoncini ex Daytona 955 - montate su una forcella Upside-Down con steli da 43 mm - e un disco da 316 mm dietro con pinza a 2 pistoncini, ben gestiti da un ABS di serie molto ben accetto, a maggior ragione su un mezzo di questo calibro e stazza, che vien via dal concessionario a 17.190 euro.

 

T Commander static012


La Thunderbird Commander


Il nome Thunderbird è davvero leggendario per Triumph, che al motor show londinese di Earls Court del 1948 esibì la prima bicilindrica “T-Bird” progettata dal mitico Edward “Ted” Turner, concedendo qualche anno dopo nientemeno che alla Ford la facoltà di dar lo stesso nome alla vettura forse più iconica della sua storia, prodotta per mezzo secolo a partire dal 1955. Dopo la Rocket III, anche l’attuale Triumph Thunderbird rappresenta dunque un altro Guinness dei primati, visto che fin dal suo esordio, nel 2008, poteva vantare il più grosso bicilindrico parallelo mai costruito per una moto, peraltro caratterizzato dalla fasatura “asincrona” di 270°, e dalla trasmissione finale a cinghia dentata, che ricompariva su una Triumph dal lontano 1922. Un gran bel pezzo di meccanica e magnifico da vedere, raffreddato a liquido e con cilindrata effettiva di 1.597 cc.
Ma già allora era disponibile un kit “big bore” per chi volesse elevarne la cilindrata a quota 1.700, e la potenza da 86 a 98 cv, sempre a 4.850 giri. Chiaramente anche in questo caso i valori di coppia massima sono quantomeno generosi: 14,9 kgm (146 Nm) per il 1.600, e 15,8 kgm (155 Nm) per il 1.700, a soli 2.750 giri! Ed è del 2011 la Thunderbird Storm 1700, che di fatto ha “esodato” il motore precedente adottando a sua volta, nel contempo, i due fari tondi tanto cari ai nostalgici delle vecchie Speed. E che figura in listino a 16.900 euro, incluso l’ABS, presente all’origine anche sui nuovi modelli di quest’anno: la LT (18.530 euro, solo su ordinazione) e la Commander usata per questo test, che costa 17.590 euro ed è disponibile in due colorazioni bicolori: Crimson Sunset Red/Lava Red e Phantom Black/Storm Grey. Presso alcuni concessionari Triumph, tuttavia, è ancora disponibile quale T-Bird 1600, al prezzo di 15.300 euro in livrea monocolore e 15.700 bicolore.
Thunderbird Commander
Thunderbird Commander


Altro grosso calibro, la Commander, possente custom dal vocione stentoreo, coi pistoni da ben 107 mm di diametro sui quali pesa l’onere di muovere una massa di 350 kg col pieno di 22 litri (oltre a pilota e passeggero), in cooperazione col cambio a 6 marce e ad una robusta e silenziosissima cinghia di trasmissione finale, garantita per una durata tripla rispetto agli standard attuali. Da notare che per questo modello il costruttore dichiara una potenza ed una coppia inferiori rispetto alla Storm - 94 cv a 5.400 giri (contro 98/5.200) e 15,4 kgm a 3.500 giri anziché 15,9 a 2.950 - per addolcirne un pochino l’erogazione. Poco male: il vigorosissimo twin britannico risponde comunque con gran prontezza, e con vibrazioni sempre piacevolmente contenute, anche dando gas in sesta da meno di 1.500 giri! Però non si tira certo indietro quando si voglia allungare il passo insistendo un po’ di più con le marce, nel caso ci si stufi di andare tranquillamente a spasso.
È molto comoda la Commander, che gode di un imperiale sellone a tripla imbottitura differenziata, appositamente ridisegnato modificando addirittura la parte posteriore del telaio, e di sospensioni davvero efficaci, anche sullo sconnesso. Tra l’altro anche qui si siede a soli 70 centimetri da terra, con le braccia rilassate ed i piedi, appoggiati sulle ampie pedanone, che lavorano di punta sul freno posteriore e di punta/tacco sul pedale del cambio a bilanciere, non rapidissimo, però preciso e modestamente rumoroso. Il pedale a bilanciere, sulle prime, potrà anche imbarazzare i meno esperti, ma ha senz’altro il merito di non rovinare le scarpe. E comunque lo si può sempre usare anche in maniera tradizionale, utilizzandone solo la parte anteriore.


L’avantreno della Commander appare pesantuccio nelle manovre strette, ma basta prendere un minimo di velocità per iniziare a godersi una guida piacevolmente precisa, e con una luce a terra che tutto sommato consente di non consumare per forza sull’asfalto le pedane, che comunque sono astutamente dotate di appositi slider sostituibili.

Tenendo andature allegre si guida davvero rilassati in sella alla massiccia big twin, cullati dal ronfare pacatamente imperioso da gigante buono che alloggia sotto al serbatoio


Anche tenendo andature allegre si guida davvero rilassati in sella alla massiccia big twin, cullati dal ronfare pacatamente imperioso da gigante buono che alloggia sotto al serbatoio. Complici di questa piacevolezza di guida sono senz’altro la rigorosità della ciclistica ed i pneumatici: i radiali Metzeler ME888 Marathon Ultra (ai quali riserviamo più avanti un’apposito spazio), che in questo caso sono da 120/70x19” davanti e da 200/50x17” dietro. Ma senz’altro rassicura anche il potente impianto frenante - costituito da 3 dischi da 310 mm, gli anteriori morsi da pinze a 4 pistoncini, mentre la posteriore è a doppio pistoncino – la cui modulabilità aiuta senz’altro a guidare più fluidamente, specie quando i rettilinei si trasformano in una serie di curve e tornanti.

 

MY14 America Location 3


Speedmaster ed America


Alle soglie del nuovo millennio, ad Hinckley iniziarono ad esplorare il segmento custom/cruiser, fino ad allora mai sfiorato da Triumph. E fu nel 2002 che arrivarono due nuovi modelli, ovviamente mirati in particolare al mercato U.S.A., tant’è che il lancio internazionale ebbe luogo in quel di Santa Barbara, California, e colline retrostanti. L’obiettivo era chiaramente quello di andare a stuzzicare in casa sua il colosso Harley-Davidson, grazie anche ad un marchio parimenti leggendario ed ultrasecolare, oltre che storicamente molto apprezzato dai biker yankee.  Le due nuove arrivate si chiamavano Speedmaster e America: la prima con connotazione chiaramente custom, la seconda più marcatamente cruiser. Entrambe erano ovviamente spinte del già celebre bicilindrico da 790 cc a carburatori della Bonneville, sostituito nel 2005 dalla versione maggiorata a 865 cc. Due anni più tardi arrivò (come sulla Bonneville) l’iniezione elettronica, con corpi farfallati disegnati in modo da sembrare carburatori a depressione: astuto ed esteticamente riuscito accorgimento, studiato per cercare di scontentare il meno possibile i patiti del “cari, vecchi carbs”.


Il motore delle due nuove arrivate differiva però da quello della Bonnie per via della fasatura degli scoppi a 270° (anziché 360°), che nel 2006 venne adottata anche sulla neonata Scrambler. Una soluzione tecnica che regala più allungo senza perdere granché in termini di coppia e dolcezza ai bassi; ma sacrificando però il suono magnificamente “rotondo” del bicilindrico parallelo con scoppi a 360°. Parere strettamente personale, sia chiaro, come lo è la mia avversione alla trasmissione finale a catena anziché a cinghia dentata, chiaramente molto più pulita e del tutto priva di manutenzione, oltre che esteticamente ben più gradevole su moto del genere.

Triumph America
Triumph America


Proprio grazie ai loro motori bicilindrici paralleli, dunque, anche Speedmaster ed America erano, e continuano ad esserlo, motociclette distintive in questo fascia di cilindrata. E in versione 2014 sono state oggetto di alcune rivisitazioni tecniche ed estetiche. Su entrambe troviamo infatti nuovi silenziatori dal sound più accattivante (con estremità a taglio obliquo sulla Speed), e lavorazioni di abbellimento sul blocco cilindri e sulle alette di raffreddamento delle teste. Inoltre le alette del radiatore dell’olio ora sono nere.


Sulla Speedmaster, il colore nero ricopre anche faro, manubrio, ruote, corona della trasmissione finale, pedali di freno e cambio e relative piastre di supporto, molle degli ammortizzatori, supporti del parafango posteriore, coperchio dell’airbox e piastra di fissaggio della batteria E sono anodizzati in nero anche i tappi del manubrio, con dettagli in rilievo lavorato. La più snella e meno costosa delle Triumph custom, rivale naturale delle Harley 883, costa 9.290 euro, franco concessionario.


Sull’America spiccano invece coperchio frizione e paracatena cromati, il coperchio della batteria lucidato e le alette del radiatore dell’olio nere. Ma sono arrivate anche le pedanone anteriori, col pedale del cambio a bilanciere e quello del freno più largo. Ed esordisce la verniciatura bicolore rosso su rosso (Cinder Red/Morello Red) ad affiancare il classico Phantom Black, nera e grigia. In entrambi i casi, il prezzo è di 9.690. Il listino Triumph, però, include ancora le versioni monocolore (9.490 euro) ed LT, allestita per i viaggi, a 10.590 euro.


La Speedmaster è senz’altro più snella a vedersi, vuoi per i parafanghi meno avvolgenti, vuoi per le ruote in lega nere a 3 razze, soprattutto l’anteriore con cerchio da 2,5”, che monta uno stretto pneumatico da 100/90x19” contro il 130/80x15” su cerchio da 3” dell’America, che monta ruote nettamente differenti, chiare e a 12 razze. Entrambe le moto, tuttavia, posteriormente hanno cerchi da 4” con pneumatici da 170/80x15”. E condividono anche i freni: disco anteriore da 300 mm e posteriore da 285, con pinze a doppio pistoncino. Purtroppo senza ABS, non ancora previsto sulle cruiser “piccole” né sulle Classics.

La Speedmaster è senz’altro più snella a vedersi dell'America


Accomunate da un telaio a doppia culla in acciaio, queste due Triumph hanno forcelle con steli da 41 mm (coperti sulla seconda), ammortizzatori posteriori con escursioni da 84 e 96 mm, e sella alta solo 69 cm da terra. E se la Speed monta un manubrio drag-bar con raiser alti e marcatamente arretrati, e pedane avanzate normali, l’altra è caratterizzata dal manubrione molto ampio, e, come già detto, da ampie predelle poggiapiedi anteriori. Cambiano però le quote caratteristiche delle rispettive ciclistiche, di poco l’interasse (1600 mm sulla Speed, 1.610 sull’America), un po’ più le misure di avancorsa, più pronunciata sulla Speed: 170,4 mm, con canotto di sterzo inclinato di 33,8°, mentre l’America denuncia 143 mm e 33°.
Quanto alle strumentazioni, in entrambi i casi sopra ai fari troviamo un tachimetro analogico inglobante il piccolo display digitale, che indica i chilometraggi totale e parziale e l’ora. La Speed, però, nella consolle che sormonta il serbatoio incorpora anche il contagiri analogico, circondato dalle varie spie di servizio.
Quanto ai pesi, Triumph dichiara 250 kg col pieno di benzina di 19,5 litri, per entrambi i modelli.


Il motore di Speedmaster ed America eroga 61 cv (44,8 kW) a 6.800 giri, con una coppia massima di 7,34 kgm (72 NM) a soli 3.300 giri: quindi è più potente ed ha una coppia più favorevole rispetto al gemello che equipaggia la Scrambler, accreditato di 59 cv a parità di giri e 6,94 kgm a 4.750. Per completezza di informazione, riportiamo anche i dati relativi ai motori delle Bonneville e della Thruxton, peraltro quasi identici. Per le prime vengono dichiarati 68 cv a 7.500 giri, con 6,94 kgm di coppia a 5.800, mentre per la seconda siamo a 69 cv/7.400 giri e 7 kgm a parità di regime. Chi conosce queste moto sa bene quando siano parche consumatrici: i dati dichiarati dal costruttore, peraltro, riportano percorrenze di poco oltre 20 km/l nel ciclo urbano, 25,6 km/l alla velocità di 90 km/h, e 20 km/l a 120 orari.


La Triumph America, complice anche qui il baricentro molto favorevole che del resto non può certo mancare su moto di questa stazza e categoria, si guida con molta facilità. È docile nella manovre, piacevole anche lungo i tornanti, sempre molto dolce in ogni sua espressione, dal lavoro dei comandi a mano ed a pedale all’erogazione senza pecche del suo motore, che spinge bene ai bassi e ai medi con una apprezzabile vivacità anche più in alto, vibrando poco o niente. Si viaggia bene sul sellone dell’America, che affronta con buona volontà e precisione anche i tornanti senza mettere mai in difficoltà, per la sua facilità di guida, pacata ma efficace, anche se, per forza di cose, non certo consigliabile a piegaioli incalliti. Chiaro che in città e nel traffico serrato le pedane così avanti finiscano per penalizzare un po’, specie i “neo-customisti” in fase di apprendistato. Durante il nostro giro, tra l’altro, non ho avvertito calore fastidioso provenire dal motore. Una moto che spinge a viaggiare, questa America, a patto di dotarla degli accessori specifici che non mancano certo in Casa Triumph. A meno di non optare direttamente per la già citata versione LT.

Triumph Speedmaster
Triumph Speedmaster


Lasciamo per ultima la cruiser più immediatamente godibile della gamma Triumph, cioè la Speedmaster, che su curve e tornanti si è confermata la più facile e divertente del gruppo. Divertente sempre, dalla città alla montagna, grazie alla ruota anteriore smilza che facilita la vita, alleggerendo sensibilmente l’avantreno anche nelle manovre strette, piuttosto che in fase di parcheggio. La Speedmaster, insomma, sembra molto più leggera da portare, con lei vien voglia di guidare più spediti, seduti su una sella tipo Badlander discretamente comoda, anche se magari non troppo per chi sta dietro: sia qui che sull’America, in ogni caso, l’eventuale passeggero ringrazierà vivamente per l’eventuale presenza di un salutare sissy bar al quale poggiare almeno in parte la schiena, sempre reperibile al reparto accessori.


Il lavoro delle sospensioni, sue entrambe queste moto, è decisamente apprezzabile, soprattutto, dietro: gli ammortizzatori marcatamente inclinati sono infatti garanzia di maggior progressione nell’assorbire le asperità, e non inficiano certo la stabilità di una ciclistica che certamente più di tanto non può offrire in termini di inclinazione, ma che comunque, ripeto, è piacevolmente divertente. Ma anche i freni aiutano, specie per la loro buona progressività d’intervento: potenza buona dietro, non eclatante ma comunque apprezzabile anche davanti, senza dover farsi venire i calli alle mani per fermarsi.


Le Metzeler ME888 Marathon Ultra


Come già sottolineato, le moto provate erano dotate di pneumatici Metzeler ME 888 Marathon Ultra, espressamente dedicati al mondo custom. Soprannominato “Triple 8” dai biker statunitensi, l’ME 888 Marathon Ultra è l'erede del famoso ME 880 Marathon (il primo pneumatico con cintura acciaio a 0° dedicato alle custom), rispetto al quale il Costruttore dichiara un notevole aumento della durata senza nulla perdere a livello di grip, sull’asciutto come sul bagnato.
Un risultato decisamente apprezzabile, ottenuto naturalmente grazie all’oculata scelta dei materiali e all’ottimizzazione dei principali fattori che costituiscono uno pneumatico da moto: ovvero mescola, struttura, disegno del battistrada e profilo della carcassa.

Inoltre, l’ME 888 Marathon Ultra è disponibile anche nella misura 23 pollici anteriore (inedita per Metzeler), ideale per chi voglia trasformare la propria motocicletta in bagger; ed anche nelle affascinanti versioni whitewall dai fianchi bianchi, gettonatissime tra i customizer più “cool: in questo caso Metzeler prevede 12 misure, 5 all’anteriore e 7 al posteriore, in grado quindi di equipaggiare i modelli più gettonati dei segmenti heavy- touring, V-Twin e metric cruisers, offrendo le medesime prestazioni degli omologhi blackwall.
Metzeler ME888 Marathon Ultra
Metzeler ME888 Marathon Ultra


Il miglioramento in termini di mescola,
rispetto all’ME 880 è stato ottenuto  lavorando sui materiali utilizzati e sul processo di lavorazione.
I polimeri scelti per la nuova mescola possiedono maggiore resistenza all’abrasione, dunque sono in grado di assicurare percorrenze chilometriche superiori, mantenendo però un ottimo grip anche sul bagnato, grazie all’impiego di speciali resine di nuova formulazione. Il tutto garantendo omogenea la resistenza all’abrasione per tutta la vita dello pneumatico.


L’aumento del chilometraggio è stato ottenuto lavorando su struttura e carcassa, studiando una geometria delle tele più appiattita e allargata rispetto a quella utilizzata normalmente su gomme a costruzione convenzionale. Il nuovo schema riduce diminuisce la deformazione della carcassa nella zona dell’impronta a terra, con ovvi benefici in termini di uniformità della pressione di contatto unita ad un riscaldamento inferiore: la deformazione è quindi maggiormente concentrata sui fianchi, dove viene dissipata senza interferire con l’area di contatto con la strada. Vien da sé che la resa chilometrica e la consistenza prestazionale della mescola non possono che trarne giovamento.


L’incremento del chilometraggio è stato ottenuto anche operando sul disegno del battistrada, in particolare per ottenere una maggiore uniformità dell’usura: grazie alla particolare alternanza di pieni e vuoti il battistrada è più solido, e la mescola stessa risulta meno sollecitata nell’area di impronta, riducendo dunque il trasferimento delle forze stressanti dal battistrada alle cinture ed alle tele della carcassa. Il disegno del battistrada conferisce dunque all’ME 888 Marathon Ultra non solo maggior durata rispetto al predecessore ME880, ma anche una superiore capacità drenante sul bagnato, a favore della sicurezza specialmente in condizioni di possibile acquaplaning.


Grazie al profilo a sua volta ridisegnato e alle già citate soluzioni tecniche in area carcassa e struttura, infine, l’area di contatto del “Triple8” è più corta del 5% e più larga del 15% rispetto a prima: questo perché più lunga è l’impronta a terra e maggiore è l’usura del battistrada, ovviamente per via delle deformazioni a cui è sottoposta la mescola a contatto con il suolo. Un’impronta più corta e larga aiuta invece a distribuire meglio la forza necessaria a trasferire a terra la potenza, riducendo il surriscaldamento della superficie dello pneumatico dovuto ad effetti di scivolamento. Surriscaldamento che peraltro la stessa cintura in fili intrecciati d’acciaio avvolta longitudinalmente sulla carcassa contribuisce a limitare.
Secondo le dichiarazioni di Metzeler, l’ME 888 Marathon Ultra si posiziona quindi a tutti gli effetti al top della sua categoria in termini di resa chilometrica, conservando nel contempo praticamente invariate le sue caratteristiche di manegevolezza, stabilità, sicurezza e comfort per l’intero ciclo di vita.


ME 888 Marathon Ultra è disponibile nelle seguenti misure:
(* fitment Triumph)


Anteriore
16 130/90 - 16 M/C TL 67H *
MT90 B 16 M/C TL 72H
17 130/80 B 17 M/C TL 65H
18 130/70 R 18 M/C 63H TL
19 100/90 - 19 M/C TL 57H *
21 MH90 - 21 M/C 54H TL
23 130/60 B 23 M/C 65H TL


Anteriore Whitewall

MT90 B 16 M/C 72H TL
17 130/80 B 17 M/C 65H TL
19 100/90 - 19 M/C 57H TL *
21 MH90 - 21 M/C 54H TL


Posteriore

15 140/90 B 15 M/C 70H TL
170/80 B 15 M/CTL 77H *
16 130/90 B 16M/C REINF TL 73H
140/90 B 16 M/C 77H TL
150/80 B 16 M/C REINF TL 77H
180/60 R 16 M/C 80 H Reinf TL
180/65 B 16 M/C REINF TL 81H
MT90 B 16 M/C TL 74H
MU85 B 16 M/C TL 77H
17 160/70 B 17 M/C 79V Reinf TL


Posteriore Whitewall

15 170/80 B 15 M/C 77H TL *
16 130/90 B 16 M/C 73H Reinf TL
140/90 B 16 M/C 77H TL
150/80 B 16 M/C 77H Reinf TL
180/65 B 16 M/C 81H Reinf TL
MT90 B 16 M/C 74H TL
MU85 B 16 M/C 77H TL

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Cambia moto
Triumph America LT (2014)
Triumph

Triumph
Via R. Morandi, 27/B
20090 Segrate (MI) - Italia
02 84130994
[email protected]
https://www.triumphmotorcycles.it

  • Prezzo 10.590 €
  • Cilindrata 865 cc
  • Potenza 61 cv
  • Peso 270 kg
  • Sella 690 mm
  • Serbatoio 19 lt
Triumph

Triumph
Via R. Morandi, 27/B
20090 Segrate (MI) - Italia
02 84130994
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https://www.triumphmotorcycles.it

Scheda tecnica Triumph America LT (2014)

Cilindrata
865 cc
Cilindri
2 in linea
Categoria
Custom
Potenza
61 cv 45 kw 6.800 rpm
Peso
270 kg
Sella
690 mm
Inizio Fine produzione
2013 2014
tutti i dati

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