USA. Da Flagstaff ad Austin, attraverso la "steppa" di New Mexico e Texas

USA. Da Flagstaff ad Austin, attraverso la "steppa" di New Mexico e Texas
Al momento di partire da Flagstaff abbiamo voluto assolutamente visitare Sedona e il suo Red Rock park, prima di fare tappa nella piccola Jerome, la città degli artisti, arroccata su un picco che domina le colline circostanti...
23 aprile 2014

 Al momento di partire da Flagstaff abbiamo voluto assolutamente visitare Sedona e il suo Red Rock park, prima di fare tappa nella piccola Jerome, arroccata su un picco che domina le colline circostanti. Jerome era sede di una miniera che per anni ha attirato capitali e manodopera, ma di colpo la vena si è esaurita e in breve il paesello si è trasformato in una città fantasma. Solo di recente un gruppo di artisti ha deciso di trasferisti qui e ha trasformato le vecchie botteghe in gallerie ed ateliers, dando nuova vita a tutta la zona. Sempre a Jerome  abbiamo mangiato un hamburger delizioso, che abbiamo potuto assaporare solo grazie alla geniale idea del proprietario del bar: una ventola piazzata in corrispondenza del camino della cucina, che in pratica spargeva il profumo celestiale per tutta la strada e letteralmente ti prendeva per il naso e trascinava dentro, come si vede in certi cartoni animati. Noi stavamo passando in moto e non abbiamo fatto 100 metri che abbiamo deciso di fermarci e seguire la traccia del profumino...

Dopo la pausa pranzo siamo scesi a valle verso Cottonwood dove abbiamo preso la AZ260 East, un tratto di strada che taglia il deserto ed è totalmente noioso, al punto di necessitare un paio di 5 Hours Energy shots a testa. Il territorio diventa interessante al moneto in cui si congiunge alla AZ87 North, che riporta verso la interstate I-40. Si attraversa un bellissimo bosco millenario del quale però non conservo un ricordo molto positivo, a causa del terribile temporale che ci ha colto di sorpresa mentre eravamo immersi nella foresta. Con fulmini che cadevano da tutte le parti ero sicuro che prima o poi uno avrebbe beccato anche me, una sensazione davvero brutta e che non auguro a nessuno. Potevo letteralmente vedere i fulmini cadere dal cielo nero davanti a me e la fragore del tuono era assordante. Il fatto che sia qui a scriverne dimostra che comunque alla fine non sono stato incenerito.


Dopo quasi un'ora sotto il temporale ci siamo fermati su un lungo rettilineo in mezzo al nulla per togliere le tute antiacqua e il silenzio sembrava irreale! La AZ87 si congiunge alla I-40 in corrispondenza di Winslow, AZ che alcuni di voi ricordano per essere nominato nella canzone "Take it Easy" degli Eagles, che dice: "Well, I'm a standing on a corner in Winslow, Arizona and such a fine sight to see / It's a girl, my Lord, in a flatbed Ford slowin' down to take a look at me". Beh, provate un po' ad indovinare? Gli americani hanno trasformato questo incrocio nel mezzo del deserto in un vero e proprio museo all'aria aperta, con tanto di statua che ritrae il protagonista della canzone e il relativo pickup Ford da cui la ragazza lo adocchiava. Il tutto condito, ovviamente da un paio di negozi di souvenir e qualche vending machine della Coca Cola.

Pensare che noi in Italia abbiamo tanti tesori veri, patrimonio storico dell'umanità e li teniamo chiusi a marcire...
Pagato l'obolo nella forma di un paio di adesivi e una magliettina, siamo ripartiti alla volta di Albuquerque. La interstate è decisamente noiosa, tutta dritta, ma una menzione la meritano le stupende "mesa" allineate sulla sinistra al momento in cui si entra in New Mexico. Affiancano la strada maestose ed in formazione come una flotta imponente di navi da guerra!

L'ultimo tratto di strada per la giornata lo abbiamo percorso di notte, in una condizione irreale grazie a due temporali che convergevano da destra e da sinistra di fronte a noi, le cui saette a tratti illuminavano a giorno la notte nera come l'inchiostro. Per fortuna non abbiamo preso altra acqua e siamo arrivati ad Albuquerque perfettamente asciutti.

La città principale del New Mexico (la cui capitale è Santa Fe) è piena di giovani e molto vitale. Siamo stati a cena in un locale in centro dove c'era una band che suonava dal vivo e anche molto "movimento" nonostante fosse un tranquillo giorno feriale. Il giorno dopo, prima di ripartire, abbiamo fatto colazione nella città vecchia, che è stata in parte conservata ed in parte ricostruita nella zone che un tempo era il centro di Albuquerque. C'è una bella piazza con una antica chiesa (relativamente parlando...) e una serie di basse costrizioni in stile Tex Willer, per intendersi.

Siamo ripartiti a pancia piena per affrontare un altro mare di miglia di deserto prima di entrare in Texas ed arrivare ad Amarillo. Anche qui una serie di benzinai chiusi (ma che dall'autostrada segnalavano come aperti) mi hanno fatto finire quasi a secco... non sarebbe stata certo una bella esperienza sotto il sole bruciante del Lone Star State!
 

Di Amarillo c'è ben poco da dire e la sua parte più interessante, perlomeno in chiave internazionale, si trova ben prima di entrare in città, su un tratto della Route 66. Parlo ovviamente di Cadillac Ranch, una installazione artistica creata nel 1974 che celebra l'epopea delle Cadillac con le pinne. Si trova su un pezzo di terreno privato (accessibile a tutti) e nel 1997 è stata letteralmente trapiantata qui dopo che il vecchio terreno su cui si trovava, di poco più vicino alla città, è stato venduto ad un grosso gruppo immobiliare.

Come già saprete, Cadillac Ranch consiste in una fila di vecchie Cadillac, dal 1949 al 1963, impiantate di muso nel terreno seguendo la stessa inclinazione della piramide di Giza in Egitto (!?!). La loro decorazione originale è cambiata negli anni, e il proprietario del terreno e gran mecenate artistico Stanley Marsh III˚ ha sempre incoraggiato nuovi artisti a decorare le auto in modo sempre diverso. Il tutto è degenerato in una serie di sgorbi orrendi e graffiti più o meno apprezzabili... Periodicamnte le auto vengono riverniciate di bianco e si riparte da zero. Quando siamo passati noi la zona intorno alle auto era un pantano a causa dei recenti temporali, ma non è stato un deterrente per un folto gruppo di adolescenti armati di bombolette spray, che stavano pasticciando le povere Caddy in modo orribile. Magari invece sono io che non capisco l'arte.

Da Amarillo, che alla fine non abbiamo nemmeno visitato, abbiamo puntato a sudest verso Austin, tagliando attraverso il cuore del Texas. È uno stato enorme e decisamente brullo, ma nasconde alcuni tratti dallo spirito bucolico, con enormi pascoli e praterie verdi smeraldo. Ci sono anche moltissimo pozzi di petrolio e zone di estrazione del gas naturale, e l'odore di zolfo ci ha accompagnati per la maggior parte del tragitto fino a Snyder, dove ci siamo fermati per la notte.

Se ancora esiste il concetto di "frontiera" Snyder ne è l'esempio perfetto. Fondata nella seconda metà del 1800 da Henry Snider come campo base per la caccia al bisonte, la cittadina ha visto un vero e proprio boom nel 1948 quando è stato scoperto il primo piacimento petrolifero. Qui c'è ancora una perfetta ricostruzione di una vecchia stazione di servizio dove ci siamo fermati a fare qualche foto.

Per cena abbiamo mangiato un hamburger in un localaccio dove tutti i presenti non ci hanno tolto di dosso gli occhi dal momento in cui siamo entrati al momento in cui siamo usciti. Dire che non mi sono sentito il benvenuto è un eufemismo! Al mattino abbiamo dovuto fare i conti con l'unico problema tecnico rilevato sulla Valorosa per tutta la durata del viaggio: una piccola perdita dal filtro dell'olio, che si era leggermente allentato dopo tutte le vibrazioni sopportate percorrendo la Route 66. Ci siamo fermati in un negozio di ricambi che sembrava conservatosi intatto dagli Anni '50. C'erano tutti i pezzi immaginabili per ogni vecchia Harley, compresi i vecchi motori Panhead e Knuclehead... un sogno per gli appassionati. Il proprietario, vintage anche lui, è stato molto gentile e dopo una bella stretta al filtro ed una piccola aggiunta d'olio siamo ripartiti verso Austin, dove siamo arrivati nel pomeriggio del nostro 23˚ day on the road.

Pietro Ambrosioni