Suzuki Bike Day: sul Carpegna con il CT

Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
Bici, muscolari o a pedalata assistita, passione e beneficenza per una gran bella giornata sul passo più amato da Pantani dietro a Davide Cassani. C’eravamo anche noi!
  • Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
20 luglio 2021

Telai, moto, auto, motori marini. Nella storia di Suzuki ci sono davvero tante cose, ma di biciclette non c’è traccia. Ho controllato e ricontrollato, prima di partire alla volta di Carpegna (splendida località di montagna appena dietro San Marino, in quel Montefeltro che unisce Emilia-Romagna e Marche in un territorio dalle caratteristiche tutte sue) e confermo: la Casa di Hamamatsu non si è mai cimentata nelle due ruote a… propulsione umana.

Eppure, il legame della filiale italiana con il ciclismo è molto forte. Sarà che quel 1909 in cui Michio Suzuki ha fondato la casa che ancora oggi ne porta il nome è lo stesso che ha tenuto a battesimo la prima edizione del Giro d’Italia, sarà che lo sport in generale, e i suoi valori, sono profondamente integrati nel DNA di Suzuki, fatto sta che per qualche motivo durante la conferenza stampa al Palazzo dei Principi, il presidente di Suzuki italia Massimo Nalli mi sembra dire le cose più naturali del mondo.

Suzuki ha sempre lavorato per aiutare l’uomo a vivere meglio. In tantissimi modi diversi: da quel telaio sopra citato alle prime moto - biciclette a motore, di fatto antesignane delle attuali e-bike - e poi auto e motori marini. Tutti oggetti che semplificano o rendono più divertente e appassionante la vita, e che spingono verso quello sport che in Giappone è considerato sacro. Da qui le partnership con tre federazioni italiane: la ciclistica FCI, la FISG (per gli sport del ghiaccio) e la FIR del Rugby. E se a Carpegna non c’erano rugbisti, per le altre discipline c’erano Carolina Kostner, stupefacente per simpatia, modestia e semplicità (soprattutto considerando il palmares che non finisce più…) e soprattutto Davide Cassani.

 

Da sinistra Carolina Kostner, Davide Cassani, il sindaco Mirko Ruggeri e il presidente di Suzuki italia Massimo Nalli
Da sinistra Carolina Kostner, Davide Cassani, il sindaco Mirko Ruggeri e il presidente di Suzuki italia Massimo Nalli

 

È stato proprio Davide, interpellato da Suzuki, a scegliere il teatro di questo primo Bike Day. Senza esitazioni, dice Nalli: “Quando gli ho chiesto ‘Davide, dove lo facciamo?’ mi ha risposto immediatamente ‘Sul Carpegna’”. Sulla celebre Salita del Cippo, diventata ormai Salita Pantani perché proprio lì il Pirata si allenava. Con le sue stesse parole “Sul Carpegna ho costruito alcune delle mie vittorie più belle”.

E il Carpegna è una salita storica. “È entrata nella storia del Giro d’Italia nel 1969, quando vi è stata inserita per la prima volta” spiega Cassani. “Ed è piaciuta così tanto che nelle edizioni del 1973 e 1974 è stata addirittura arrivo di tappa. Sono state due annate fantastiche, con le sfide Merckx - Fuente. Successivamente è passata un po’ in secondo piano, per poi rientrare nel Giro nel 2008."

L’idea che è venuta a Massimo Nalli, assieme a Cassani, è di quelle che fanno scuola: creare giornate in cui Suzuki regala le salite più iconiche del ciclismo agli appassionati, chiuse al traffico - paradossale, se volete, per un’azienda il cui core business è vendere auto e moto, il che vi dà la misura di quanto ci credano - in una vera festa dello sport. E non solo, perché con le eBike, che si diffondono sempre di più, anche i meno allenati - amici e famiglie degli appassionati di cui sopra, per esempio - possono arrivare in cima senza… morire sui pedali. Quindi questo è il primo Suzuki Bike Day; ancora prima di iniziare Davide e Massimo svelano che nel 2022 si spera di replicare, magari nella data prevista in origine - il 2 giugno, festa nazionale nonché vigilia della giornata mondiale della bicicletta, che cade il 3 - con location ancora da definire.

Territorio, ciclismo e beneficenza

Carpegna è località di vacanza e turismo - d’inverno ci si scia - e l’accoglienza è di prim’ordine (il prosciutto lo conoscete, vero?) come ricorda il sindaco Ruggeri, che fa gli onori di casa. Ma è anche il momento di tirare un po’ le somme: alla vigilia ci sono già più di 400 iscritti, diventati poi 480 con chi si è presentato il giorno dopo. La quota d’iscrizione di cinque euro è stata integrata da quasi tutti, visto che alla fine Suzuki ha raccolto 4.002 euro, interamente donati alla Fondazione Scarponi.

C’è anche Marco, fratello dell’indimenticato Michele Scarponi, che ci ha lasciato nel 2017 investito da un furgone durante un allenamento. “Il rispetto fra automobilisti e ciclisti è fondamentale, in entrambe le direzioni” esordisce. “Perché non è possibile considerare normale la morte sulla strada”. Michele era uno specialista delle salite, era stato soprannominato L’Aquila di Filottrano. Le salite, la sfida più dura del ciclismo, quella in cui chi mette il piede a terra ammette la sconfitta. Eppure, il piede a terra può anche essere una dimostrazione di forza.

Nel 2016, durante la scalata alla Cima Coppi - che quell’anno era il Colle dell’Agnello - Michele era andato in fuga, staccando tutti. All’epoca Michele era all’Astana, con Nibali caposquadra. Nibali era considerato tagliato fuori dalla lotta per la vittoria, ma a un certo punto il colpo di scena: Kruijswijk, la maglia rosa, cade e si ferma. Nibali di colpo rientra in gioco, ma senza un gregario a tirarlo l’impresa è impossibile. E quindi, a metà della discesa, Michele Scarponi si ferma, dicendo addio alla vittoria di tappa, e mette il piede a terra. Aspetta Nibali per cinque interminabili minuti, in cui sicuramente ha pensato a cosa stava rinunciando. Fa incetta di borracce e barrette, da bravo “portatore d’acqua” e quando arriva il capitano si mette a pestare sui pedali. Tira Nibali fino alla fine, regalandogli la maglia rosa e la seconda vittoria al Giro. E se questa non è una dimostrazione di forza, non so cosa lo sia.

Ma quindi, com’è andata?

“Il Carpegna mi basta”. Lo disse Pantani in un’intervista. È scritto un po’ dappertutto, nella salita che da Carpegna sale all’omonimo passo. Ventidue tornanti, circa settecento metri di dislivello in sei chilometri e spiccioli, pendenza media del 10 e massima del quindici per cento. Ecco perché Marco Pantani, che qui a Carpegna ci arrivava partendo da Cesenatico, sosteneva che il Carpegna fosse ampiamente sufficiente come allenamento e salita test. Anche in un ciclismo in cui ormai il lavoro in altura era considerato imprescindibile per essere competitivi.

Insomma, un luogo della leggenda. Un posto che forse non sarà il corrispettivo dell’Erzberg o del Mountain Circuit per i motociclisti, ma che attiva immediatamente le ghiandole salivari del deviato immaginario del ciclista stradale. Quindi eccomi qui, fuori dall’albergo, in attesa di partire con due compagni di pedalata speciali. Ieri sera, dopo la cena che ha seguito la conferenza stampa, il presidente Nalli ci saluta dandoci appuntamento alla mattina successiva. “Ci vediamo alle 8:30 giù in piazza, scaricate le bici e siamo pronti. Chi vuole, invece, parte dall’albergo alle 8 con me e Davide Cassani”. Tornando in albergo faccio un rapido calcolo: significa rientrare dopo il Carpegna sparandosi altri 10 chilometri e soprattutto altri 450 metri di dislivello. Chissenefrega, quando mi ricapita?

E quindi eccomi. Partiamo, due pedalate ed è quasi tutta discesa. Due chiacchiere, qualche battuta, come in qualunque giro in bici, solo che di fianco c’è quello che è stato il CT della nazionale per sette anni. Nella piazza è già tutto pronto con il Village Suzuki dove si possono provare le bici a pedalata assistita. Io ho la mia fida Trek muscolare, mi allineo disciplinatamente per la partenza, con tanto di pedana - se l’atmosfera non fosse tanto allegra, festosa e scanzonata credo che diventerei nervoso e cercherei qualcuno che mi regga la bici come nella partenza delle Crono.

Due battute con gli speaker, che dedicano qualche secondo di attenzione a tutti. Molti ricordano Marco Pantani e Michele Scarponi, qualcuno li definisce “le due gambe che mi porteranno su”. E poi si parte. Come diceva Benvenuti in Belle al bar, adesso ci mettiamo qui con calma e metodo e ne veniamo a capo. Qualche centinaio di metri e inizia la salita al Carpegna. La strada si impenna subito. Me ne faccio una ragione, scalo sul trentaquattro davanti e mi preparo a mettere il trentuno dietro perché i primi tre tornanti sono una legnata su gambe e polmoni. Sdrammatizzo ricordando i momenti salienti della Coppa Cobram con i miei estemporanei compagni di salita.

Fortunatamente la strada spiana un po’, il respiro si regolarizza. Il Garmin non lo guardo neanche, meglio prendersela calma e godersi la salita, in quella masochistica soddisfazione della sfida con sé stessi prima che con il percorso. La vegetazione s’infittisce, siamo oltre i mille metri e i trenta gradi della pianura sono un lontano ricordo. Respiro a pieni polmoni e su un muretto leggo un’altra delle frasi che piaceva tanto a Pantani. “Qui senti solo il tuo respiro”. È vero, siamo tanti ma mi sembra di sentire solo il mio, di essere in compagnia ma anche solo.

Snocciolo tornanti mentre la pendenza sale e scende, ringrazio spesso il mio meccanico Sandrino che a suo tempo mi ha convinto a montare il “rapportino” dietro, perché con il ventotto sarebbero state maremme - scusate l’eufemismo - e alla fine arriva anche l’ultimo tornante. Che è una fregatura, come sa bene chiunque abbia un po’ d’esperienza: ultima curva non significa ultima salita. Ma tutto sommato, l’ho presa con calma e arrivo al passo senza troppi problemi. C’è tanta gente, tutta felice.

 

 

Sotto il traguardo c’è Romano, tecnico Suzuki, oggi in sella a un V-Strom che si porta dietro un fotografo come fossimo al Giro o al Tour. Mi saluta ridendo, perché non devo avere la faccia di uno che si è appena alzato dal letto dopo dieci ore di sonno. Io sorrido e scherzo “Bah, credevo peggio”. Ridiamo, ma la verità è che credevo davvero peggio. Sarà che forse, oltre a Pantani e Scarponi, a portarmi su io avevo anche Nicky Hayden, il cui numero è su tutte le mie bici da quel maledetto 22 maggio 2017 in cui se n’è andato proprio a una manciata di chilometri da qui.

La discesa è splendida. Il vento azzera i rumori, io mi rilasso e mi sento un po’ più vicino al cielo e alla montagna. Con quel senso di pace che solo chi va in bici o cammina per monti conosce davvero. Purtroppo finisce in fretta, ma tornare nel festoso casino del Suzuki Village è un bel modo di rientrare nella realtà. Brava Suzuki, evento impeccabile, da ripetere come promesso. Sul Carpegna o altrove.

Mi verrebbe quasi voglia di riprovare la salita con la pedalata assistita, tanto per capire come si sente un motore ibrido quando il motore elettrico gli viene in soccorso. Purtroppo però il tempo (per me) stringe. E mi ricordo che devo affrontare altri dieci chilometri e quattrocento metri di dislivello prima di entrare in doccia. Inforco la bici e mi metto a pedalare. Chissenefrega, quando mi ricapita?

E poi…

Ah già, il Suzuki Bike Day non è stato solo la mia salita al Carpegna. Allora vale la pena di dire che sull’anello di 16 chilometri - abbiamo pedalato in tanti. Il più giovane aveva sette anni, il più anziano 73. E al Suzuki Village si poteva mangiare (Fratelli Beretta, Enervit, Valmora, Lays, ChinottoNeri gli sponsor) rinfrescarsi, e addirittura noleggiare una e-bike se… non avevate portato la bici da casa. Fra noi, a parte i già citati, c’era anche Renato Travaglia (e se state leggendo questo pezzo su Automoto sapete sicuramente chi è) e Marco Berry, l’ex Iena e conduttore televisivo.

Ma alla fine, quello che vale la pena di ricordare più di tutto è l’atmosfera di festa, di serenità e divertimento che ha permeato tutta la giornata del primo Suzuki Bike Day. Una giornata di sport all’aria aperta - anche se il  lockdown è terminato da un po’, una cosa del genere sa ancora di fresco e di piacevole - in cui capire come si possa davvero convivere fra vari utenti della strada semplicemente prendendosela tutti con un po’ più di calma.

E forse capire, come sicuramente cerca di farci apprezzare Suzuki, quanto sia vicino il ciclismo a quello sport a due ruote (e a quattro) a motore che tanto amiamo. Sia usando i nostri muscoli, sia sfruttando… un motore ibrido.