Fabio Taglioni. Un progettista straordinario

Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Nato 100 anni fa, Fabio Taglioni è stato un tecnico straordinario sul quale si è scritto molto. Ecco alcuni punti salienti della sua storia tecnica
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
23 dicembre 2020

Prima che questo tragico 2020 finisca ritengo quanto meno doveroso ricordare, nel centenario della nascita, un grande uomo che ho avuto la fortuna di conoscere di persona.
In questa sede parlerò, in maniera estremamente sintetica, della sua opera in campo motoristico, segnalando alcuni aspetti che ritengo particolarmente significativi. Non era solo la raffinata tecnica a spiccare, ma anche la personalità delle sue creazioni. Che effettivamente sono sempre state inconfondibili e ben diverse da tutte le altre, e non solo per la distribuzione.

Parlare di Taglioni equivale a parlare della Ducati, azienda nella quale è stato al vertice tecnico per oltre trent’anni. Prima del suo arrivo la casa bolognese produceva moto con prestazioni relativamente modeste e dall’appeal davvero scarso. Agli appassionati in effetti dicevano ben poco. E in quanto a risultati sportivi, così importanti negli anni Cinquanta, lasciamo stare.
La casa aveva avuto grandi successi commerciali con il Cucciolo e con i modelli da esso derivati ma si trattava di ciclomotori o di motoleggere con cilindrata che non superava i 65 cm3. Poi è arrivata la 98 ad aste e bilancieri, onesta ma anonima. E tralasciamo l’infelice Cruiser…

La Gran Sport "Marianna" del 1954
La Gran Sport "Marianna" del 1954

Prima di entrare in Ducati e di dare inizio a una nuova era per la casa di Borgo Panigale, Taglioni aveva insegnato in un istituto tecnico a Imola ed è proprio lì che è nato il suo primo motore. Si trattava di un monocilindrico, poi adottato dalla Ceccato per la sua 75 da competizione, nel quale spiccava la distribuzione monoalbero comandata da una cascata di ingranaggi posta sul lato destro. Questa moto, che è stata in seguito realizzata anche in una versione di 100 cm3, ha vinto la sua classe nel Motogiro e nella Milano-Taranto del 1956 e ha continuato a correre nelle mani di alcuni piloti privati fino agli anni Sessanta inoltrati, conquistando due titoli nazionali di categoria e due campionati della Montagna.

Chiamato alla Mondial dal conte Giuseppe Boselli nel corso del 1953, Taglioni ha lavorato allo sviluppo delle 125 e delle 175 monoalbero destinate alle gare stradali italiane. A lui è in particolare dovuta la velocissima 175 con molle delle valvole scoperte soprannominata “Bilancierino”.

Alla Ducati il tecnico romagnolo è entrato all’inizio di maggio del 1954. Il suo incarico iniziale era quello di realizzare un modello da corsa finalmente vincente, almeno a livello nazionale. I risultati che è riuscito a ottenere nel giro di qualche anno soltanto sono però stati di gran lunga superiori a tali aspettative.

La prima realizzazione non solo è stata subito vittoriosa ma ha posto le basi per tutta una generazione di modelli successivi, sia stradali che da competizione. Si trattava della 100 Gran Sport, più nota come Marianna, una brillante monocilindrica che ha esordito nella primavera del 1955 imponendosi immediatamente (e a medie record) sia al Motogiro che nella Milano-Taranto e stabilendo anche un nuovo standard di raffinatezza tecnica per le moto di serie.

Il motore, rapidamente realizzato anche in una versione di 125 cm3 (e in seguito anche in una di 175 cm3), era di una linearità e di una razionalità straordinarie. La distribuzione monoalbero era comandata da un alberello verticale con due coppie coniche. Le due valvole erano inclinate tra loro di 80°, un angolo molto elevato per gli standard odierni ma in linea con gli orientamenti tecnici dell’epoca, e venivano richiamate da molle a spillo lavoranti allo scoperto. L’albero a gomiti era in tre parti unite per forzamento e la lubrificazione era a carter umido con pompa piazzata nel coperchio laterale destro del basamento.

Queste soluzioni sono state successivamente riprese sia nei monocilindrici da competizione, con distribuzione bialbero e poi desmodromica con tre alberi a camme, che in quelli di serie; in questi ultimi però le molle (sempre a spillo) lavoravano in bagno d’olio. Insomma, lo schema base è rimasto invariato addirittura fino ai primi anni Settanta a conferma della sua grande validità.

Una delle Ducati monocilindriche più ambite dagli appassionati è la Desmo dei primi anni Settanta, nota tra i motociclisti di lingua inglese come Silver Shotgun (carabina d’argento). L’esemplare qui mostrato ha il motore di 350 cm3
Una delle Ducati monocilindriche più ambite dagli appassionati è la Desmo dei primi anni Settanta, nota tra i motociclisti di lingua inglese come Silver Shotgun (carabina d’argento). L’esemplare qui mostrato ha il motore di 350 cm3

L'arrivo del Desmo

La distribuzione desmodromica, alla quale Taglioni stava pensando già da tempo, ha fatto il suo esordio alla Ducati nel 1956 su una moto da Gran Premio direttamente derivata dalla 125 bialbero. Quest’ultima era a sua volta strettamente imparentata con la Marianna; il motore era infatti praticamente uguale, tranne che per la presenza di un nuovo castello, montato superiormente alla testa, nel quale erano alloggiati due alberi a camme (e non più uno soltanto).

Nella nuova 125 desmodromica però testa e castello della distribuzione erano costituiti da un’unica fusione, nella quale erano montati tre alberi a camme (quello centrale provvedeva al richiamo delle valvole agendo su bilancieri a due bracci disposti in posizione rovesciata rispetto a quella usuale). Che si potesse realizzare una distribuzione desmodromica vincente era giù stato dimostrato dalla Mercedes nel 1954-55 ma non ci sono dubbi sul fatto che Taglioni avrebbe egualmente realizzato la sua, dallo schema assolutamente inedito.

Alla produzione di serie il desmo è arrivato nell’autunno del 1968, sui monocilindrici della serie a carter larghi (che avevano esordito nella primavera di quello stesso anno con una distribuzione di tipo convenzionale). In questo caso veniva adottato uno schema monoalbero, con gli eccentrici di apertura e di chiusura sullo stesso albero a camme.
I risultati sono stati eccellenti, al punto che questa stessa soluzione è stata in seguito adottato sui bicilindrici. Quelli a due valvole la impiegano tuttora…

Il primo bicilindrico di serie della casa bolognese è stato il 750 GT, entrato in produzione nel 1971. Il richiamo delle valvole era affidato a molle elicoidali. L’architettura a L consentiva un ottimo raffreddamento anche del cilindro posteriore. Il cambio era con presa diretta e l’albero a gomito ruotava all’indietro
Il primo bicilindrico di serie della casa bolognese è stato il 750 GT, entrato in produzione nel 1971. Il richiamo delle valvole era affidato a molle elicoidali. L’architettura a L consentiva un ottimo raffreddamento anche del cilindro posteriore. Il cambio era con presa diretta e l’albero a gomito ruotava all’indietro

Quando stava iniziando l’era delle maximoto la Ducati ha pensato di allargare la sua gamma realizzando nuovi modelli a due cilindri di 750 cm3. Pure in questo caso Taglioni ha scelto una strada diversa da quelle imboccate dagli altri costruttori, adottando una architettura a V longitudinale di 90° con un cilindro pressoché orizzontale e l’altro quasi verticale. Insomma, uno schema a L che, oltre ad assicurare un’ottima equilibratura e un ridotto ingombro trasversale, consentiva di avere un eccellente raffreddamento anche del cilindro posteriore, che durante la marcia poteva essere liberamente investito dall’aria.

Per decenni Taglioni è stato fedele al comando della distribuzione ad alberello e coppie coniche, che ha realizzato in maniera molto raffinata, adottando sui modelli di serie dentature elicoidali (sistema Gleason), ottenute con lavorazioni di alta precisione effettuate su macchine utensili particolari. Il passaggio alle cinghie dentate è avvenuto con i bicilindrici della serie Pantah, entrati in produzione nel 1979, e anche in questo caso il tecnico romagnolo ha adottato una soluzione che a prima vista può forse lasciare perplessi ma che invece ha una sua logica ineccepibile.

Lo schema più semplice prevede lunghe cinghie dentate che collegano direttamente l’albero a gomiti agli alberi a camme (dotati di pulegge con diametro doppio per dimezzare la velocità di rotazione).
Nei suoi bicilindrici invece Taglioni ha scelto di ottenere la riduzione grazie a una coppia di ingranaggi posta sul lato sinistro del motore e quindi di impiegare un albero ausiliario che attraversa il basamento, sulla cui estremità opposta sono montate le due pulegge che azionano le cinghie. Queste ultime hanno quindi una lunghezza contenuta e ciò è vantaggioso se si considera che la rotazione degli alberi a camme (come pure, in buona misura, quella degli alberi a gomiti) non è uniforme; in questo modo infatti le oscillazioni delle cinghie stesse risultano di minore entità.

Inoltre il diametro delle pulegge può essere scelto liberamente, purché il rapporto sia 1:1. Se esse fossero grandi ci potrebbero essere problemi di ingombro o di estetica mentre se fossero piccole si potrebbe avere una eccessiva riduzione del raggio di avvolgimento delle cinghie. Così invece non ci sono problemi, basta che siano una uguale all’altra (non devono fornire alcuna riduzione).

Non sono solo gli schemi costruttivi adottati (e quelli dei bicilindrici Ducati hanno dimostrato la loro validità nel tempo) ma anche i dettagli a parlare della grandezza dei progettisti.