Dakar 2012, 13a Tappa: Verso la fine

Dakar 2012, 13a Tappa: Verso la fine
Gli ultimi 29 chilometri separano i cento concorrenti in moto dal poter accarezzare il sogno di concludere la Dakar | P. Batini
13 gennaio 2012

Punti chiave

Pisco, 14 gennaio 2012



Dita incrociate


Pensare che gli ultimi 29 chilometri (tanti ne restano di settore selettivo nell'ultima tappa della Dakar 2012, dopo oltre 4.000 chilometri di prove speciali, ed il doppio in totale) possano essere fatali anche ad uno solo dei cento concorrenti in moto che stanno per accarezzare il sogno di concludere la Dakar, è un abbrutimento, e pertanto non bisogna neanche parlarne. Lasciamo che sia un colpo di scena malefico ad intervenire, eventualmente, come è successo lo scorso anno a Francisco Lopez (ne abbiamo già parlato, quindi resta quello il riferimento dell'incertezza per definizione che caratterizza la regina delle maratone), ma speriamo che non succeda ed incrociamo le dita, un po' come fanno tutti da ieri sera al bivacco di Pisco. No, non succederà niente di anomalo, e per questo, poiché abbiamo le dita incrociate anche noi, viene ben poco da scrivere. Un bilancio sarebbe prematuro, come uscire dal cinema prima della parola "fine", e non c'è niente da ipotizzare su una tappa così corta. No, non resta che aspettare, un po' a malincuore, l'epilogo festoso e un po' triste, sì perchè alla Dakar ci si sta attaccati quasi giorno e notte, e di chiudere a Plaza de Armas, centro storico di Lima, dove è tutto pronto.

La chiave della 13ma

Torniamo sull'utima Tappa, la sconvolgente penultima tra Nazca e Pisco, solo per un attimo, per chiarire meglio la dinamica, abbastanza stridente, che ha frenato Marc Coma nella sua disperata rincorsa alla testa della corsa. Lo spagnolo non aveva niente da perdere, e tutto da guadagnare, e quindi non aveva scelta: attaccare, dal primo all'ultimo dei 275 chilometri della Speciale. Non sarebbe stato comunque facile, anzi, ma se la ciambella fosse riuscita con il buco la Dakar sarebbe stata incredibilmente avvincente anche oggi, con la passerella finale trasformata in una manche di motocross. Marc è partito non troppo convinto di riuscire nell'impresa, ma non di meno ha messo in campo tutte le risorse che aveva a disposizione. All'inizio ha avuto un problema al cambio, che gli ha impedito di inserire la seconda e la terza marcia, ed il fatto che sia riuscito, nella parte centrale della tappa, a mantenere il contatto, dimostra che non si è mai dato per vinto. Poi è uscito dalla pista principale, quella corretta, perchè aveva paura di non riuscire a superare una duna, che richiedeva un rapporto inferiore e probabilmente uno di quelli di cui non poteva disporre. Invece di rischiare ha preferito deviare per contornare la duna malefica, ma così facendo si è infilato in una lunga, troppo lunga digressione, ed ha lasciato lì le ultime speranze di risolvere a suo favore la questione.
Coma ha dichiarato che sono cose che possono succedere quando si stressa la meccanica oltre il limite, che sono cose della corsa, che la Dakar è anche questa. Sempre estremamente gentile con tutti, anche quando ha il magone, lo spagnolo!


Tutta Francia


Due francesi stanno per vincere la Dakar. Cyril Despres e Stephane Peterhansel. Due francesi, il Rally che è francese. Non, non sto per fare polemica. Niente fanghi, piloti che si perdono, assistenze selvagge. Troppo tardi o inutile o, peggio, irrispettoso dopo 8.000 chilometri e tredici giorni per quei cento che stanno per farcela. Volevo dire della Francia, dove è nata la specialità e dove l'interesse travolgente che ha animato quel popolo è scemato scendendo fino a livelli disarmanti. Ero in Francia nei giorni immediatamente precedenti la partenza, come altre volte, e come le altre volte sono andato a cercare notizie, giornali, riviste, libri, speciali. Niente. Una pagina scarsa con una foto gigantesca e dieci righe, sull'Equipe, la "Gazzetta" di là dalle Alpi, di proprietà di ASO. Una volta, anche quando la Dakar non partiva già più da Parigi, la Francia intera si risvegliava e si preparava per seguire il "loro" Rally. Le strade erano tappezzate di cartelloni pubblicitari. Francesi, anche sconosciuti, erano testomonial di benzine, supermercati, pneumatici. Scendevi nella metropolitana e ci trovavi Despres grande come un treno associato ad una carta di credito. Ogni concessionario di moto tirava fuori i cimeli delle edizioni precedenti ed allestiva la propria mostra-storia sui marciapiedi davanti alla vetrina. Oggi non è più così: della Dakar, in Francia, quasi ci si vergogna. Eccessivo, lo so, ma è propio questa la sensazione che si ricava. Basta domandare, ed i più fanno finta di non ricordare, o alla fine ti dicono che è una cosa passata, c'era una volta. Della Dakar parla la "media borghesia culturale", per citare questa o quella disgrazia, per fare dell'ironia o per ricordare la vittoria ambientalista e l'ambiance intellettuale che ha avuto ragione di quella cosa. Forse la duplice vittoria francese farà bene alla Francia degli appassionati, e riporterà un po' di popolarità alla corsa a casa sua. O forse farà bene per portare un maggior numero di francesi a correre, così come fecero bene gli anni d'oro italiani o i più recenti anni d'oro spagnoli. Far bene all'Europa fa bene ad una corsa che rischia, ogni anno di più, di diventare un fenomeno prettamente sudamericano. Che poi non ci sarebbe niente di male. In Sud America sta saltando fuori qualche archeologo indignato, qualche ambientalista come sempre contrario, ma l'entusiasmo per la Dakar, laggiù, è inimmaginabile. Pura passione popolare, cosa d'altri, ma altri davvero, tempi.

Piero Batini

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