Gabriele Mazzarolo: yes we can

Gabriele Mazzarolo: yes we can
Massimo Zanzani
Continuamente in viaggio tra Italia e Stati Uniti, dove sono ubicate le sedi Alpinestars, il titolare dell’atelier d'abbigliamento apprezzato a livello internazionale parla a ruota libera ai microfoni di Moto.it
3 febbraio 2010


Non dovremmo scriverlo per via della sua modestia e riservatezza, ma per certi versi Gabriele Mazzarolo ci ricorda Steve Jobs. Poche apparizioni in pubblico, gusto spiccato per il bello, obiettivi ben precisi, creatività innata. E soprattutto una dedizione smisurata per il suo lavoro, che si sovrappone alla sua grande passione per le auto e soprattutto per le moto. Queste ultime di qualsiasi genere, tanto che nonostante i pressanti impegni di lavoro riesce ad alternarsi alla guida di moto da enduro, da cross, trial e stradali con le quali va regolarmente al lavoro e persino ad assistere a tappe europee della MotoGP.

Gabriele, vista la tua esperienza anche come pilota sei tu il primo tester dei tuoi prodotti?
“A volte sì, altre non sono proprio il primo ma sicuramente uno dei collaudatori. Così facendo riesco a mettere molta attenzione al prodotto e a vedere cose che possono essere interessanti sia nello sviluppo che nella progettazione”.

Quanti sono i prodotti che scaturiscono dalle tue idee?
“Non posso dare una percentuale, perché la creazione di un prodotto nuovo è il frutto di un lavoro di gruppo. Magari io posso avere una idea particolare, ma poi viene elaborata e sviluppata da diversi elementi perché in Alpinestars siamo in tanti ad avere buone idee, sia in Italia che nella filiale californiana”.

A forza di fare la spola da una parte all’altra dell’oceano, la tua carta Frequent Flyer avrà raggiunto il livello massimo.
“Ebbene sì, sono talmente spesso sui voli internazionali Lufthansa che poco tempo fa mentre ero in viaggio da Francoforte a Los Angeles la hostess è venuta a dirmi che il pilota non si sentiva molto bene e mi ha chiesto se fossi stato disponibile ad andare a dargli il cambio momentaneo. Ormai mi vedono così spesso che mi considerano di casa...”.

Ma non ti affatichi ad essere così spesso in giro per il mondo?
“Sinceramente no, perché viaggio per motivi precisi di lavoro e la forza di volontà mi fa superare anche la stanchezza”.

Forse anche perché il tuo più che un lavoro è una passione.
“Assolutamente, questo è garantito”.

Altre passioni?
“Mi piace viaggiare, per me è come un hobby. Vedere ed essere in posti diversi, sia con la moto o se ho tempo anche in macchina con mia moglie Denise. Forse la Alpinestars è diventata una azienda internazionale anche per questo”.

Una volta eri appassionato anche di prodotti Apple.
“Certamente, lo sono tutt’ora. Il modo in cui loro sviluppano i prodotti è decisamente una cosa in cui mi identifico”.

In effetti si può scorgere una certa linea filosofica che collega le due aziende.
“Questo lo prendo come un complimento, perché se si vede un po’ di analogia è una cosa molto positiva”.

Certo che per andare in moto, viaggiare, progettare i prodotti, svilupparli, ti ci vorrebbe un giorno da quarantotto ore.
“E’ come se lo fosse, perché io e i miei collaboratori abbiamo la fortuna di fare cose che ci piacciono tantissimo e il tempo non ci pesa affatto. Per me la giornata è lunga perché il divertimento è lungo”.

Qual è la parte che ti diverte di più del tuo lavoro?
“Avere a fianco un gruppo di persone molto valide e affiatate, capaci di raggiungere i loro obiettivi. Non solo i piloti, ma anche chi lavora in azienda, credono in quello che può essere fatto e hanno la motivazione per colpire l’obiettivo. Questa è la soddisfazione numero uno”. 

E’ praticamente la filosofia del leif motiv della Alpinestars: “one goal, one vision”.
“E’ un concetto profondo ma semplice da comprendere, lo stesso punto di vista di un atleta professionista che si allena tantissimo, sta in palestra per ore, non fa cose stupide, fa una vita che altri potrebbero vedere come un sacrificio ma che per lui ha senso perché è la sua passione e ha un obiettivo ben preciso. In Alpinestars vediamo alla stessa maniera quello che facciamo, è lo stesso “goal” e la stessa “vision” che hanno gli atleti al top per raggiungere i riferimenti che si sono imposti. Conosciamo tutti gente come Jeremy McGrath o Mick Doohan, tanto per fare due esempi, che hanno dedicato tutto loro stessi per raggiungere quello che si erano imposti per la soddisfazione di farlo, non per altri motivi più veniali. Doohan ad esempio ha vinto cinque mondiali, era già soddisfatto dopo uno o due ma voleva vincere ancora e lo ha fatto finché si è fatto male e ha dovuto fermarsi. Questa è vera e propria dedizione, e in Alpinestars abbiamo la stessa forma mentale, la stessa visione per raggiungere quello che vogliamo”.

Facendo molta attenzione ad ogni minimo dettaglio.
“I campioni, quelli che vincono per tanto tempo, per raggiungere i loro scopi sono attentissimi a tutto, noi cerchiamo di fare lo stesso”.

L’anima internazionale traspare persino dal “buon giorno” detto in inglese dalle centraliniste della sede italiana.
“Sì, usiamo l’inglese da tanti anni perché lavoriamo con gente di tante nazionalità ed è quindi la forma di comunicazione più logica che usiamo per tutti i meeting e per le comunicazioni scritte. Dall’Italia facciamo anche il servizio clienti per tutta l’Europa, e siccome quello italiano è solo l’8% del nostro mercato vuol dire che oltre il 90% dei nostri clienti quando ci chiama parla inglese. Comunque le nostre receptionists parlano anche l’italiano e molte altre lingue”.

Gabriele Mazzarolo insieme al grande crossista Jean Michel Bayle
Gabriele Mazzarolo insieme al grande crossista Jean Michel Bayle


Come la definiresti l’Alpinestars?
“La paragonerei ad un pilota che prima si è imposto nel campionato regionale, poi in quello nazionale e che ora si sta allenando per competere anche nel campionato del mondo”.

Come è nata nell’86 la Alpinestars USA?
“L’obiettivo era quello di creare un’azienda internazionale focalizzata nelle discipline motoristiche, e particolarmente nel motocross, per cui avere una base anche negli Stati Uniti è stata un’esigenza praticamente naturale”.

Tu sei uno dei pochi italiani che ce l’ha fatta ad emergere in quel mercato così competitivo, il segreto è stato nell’essere riuscito ad entrare nella loro mentalità?
“Non si può certo dire che sono stato l’unico ad avere avuto successo oltreoceano, da parte mia non ho trovato differenza nel modo di pensare ed agire, per cui non mi sono dovuto adattare trovandomi benissimo fin da subito sfruttando i pregi di quel mercato, come la rapidità nei cambiamenti, la snellezza della burocrazia, le relazioni più immediate, la maggior predisposizione alle novità”.

Sei e sei stato in contatto con un’infinità di piloti, chi ti sarebbe piaciuto essere di loro?
“Non vorrei fare torto a nessuno perché ho conosciuto tante persone in gamba, comunque se devo fare per forza un nome direi che sia Mick Doohan nella velocità e Jeremy McGrath nel motocross sono due tipi eccezionali. Con Mick c’è moltissima affinità anche per la visione di cui abbiamo parlato prima: dopo quello che gli è successo nel ’92 non si è assolutamente abbattuto ed è tornato a dominare. Jeremy è Jeremy, ogni commento è superfluo e rischia di minimizzare la sua figura. Ci tengo comunque a sottolineare che in Alpinestars per come ragioniamo ci troviamo molto bene con i piloti, e altrettanto penso sia per loro. Andiamo così d’accordo che con tantissimi di loro c’è un rapporto molto stretto”.

E’ più difficile accontentare i crossisti o i velocisti.
“Forse i velocisti, però dipende molto dalla persona. Alcuni sono perfezionisti, ma in linea di massima posso dire che spesso siamo un po’ più avanti di quello che i piloti vorrebbero perché riteniamo che i piloti non pensano tanto ai prodotti, hanno tutt’altre cose in mente per cui cerchiamo di essere sempre pronti a dare loro cose che non si aspettano. Avendo questa motivazione, ci è più facile accontentare i piloti”.

Alpinestars è molto introdotta anche nel settore delle auto, per quale motivo visto che le problematiche sono sensibilmente diverse da quelle del mercato motociclistico?
“L’idea è quella di essere la marca di riferimento nel motorsport in generale, comprese quindi anche le auto. Nel 2002 abbiamo quindi ampliato la nostra influenza anche nella Formula 1, nel 2005 Fernando Alonso ha vinto il mondiale con Alpinestars e nel 2009 l’ha vinto Jason Button che indossava la nostra tuta, underwear, sottotuta, scarpe e guanti. E’ stato un passo importante perché in questo settore le esigenze sono molto più sofisticate di quello che si può immaginare, addirittura i team guardano la differenza di peso di venti grammi. Venti grammi per loro contano tanto, per cui se riesci a togliergli anche solo una quantità minima di peso per loro è un passo avanti. E penso che lavoriamo con molte squadre e abbiamo avuto successo perché siamo così seri e andiamo così a fondo con il nostro prodotto nella stessa maniera in cui loro studiano le loro auto. Così è anche nei Rally, nella GP2 e nella Nascar dove il campione nazionale è con noi dal 2004. Abbiamo una lunga lista di piloti che indossano i nostri prodotti, e tantissime persone mi chiedono: ma Alpinestars fa anche roba da moto?”.

Tre cose positive degli Stati Uniti.
“Degli Stati Uniti gli spazi sconfinati e la possibilità di andare in moto nel deserto senza restrizioni, l’estrema facilità nell’accedere a tutto (se vuoi comprare o mangiare qualcosa lo puoi fare a qualsiasi ora) e, cosa più importante, il patriottismo che è sentito tantissimo. Anche le persone più strane quando suona l’inno nazionale si fermano e ascoltano con partecipazione”.

Veniamo all’Italia.
“Questo è quello che dice mia moglie: pizza, espresso, Motosprint e andare in moto. Quando trovo queste cose dice che sono contentissimo...”.

Cosa ti piace e cosa detesti?
“Prima quella che detesto: è quando le persone non capiscono o fanno finta di non capire, nei gruppi di lavoro e in generale. La cosa che mi piace in assoluto è andare in moto”.

Un amico?
“Se devo nominarne uno dico Randy Mamola, perché è una persona molto, molto speciale e veramente eccezionale”.

Una frase?
“One goal, one vision”.

Supercross o motocross?
“Supercross da vedere, motocross da fare”.

La situazione più curiosa in cui ti sei trovato?
“Nel 2006 ho fatto una competizione che si chiama One Lap of America, che è una serie di giornate consecutive in piste diverse una dall’altra alla guida di autovetture. Tra un trasferimento e l’altro una sera la polizia mi ha fermato perché andavo un po’ forte e pur se superavo di sole 25 miglia il limite mi hanno arrestato, per cui mia moglie è dovuta andare a fare il giro dei bancomat per cercare di mettere insieme gli 800 dollari per la cauzione. Dopo però si sono scusati perché hanno realizzato di aver un po’ esagerato”.

Quella più imbarazzante?
“Questa intervista. No, scherzo, se ci sono state le ho rimosse perché non me ne ricordo”.

Una soddisfazione?
“Quella di fare le cose che sto facendo con il gruppo di persone che lavorano in Alpinestars. Mi piace perché le cose funzionano”.

Un sogno nel cassetto?
“Il giro del mondo in moto, spero di farlo tra qualche anno”.

Il viaggio che ricordi?
“L’Incas Rally del 1990 organizzato da Acerbis da Lima a Rio de Janeiro. L’ho fatto con una Honda XR, 8500 chilometri in due settimane. E stato bellissimo, soprattutto per i paesaggi dalle Ande all’Amazzonia, è stata una esperienza indimenticabile, e anche bella tosta”.

Il posto più bello dove vivere?
“Per ora non penso di stabilirmi in un’unica località, per mi va bene un luogo vicino a un aeroporto ben collegato con il mondo. Magari fra cinque o dieci anni la cosa sarà diversa, però ora mi piace avere questa possibilità di muovermi”.

Ultima domanda: lo stivale del futuro?
“Protezione assoluta, peso tendente a zero grammi e costo quasi nullo. Questo è l’obiettivo a lungo termine”.


Massimo Zanzani
 

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