DopoGP RePlay: l'Ing Bernardelle trova le parole giuste che fanno riflettere [VIDEO]

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Oggi si punta sulla spettacolarità e sui grupponi selvaggi, che diventano pericolosi. Ma il nostro sport non deve premiare soltanto la bravura del pilota, ma anche quella dei tecnici e dei progettisti. E così che sono nate le grandi case e i piloti sono diventati mitici
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6 ottobre 2021

In chiusura dello spazio dedicato all’analisi del GP delle Americhe in DopoGP, martedì 5 ottobre scorso, il nostro “ingegnerone” si è superato. La sua tesi sui regolamenti soffocanti è ben nota: da tecnico, non ha mai nascosto il suo fastidio per tutte le limitazioni alla libera creatività dei progettisti e della case. Monogomme, monocentralina, alesaggio uguale per tutti, di fatto anche monofreni per la peraltro meritata leadership di Brembo…

L’unica libertà è quella, curiosamente, che è stata accordata al fornitore dei pneumatici: che nei fatti insegue la prestazione estrema complicando in maniera esagerata la vita a squadre e piloti.

Ma questa volta Giulio Bernardelle è andato ben oltre. Quando si è parlato della pericolosità crescente della Moto3, con tante moto in pista, tutte di prestazioni uguali, intruppate per sfruttare le scie e con la complicazione dell’aggressività dilagante nella guida dei giovani piloti, Giulio è uscito con parole da incorniciare. Quella che pareva una tesi soltanto tecnica si è trasformata in altro: in autentica filosofia. Lo potete ascoltare nel video qui sopra o sul canale YouTube di Moto.it, a partire dal minuto 52 e 28''.

La pericolosità non potrà mai essere eliminata al 100 per cento - ha detto testualmente - ed è insita nel nostro sport come negli altri sport dove c’è velocità, come ad esempio nello sci. Però va fatta una profonda riflessione su quella che invece è la natura del nostro sport. Io dico sempre: lo sport del motore è una esaltazione della bravura del pilota, ma anche della bravura della casa che fa il mezzo tecnico. Se mancano queste componenti questo sport viene completamente snaturato.

Immolare questo in funzione di una maggiore spettacolarità, determinando il gruppo selvaggio che può piacere a un ragazzino o a chi non capisce tanto di moto… Magari attira anche di più, ma è una cosa quasi diseducativa, direi. Non è questo lo sport: vedere una KTM che è uguale a una Husqvarna e a una Gas Gas, in passato c’era un’Aprilia uguale a una Gilera, non ha senso, non serve a nulla.

Bisogna che ci sia un pilota che fa andar forte la moto, e la moto deve essere sviluppata, e devono essere bravi i tecnici e bravo chi l’ha fatta. Questa cosa sta nella natura del nostro sport. Altrimenti non esisterebbe una Ducati, non esisterebbe la Ferrari. Sono diventati grandi i marchi e sono diventati mitici i piloti proprio per questa combinazione. Adesso secondo me è tristissimo che ci sia la perdita di tutto questo”.

Parole che avrei voluto dire io, che avremmo voluto dire tutti. Parole e concetti da incorniciare. Riguardatevi questa puntata di DopoGP: peraltro in edizione doppia, con il passaggio dalla MotoGP di Austin alla SBK di Portimao.

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