Dietro le quinte della MotoGP: Gigi Soldano

Dietro le quinte della MotoGP: Gigi Soldano
Giovanni Zamagni
Non esiste foto che non sia stata scattata da lui: non per niente, Gigi Soldano è considerato “Il” fotografo del Motomondiale | G. Zamagni
10 ottobre 2013

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Non esiste foto che non sia stata scattata da lui: non per niente, Gigi Soldano è considerato “Il” fotografo del Motomondiale. Eppure, di professionisti bravi ce ne sono tantissimi, ma Gigi sa sempre dare qualcosa in più alle sue foto, che trasmettono passione ed emozioni, le stesse che ancora oggi, dopo 30 anni, gli permettono di avere il medesimo entusiasmo di un ragazzino. Poi c’è il rapporto con i piloti: nessun altro è così in confidenza con i protagonisti della MotoGP – in senso generale, non solo riferito alla massima categoria – come Soldano. Per tutto questo, Gigi fa la differenza.


Nome e cognome?
“Luigi, detto Gigi, Soldano”.


Nato dove e quando?
“Bari, 18 ottobre 1948”.


Prima gara di moto vista in televisione?
“Purtroppo Monza 1973, quando morì Pasolini”.


Primo GP in pista?
“Assen, 1983”.


Che scuola hai fatto?
“Mi sono diplomato in ragioneria, poi mi sono laureato in scienze sociali. Prima di fare il fotografo ho lavorato in un’azienda metalmeccanica come assistente del direttore del personale. Piano piano mi sono allontanato dal concetto di “lavoro dipendente”, mentre la fotografia da hobby si stava trasformando in piccolo lavoro e quando mi hanno messo in “cassa integrazione”, la fotografia è diventato il mio vero impiego”.


Come sei arrivato al motomondiale?
“Abitando a Varese, avevo iniziato a fare dei piccoli lavori con la Cagiva, allora impegnata nel cross: a me piacevano le competizioni e le seguivo per loro. Contemporaneamente facevo qualche lavoro nei Rally d’auto, perché avevo un collega appassionato che mi portava con lui. I concorrenti volevano le foto e noi ci portavamo in pista una piccola camera oscura, stampavamo e vendevamo direttamente ai piloti. Poi ho conosciuto delle persone che lavoravano alla “Pool Comunication”, una società di comunicazione che realizzava dei servizi per “Grand Prix” (storica trasmissione di motori di Italia1, NDA): allora, non c’erano diritti per la F.1, i Rally e le moto e per loro ho iniziato a seguire il motocross e qualcosa di Rally, sempre come operatore. Il passo successivo è stato avvicinarsi alla velocità: mi sono proposto per fare anche il motomondiale, iniziando a seguire qualche gara europea, con la pellicola da 16 mm. Anche se ero e mi sentivo un fotografo, pur di entrare in questo mondo ho accettato di lavorare con la telecamera. Successivamente ho collaborato con la Dorna per 4-5 anni, ma la mia passione era soprattutto per la fotografia. Nel frattempo, ha iniziato a venire ai GP Tino Martino – adesso la mia spalla, anzi qualcosa in più – e le foto assumevano maggiore importanza: mi sono “separato” dalla Dorna e alla fine degli anni Novanta mi sono tuffato nelle foto. Da allora è nata la “Milagro”: tutti i giorni ci viene chiesto di fare “miracoli”…”.


Quindi, da quanti anni segui il mondiale?
“Quest’anno fanno 30, ancora di più se parliamo solo di foto, perché ho seguito anche la Parigi-Dakar: se tornerò quest’anno alla Dakar – come è molto probabile –, per me sarà la 25esima edizione”.


In questi 30 anni come è cambiato il motomondiale e come la fotografia?
“Il vero cambiamento è stato nel rapporto con i piloti e te ne accorgi subito guardando l’archivio: prima c’erano solo delle fotografie in pista, moto, moto, moto e basta. Successivamente c’è stato un grande avvicinamento umano”.


Ti interrompo un attimo: quindi tu vai controcorrente, dici che c’è più rapporto umano adesso di prima?
“Assolutamente. Adesso è la stessa fotografia a richiedere un certo tipo di rapporto con i piloti: è cambiato il tipo di comunicazione, molto più immediata e il pilota diventa “argomento” della fotografia. Questo è bello: per me è uno degli aspetti positivi della fotografia digitale. Lo svantaggio è la rapidità con la quale sei costretto a lavorare, magari tralasciando aspetti più belli e interessanti. In definitiva, curi meno alcuni aspetti: con la fotografia digitale il lavoro è cambiato radicalmente”.


Una provocazione: ma non è che adesso con photoshop tutti possono fare i fotografi?
“In un certo senso sì, perché adesso basta il telefonino per fare una “bella” foto. Però non è proprio così: lo spirito, l’occhio del fotografo fa ancora la differenza. Puoi essere un grande “photoshoppista”, ma se non hai il taglio, la cura di certi particolari, non puoi fare delle belle foto”.

Soldano a bordo pista e valentino Rossi
Soldano a bordo pista e valentino Rossi


Qual è la difficoltà di fare le foto a moto e piloti?
“In pista fai la differenza nell’uso dei teleobiettivi, sapendo usare le macchine nel modo opportuno e corretto: non basta usare, come si faceva agli inizi del digitale, una normale macchina e un normale obiettivo e poi ingrandire il particolare, ma devi essere veramente “vicino” allo sport, a come si manifesta. Ogni sport va fotografato in un certo modo, tanto che oltre a conoscerlo dovresti quasi “praticarlo”. Qui si fa la differenza: lo devi conoscere fino in fondo, sapere come fotografarlo, dove meglio si esprime il gesto atletico. Se sei capace di fare questo sei già molto avanti”.


La foto più bella che hai fatto?
“Me lo chiedono sempre e rispondo sempre allo stesso modo: quella che devo ancora fare…”.


Dai, una che ti ha dato una particolare soddisfazione?
“Ce ne sono tante, anche significative. Diciamo il primo bacio di Valentino Rossi alla Yamaha a Welkome 2004 e l’ultimo a Valencia 2010: essere riuscito a “catturare” quel momento mi dà particolare soddisfazione. Come il sorpasso di Laguna Seca, il primo (Rossi-Stoner, 2008 NDA) e il secondo (Marquez-Rossi, 2013, NDA); ma ce ne sono altre”.


Come decidi un posto dove andare a fare le foto: esperienza, fortuna o cos’altro?
“Non puoi sapere dove può succedere qualcosa, ma lo puoi prevedere se ci sono delle situazioni particolari in alcuni punti della pista. Per esempio, è un po’ più facile ipotizzare dove ci possono essere dei sorpassi: durante le prove è importante “spendere” un quarto d’ora davanti alla televisione, per capire quali possono essere i punti strategici. Poi, naturalmente, c’è l’esperienza: in alcuni circuiti veniamo da ventanni…”.


Questo per quanto riguarda la pista. E per i box?
“Devi avere la “chiave di accesso” che ti permetta di entrare dentro al box: fortunatamente, lavorando per alcuni team, ho questa “chiave segreta”, che uso naturalmente con la massima discrezione, perché non si può proprio fotografare tutto quello che c’è dentro a un box. Torniamo al discorso di prima: oggi siamo molto più vicini ai piloti. Mi ricorda che anni fa non ho mai fatto colazione con un pilota, come, per esempio, mi è capitato questa mattina con Nicky Hayden: non mi era mai capitato con Lawson, o Gardner, o con gli altri piloti di quell’epoca”.


Un consiglio a un ragazzo che vuole fare questo lavoro.
“Intanto ammiro moltissimo questi giovani colleghi che, purtroppo, vedo apparire e scomparire nell’arco di una stagione: oggi ci vuole tanto coraggio, perché è difficile e costoso fare il Motomondiale. Ma non puoi fare diversamente, devi “investire”: l’importante è che provi a inserirti in modo corretto. In altre parole, non ti devi “svendere”, non devi chiedere la metà di quello che vale il tuo lavoro. Purtroppo c’è chi lo fa ed è “squalificante”.
 

Un pilota con cui è particolarmente facile lavorare e uno con cui è (o è stato) particolarmente difficile.
“Al momento devo dire che mi trovo bene con tutti i piloti, c’è rispetto con tutti. C’è però stato un pilota in passato che mi ha creato qualche problema, ma preferisco non dire il nome”.

Chi sarà?