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Nel 2024 Kenan Sofuoglu annunciò al mondo (della Superbike) che l’anno successivo il suo pupillo Toprak Razgatlioglu sarebbe passato in MotoGP. “E’ tutto fatto. Anche BMW è d’accordo”. In molti si chiesero come fosse possibile che dopo aver firmato un contratto biennale ed aver investito cifre a sei zeri sul funambolo turco, un’azienda come quella bavarese, uno dei maggiori produttori al mondo di auto e moto, cancellasse tutto per lasciare libero Toprak, che aveva firmato il contratto solo pochi mesi prima dell’inaspettato annuncio del Sultano.
E infatti non era possibile. Alcune settimane dopo, la risposta della casa tedesca fu breve ma lapidaria: c’è un contratto in essere che noi stiamo rispettando, e ci aspettiamo che l’altro firmatario faccia lo stesso. Da lì la brusca retromarcia del manager ottomano che dichiarò che il suo assistito (bontà sua) sarebbe rimasto in BMW anche nel 2025.
La recente storia di Jorge Martin ha molto in comune con quella del campione del mondo della Superbike. Durante il suo infortunio anche Albert Valera il manager dello spagnolo disse che Jorge avrebbe lasciato l’Aprilia alla fine della stagione 2025 in quanto il contratto glielo permetteva. Così disse. Di fatto però non appena è stato in grado di tornare in moto, il campione del mondo MotoGP ha improvvisamente cambiato idea ed ha affermato che era tornato a divertirsi alla guida di una moto. Una dichiarazione d’amore alla casa di Noale, ma si sa: l’amore è eterno sin che dura …..il contratto.
Quello che stupisce, in un mondo che almeno in apparenza, richiede una sempre maggiore professionalità e dove gli investimenti sono milionari, è che ci siano piloti che, dopo aver firmato contratti pluriennali con gruppi di importanza mondiale, assistiti da studi legali composti da decine di avvocati, si sentano liberi di “cambiare idea”, dimenticandosi non solo degli impegni assunti, ma anche dei loro lauti ingaggi.
Piloti strana gente, diceva Enzo Ferrari, e lo dimostra anche l’ultima vicenda legata a Scott Redding. L’inglese alcune settimane fa ha corso un round del BSB a Knockhill in sostituzione di un pilota infortunato e pochi giorni fa, a sorpresa, ha annunciato che non concluderà la sua stagione nel WorldSBK con il Team Bonovo Ducati, ma che tornerà in pianta stabile nella superbike nazionale con il Team Hager PBM Ducati. Sarebbe tutto normale se non fosse che con un comunicato stampa il Team manager del MGM Bonovo Racing il sig. Galinski, ha affermato che non solo loro non sapevano nulla della partecipazione del loro pilota alla gara scozzese del BSB, ma che hanno appreso solo dai media della decisione di Redding di restare nel campionato nazionale.
In questo caso la questione è un poco più complicata e ci riporta ad uno sfogo dell’esuberante pilota inglese che tempo fa aveva dichiarato che non avrebbe più pagato per correre. Da qui la scelta di tornare a gareggiare in Patria dove gli hanno assicurato un buon ingaggio. Sembra che, (il condizionale è d’obbligo), a causa di problemi economici derivanti dal mancato supporto di alcuni sponsor, la squadra non sia riuscita a corrispondere quanto pattuito a Redding, che ha dovuto prendere atto della situazione e ora ha deciso, senza nemmeno comunicarlo al team, di andare a correre nel BSB.
Per quanto riguarda poi la ormai famosa frase che ogni tanto viene pronunciata da qualche pilota: “non voglio più pagare per correre”, vorrei fare presente che, soprattutto parlando di piloti che competono nei campionati mondiali, nessun pilota è stato costretto a firmare con la pistola alla tempia, contratti secondo i quali avrebbe ceduto alcuni dei propri sponsor al team per il quale avrebbe corso. Spesso la squadra mette sul piatto quello che può fare, in base alle proprie possibilità economiche, e fa nel contempo presente cosa si potrebbe fare se il pilota potesse contribuire ad incrementare il budget. Non si tratta di “pagare” il team, ma di aiutarlo ad acquistare materiale che rende più competitiva la moto e di conseguenza il pilota stesso.
Non sto dicendo che questo sia giusto, ma è senza dubbio diverso dall’affermare che “io pago per correre”. Non a caso questo non avviene mai nei team ufficiali, che hanno solitamente un budget sufficiente, ma solo nelle squadre private, che non sempre hanno la possibilità di acquistare aggiornamenti o parti speciali.