John McGuinness: “Ritirarmi? Neanche per idea, sono ancora in forma!”

John McGuinness: “Ritirarmi? Neanche per idea, sono ancora in forma!”
Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
Il ventitré volte vincitore al TT, testimonial Honda, ci ha accompagnato nel nostro test con l'Africa Twin in Galles. Ne abbiamo approfittato per parlare un po’ di corse e tecnica, racing e stradale
  • Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
18 luglio 2016

John McGuinness è un pilota, ma prima di tutto un appassionato motociclista. In un epoca in cui i piloti a volte non hanno nemmeno la patente per guidare la moto per strada, The Morecambe Missile non perde occasione per salire in sella a qualunque cosa abbia due ruote e un motore. D’altra parte, uno che ha quaranta e passa moto in garage (avete letto bene…) un po’ di passionaccia ce la deve avere. Ci sono tutte le sue moto da corsa, dalle 125 e 250 del Mondiale  alle Yamaha YZF-R1 ed R6 con cui ha dominato il TT, ma anche tante moto stradali, fra le quali una CR 500 (“a bit scary”, la definisce lui stesso) e un’Africa Twin della generazione CRF, con cui si diverte sia su strada che in offroad.

Lo abbiamo avuto come ospite d’onore ad un evento Honda – che vi racconteremo in dettaglio a breve – che ci ha fatto conoscere meglio proprio la nuova Africa Twin, fra offroad e strade britanniche, trovando un grande pilota ma soprattutto un appassionato vero, uno di noi, che passa la serata a tavola a parlare di moto, di gare e di tutto quello che le circonda. Iniziamo chiedendogli quale sia la sua preferita fra le tante che possiede.

«Oh, impossibile da dire, ognuna di loro è speciale per qualcosa. Se proprio dovessi sceglierne qualcuna forse direi le 250GP Honda-TSR con cui abbiamo vinto al TT. Erano davvero moto speciali».

McGuinness non si lascia scappare l'occasione di provare ogni moto
McGuinness non si lascia scappare l'occasione di provare ogni moto

Ovvio che si parli subito di TT, che, nonostante John abbia corso praticamente ovunque (lo trovate anche nelle classifiche del Motomondiale e Superbike anni 90), è quello che lo ha reso famoso. Come mai è arrivato alle corse su strada?

«In realtà adoro correre con qualunque cosa e ovunque, diciamo che le gare su strada sono quelle in cui sono andato meglio. Il TT mi piace molto, perché è una sfida contro sé stessi, bisogna rimanere sempre concentrati, e sui sei giri delle due gare Superbike non è per niente facile. Ultimamente, purtroppo, non riesco a correre quanto vorrei, soprattutto per una serie di date concomitanti fra le Road Races e le tappe del Mondiale Endurance».

Lo chiediamo, chiarendo subito che non c’è la minima mancanza di rispetto nella nostra domanda: ma il segreto del pilota vincente al TT sta anche nel margine di sicurezza che riesce a tenersi?

«Naturalmente si: il margine d’errore accettabile al TT è diverso da quello di una gara su uno short circuit. E devi costruirti il ritmo un po’ per volta, perché le condizioni possono cambiare senza preavviso, condizione in cui l’esperienza gioca un ruolo fondamentale. Ecco perché spesso si vedono i giri veloci nelle fasi finali, e perché sono gli anni in cui le condizioni meteo restano più stabili quelli in cui si vedono crollare i record – si può limare un pochino quel margine di sicurezza. Detto questo, negli ultimi due anni ho corso dando sempre il 100% (fa il classico gesto dell’impiccato, con il pollice sotto il mento, NdA), e non avrei potuto fare niente di più».

John McGuinness impegnato a Braddan Bridge nel 2015
John McGuinness impegnato a Braddan Bridge nel 2015

Ma dopo la storica vittoria del 2015, quando “McPint” si è aggiudicato un po’ a sorpresa la Senior, il 2016 è andato bene ma non benissimo, con due podi ma nessuna vittoria. Cosa è cambiato?

«In realtà nulla, e forse è stato questo il problema. In entrambe le edizioni ho corso al 100%, e infatti i tempi che ne sono venuti fuori sono grossomodo gli stessi, solo che quest’anno in due hanno girato più forte di me. Massimo rispetto, anche nel 2015 se qualcuno mi avesse battuto gli avrei stretto la mano. Il problema è che la Fireblade è una moto eccezionale, la più vittoriosa della storia del TT, ma ormai è al limite. Di fatto è la stessa moto dal 2009, ed è arrivato il momento di mandarla in pensione....sul podio del TT mi sono fatto scappare che quest’anno arriverà la nuova, facendo arrabbiare i responsabili Honda, ma visto che ormai “il gatto è fuori dal sacco” tanto vale dire che spero si riveli competitiva».

La moto di McGuinness infatti è praticamente standard, naturalmente nell’accezione di una moto da corsa.

«Montiamo il kit Honda, non ci sono pezzi realizzati su misura per noi come fa invece qualcun altro – se osservate una Suzuki impegnata al TT ci vedrete sopra particolari meravigliosi mentre noi usiamo solo il materiale che ci passa la casa. Anche sulla moto con cui corro nell’Endurance cambia poco, giusto le soluzioni per velocizzare i cambi gomme e le riparazioni, più qualche dettaglio come i cerchi più leggeri, visto che non devono resistere alle botte che si prendono sui tracciati stradali – diciamo che sono molto simili nella sostanza, anche se diverse in tanti particolari di dettaglio».

«Anche con l’elettronica non abbiamo niente di particolare, anche perché comunque, visto che vale il regolamento della BSB, avremmo limiti abbastanza stretti. Se mi piacerebbe averne? Hmmmm, dipende. Diciamo che mi piacerebbe un anti-impennata, perché la nostra moto tende fisiologicamente a sollevarsi molto d’avantreno. Il controllo di trazione è un’altra faccenda: al TT, ma in generale, nelle corse su strada, la moto tende a saltare abbastanza spesso, e il non avere la ruota posteriore a terra in piena accelerazione è una situazione che tende a mandare abbastanza in confusione i TC. No, credo che alla fine sarebbe più un freno che un vantaggio».

E il DCT? Come andrebbe su una moto da gara?

«Domanda interessante. Sulle moto di serie mi piace molto, così come l’ABS e la frenata combinata: molti motociclisti amano credersi superiori ai sistemi moderni, sostenendo che in gara non si usano quindi non sono realmente più efficaci di un pilota esperto, quando la realtà è solo che le condizioni che incontriamo in gara sono diverse da quelle che vivono – anzi, viviamo, mi ci metto anch'io – sulle strade di tutti i giorni, quando sistemi del genere sono utili e possono fare la differenza fra uno spavento e una brutta esperienza. In gara il DCT potrebbe funzionare, ma andrebbe pensato e messo a punto in quell’ottica, con la possibilità di tararlo sullo stile di ogni pilota: ognuno di noi usa il cambio in maniera differente».

Quindi anche una moto tanto sofisticata come la RC213V-S schierata dal team Padgetts quest’anno potrebbe non essere efficace?

«Beh, quello è un altro discorso. Noi ovviamente non abbiamo espresso la nostra opinione perché si tratta comunque di una squadra Honda, e io personalmente ho il massimo rispetto per Clive Padgett e per la sua famiglia, ma sinceramente non credo che la loro scelta rispetti il regolamento – è una moto che praticamente non esiste, non è stata omologata per la Superbike, non rispettando i criteri del numero di esemplari prodotti né quelli di prezzo del modello di serie. Però capisco che agli organizzatori faccia gioco, perché alla fine si tratta di una cosa che fa notizia. Diciamo che anche la Norton, che corre con motore Aprilia, o la Suter due tempi sono palesemente fuori regolamento, ma nessuno in quel caso dice nulla, perché non sono competitive – se andassero davvero forte vedreste come inizierebbero a sollevarsi le mani degli avversari».

Bruce Anstey sulla Honda RC213V-S del team Padgetts
Bruce Anstey sulla Honda RC213V-S del team Padgetts

Ma allora credi che la 213 possa essere competitiva? Sei riuscito a girare vicino ad Anstey durante le due settimane di gare?

«Purtroppo no, quindi non ho visto in prima persona come si comporta la moto, però ammetto che all’inizio avevamo pensato un po’ tutti che una moto tanto corta e rigida su un tracciato come il Mountain non avrebbe potuto andare bene. Con il senno di poi la RCV è un mezzo molto competitivo: la situazione di quest’anno ha mascherato molto i valori in campo. Anstey si è infortunato quasi subito, e non ha potuto sfruttarne il potenziale appieno, ma se guardate i cronologici delle due gare Superbike vedrete che all’inizio andava davvero forte, poi ha dovuto mollare per questioni prettamente di forma fisica. Diciamo che la combinazione Anstey – RC213V-S può fare tanta paura. Se dovessero tornare l’anno prossimo, dopo i primi responsi del cronometro vedrete che i team BMW, Kawasaki e Suzuki inizieranno a protestare».

Insomma, avversari ovunque con una moto ormai un po’ vecchia. Mai stato tentato di lasciare Honda in questi momenti di difficoltà?

«No. Ho corso con altre Case in passato, ma ormai sono con Honda da undici anni, e credo molto nella fedeltà e lealtà verso chi crede in me. Con Honda, ma anche con i miei sponsor, come Alpinestars o Shoei, a cui sono legato da molto tempo. E quando mi ritirerò, mi piacerebbe continuare come ambasciatore Honda».

Già, il ritiro. Per quanto tempo ancora continuerai a correre, John? McGuinness sorride, con gli occhi che brillano di chi la sa lunga.

«Chi lo sa? Ma mi sento ancora in forma, riesco a correre i sei giri del TT. Non c’è fretta».

Foto: Licciardello, Kneen (Pacemaker Press International)

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