Andrea Winkler: "Il mio sogno? Sfidare i campioni americani di Supercross"

Andrea Winkler: "Il mio sogno? Sfidare i campioni americani di Supercross"
Massimo Zanzani
Correre una gara Supercross è il sogno di qualsiasi pilota: Andrea Winkler è riuscito - in parte - a concretizzare questa aspirazione comune a tutti i giovani crossisti | M. Zanzani
22 marzo 2013

 

Il boato e gli applausi di 60.000 spettatori, l’arena che rende ancora più pressante l’atmosfera, la pista cortissima e irta d’ostacoli che ti toglie il fiato, il mito costruito in anni di battaglie col coltello tra i denti, i piloti più famosi e pagati del mondo: benvenuti al Supercross Usa, il campionato che nel bene e nel male è il miraggio di tutti i piloti che guidano una moto da cross.


Non c’è ragazzino che una volta salito su di una minicross non aspiri un giorno a partecipare al campionato statunitense che si corre dentro gli stadi, anche se poi la selezione è talmente dura che in pochi sono riusciti a far seguire i fatti e ad ottenere risultati di prestigio.


Se però per scalare le classifiche ci vuole il supporto di un team ufficiale e doti atletiche fuori dal comune, partecipare ad una o più prove in veste privata non è così impossibile come poteva esserlo una volta quando i viaggi aerei erano molto più costosi così come il noleggio di una moto e le spese di vita in generale.


La dimostrazione viene da Andrea Winkler, pilota piemontese completamente privato che si è schierato al via della classe 250 nelle prove di Anaheim II, Auckland e Anaheim III.

«E’ stata una decisione presa in poco tempo – spiega il torinese - l’anno scorso quando si è concluso l'Europeo Supercross vista la mia passione per le piste artificiali mio papà mi ha proposto di andare e fare un po' di esperienza negli Stati Uniti. Avevo questo sogno da quando era piccolo, e quindi non mi sono certo tirato indietro».


La carriera di “Andy” è simile a quella di tanti altri ragazzi, anche se i risultati hanno stentato ad arrivare per i numerosi infortuni non tanto in sella alla moto bensì con lo skateboard o alla guida della BMX.
«Ho iniziato con l'Italiano minicross, poi sono passato agli Internazionali d’Italia e all'Italiano 125, per poi impegnarmi con più costanza nel supercross anche se l'anno scorso sono stato fermo perché mi sono fatto male tre volte, una volta in moto mi si è lussata la spalla senza cadere, una volta in bici e una volta facendo un po' di cavolate con i miei amici. Il supercross è sempre stata la mia passione, perché ho sempre fatto BMX e skate, quindi gli ostacoli mi sono sempre piaciuti, e i salti in moto per me sono la cosa più bella. Per questo mi sento più portato per il supercross che non per il motocross, anche per via del mio fisico che non è proprio enorme».

 


Quali sono stati i tuoi migliori risultati?

«Quelli avuti proprio nel supercross, l’anno scorso alla mia prima stagione sono terminato terzo nell'Italiano con la vittoria di Udine, quarto negli Internazionali e sono stato finalista dell'Europeo».

 


Quanto ti ci è voluto per pianificare la trasferta?
«In realtà non tanto, ci siamo messi in contatto con Oreste Valenti che ha una base in California e che ha pensato a moto e accomodamento per cui mi è bastato decidere la data del volo, anche perché inizialmente non pensavo di correre ma solo di allenarmi e prendere la mano alle piste del posto. Poi Oreste mi ha visto girare e mi ha detto che se volevo avrei potuto fare anche qualche gara, e ha pensato lui alle formalità tecniche. Avendo fatto l'Europeo avevo già la licenza internazionale, e quindi non è stato un problema avere il nulla osta per ottenere la licenza americana valida per le prove a cui ho preso parte».


Dove hai fatto gli allenamenti per queste gare?
«All’inizio è stato un un po' complicato perché prima di partire girando con lo skate mi è riemerso un problema ad una gamba che mi ero infortunato un paio di anni fa. Sono stato un po’ fermo ma quando sono arrivato in California sono andato in moto una settimana ma poi sono stato fermo dieci giorni perché l’articolazione mi faceva male. Poi ho ripreso e sono andato a girare più che potevo nelle piste di Starwest, Pala e Milestone per recuperare il tempo perso e per prendere confidenza coi tracciati perché sono molto diversi dai nostri. I salti, le dimensioni dei circuiti, tutto è più grande, tutto più dilatato. Le rampe sono più alte e magari non ti fidi a saltare da seduto, perché sei abituato da noi che le rampe sono piccole e ripide che scalciano, invece lì puoi fidarti perché sono enormi e i salti sono molto più lunghi anche se non ti permettono l'errore perché sono meno arrotondati che da noi. E sono diverse anche le whoops, anche se nelle piste di allenamento le trovavo abbastanza piccole e facili, ma quelle che ho poi trovato in gara erano veramente difficili».


Hai avuto modo di allenarti con piloti famosi?
«Sì, loro non si fanno problemi, girano anche se ci sono altri. Mi sono trovato spesso coi piloti di Troy Lee, Craig e Seely, Malcom Stewart e quelli del team KTM, Osborne e gran parte di quelli della Honda».


Ti è servito il fatto che fossero lì con te?
«Certo, soprattutto ho tenuto d’occhio la loro tecnica e ho visto che da noi è completamente diversa. Per esempio in Italia nelle whoops la teoria è di stare tutti all'indietro, mentre da loro dicono di stare tutto in avanti per cui ho dovuto guardare come facevano, ho fatto dei video e li ho confrontati per vedere come fare. Alla fine ho visto che è il contrario di quello che mi era sempre stato detto, quindi ho dovuto imparare di nuovo ».


Come è stata la tua giornata tipo?
«Una colazione con delle ciambelle a dir la verità non tanto sane, poi palestra o allenamento con la moto facendo in media tre manche da una ventina minuti. Mi interessava soprattutto fare un po' di tecnica, provavo i salti, le whoops, poi alla fine ho cominciato a fare giri veloci, magari otto giri per tre volte. Al rientro lavaggio e messa a punto della moto, lavatrice con vestiti con cui avevo girato e la sera di nuovo in palestra anche se è successo poche volte, perché andando tanto in moto ero così stanco che non ce la facevo, magari andavo solo per fare un po' di cyclette per defaticamento».

 


Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato?
«Devo dire che il livello laggiù è altissimo, e per me è stato difficile poter competere con loro perché vanno tutti forte. In più ho dovuto reimparare a fare le whoops, ma ci vuole tanta pratica e bisognerebbe passarci tanto tempo sopra. Anche la moto è stata inizialmente un problema, perché la prima che ho avuto era piuttosto malconcia, per fortuna che almeno mi ero portato da casa le mie sospensioni. Con una moto di serie in ogni modo fai fatica, è ovvio, ci sono certi salti che devi prenderli in piena subito fuori da una curva per cui devi avere un buon motore per farli. Alla fine molti salti li fai lo stesso, però fai molta più fatica che con una moto a posto. Quella che ho avuto dopo era un po’ più fresca, ma l’unica cosa che aveva era una marmitta diversa, per il resto niente di che».


Il tipo di vita però è più facile da quelle parti.
«Ci sono delle cose positive e altre negative, come ad esempio la mentalità un po' particolare e che per qualsiasi cosa devi fare mezz'ora di guida, se non hai la macchina lì sei morto, ma sono problemi che a me non danno fastidio. Per il resto mi è piaciuto tutto, in California ci vivrei senza problemi, ci sono tutte le cose che mi piacciono e sono fatte veramente bene. Per il surf, il motocross e lo skate è bellissimo».

 


Quali sono la cosa più bella e la cosa più brutta di questa trasferta?
«Il primo gennaio dopo essermi allenato in moto in moto sono andato a Venice e ho girato nello skate park più bello del mondo, quando ero stanco andavo a surfare sulla spiaggia lì davanti: è stato un sogno, c'era un sole pazzesco, era caldo, e stavo facendo quello che ho sempre voluto fare, proprio un sogno. La cosa che mi è piaciuta meno è invece stato il fatto che non avendo ventun anni non potevo fare quasi niente, tutti i miei amici andavano nei locali la sera e io rimanevo fuori ad aspettarli oppure stavo a casa».

 
Veniamo alle gare, come è stata l'emozione della prima uscita nello stadio?
«Pazzesca, indescrivibile. Sono entrato e c'erano tutti i campioni di fianco a me, gli stessi che da piccolo guardavo nei video, mi veniva quasi da piangere dalla felicità. Poi entri e senti lo stadio che ti avvolge, con la più bella pista che io abbia mai visto. Era un misto tra la paura della pista e la felicità, mi sono divertito tanto anche se ero spaventato dalle whoops, non le avevo mai fatte così grandi. Sapevo che non sarei andato forte perché in quel punto perdevo tanti secondi, mentre nel resto della pista diciamo che ho fatto tutto subito per togliermi la paura. Però è tosta, perché rispetto alle piste di allenamento le piste che trovi in gara sono molto più difficili, non avevo mai corso su piste così impegnative».


Come sono andate gare a cui hai partecipato?
«Anaheim II è stata la prima, e sapevo che sarebbe male perché era solo da una settimana che avevo ripreso ad andare in moto dopo l'infortunio ma l'ho fatta solo per vedere com'era fatta la pista e poi, già che ero iscritto, per combattere un po' la paura della prima volta dentro lo stadio. Ho provato a fare qualche giro veloce, ma non avevo il livello e l'allenamento sufficiente per qualificarmi. Quella successiva, ad Auckland, non dovevo partecipare ma me l'ha fatta Oreste come regalo, ed è stata la pista più tosta. C'erano tantissimi canali, un terreno molle e difficile con delle sequenze che mi hanno messo in difficoltà, riuscivo a fare un giro veloce ma poi finivo in un canale e perdevo tempo. Aveva infatti piovuto, e si era formata una crosta in superficie ma il terreno sotto era molle. C'erano dei canali pazzeschi, mi sono avvicinato alla qualifica ma per un solo secondi ovvero tre posizioni non mi sono qualificato. Nell'ultima ero abbastanza carico, la pista mi piaceva e facevo delle sequenze che nel mio gruppo non facevano tutti. Ero contento, andavo abbastanza forte e nelle prove guadagnavo anche un tipo della Kawasaki che mi sembrava andasse forte e che infatti si è qualificato. Nella manche di qualificazione a un certo punto mi sono trovato le bandiere gialle che sventolavano, ho fatto un salto un po' corto e mi sono cappottato fuori pista dando una testata sull'asfalto e piegando tutta la moto per cui quel turno è saltato. Nel successivo anche se ero ancora un po' intontito dalla botta stavo facendo un giro perfetto, ma alla penultima curva avevo una marcia troppo lunga e si è spenta la moto. Ho sacrificato quel giro, negli altri giri c'era sempre gente caduta in mezzo che non mi permetteva di fare il triplo e mi faceva sprecare tempo, mancava poco e mi sono detto che dovevo provare tutto. Ho provato a fare le whoops più forte che potevo ma mi sono cappottato e quindi non sono riuscito a qualificarmi neppure questa volta».


Se tu andassi là di nuovo...
«Ci andrò di sicuro, perché per me è proprio un obiettivo andare lì e qualificarmi. Quasi sicuramente l'anno prossimo, anche perché ho trovato un posto dove posso studiare una materia complementare alla mia università, quindi potrei fare il corso in California».


Al tuo prossimo tentativo cosa faresti e cosa non rifaresti?
«Intanto avrei più esperienza e saprei a chi rivolgermi per le moto e le altre cose, e forse farei una cosa un po' meno "vacanza" e un po' più professionale. L’ideale sarebbe fare tutto il campionato, perché più gare fai e più vai forte perché hai più esperienza. Probabilmente invece metterei da parte lo skate perché è con quello che mi sono fatto male, vorrei concentrami di più e preparare meglio la moto in modo da fare meno fatica».


Che esperienze hai tratto da questo viaggio?
«L'esperienza è stata enorme, adesso mi sento molto più sicuro in moto e per me non è più un problema fare i salti perché non ho più paura di provare salti e sequenze che nessuno fa e sono molto più preciso nelle esecuzioni. Inoltre ho imparato l'inglese e mi sono fatto un sacco di amici americani».


Quali consigli daresti ad un amico che vuole tentare come te questa avventura?
«Di allenarsi tanto prima di partire, perché io sono arrivato poco allenato e all'inizio ho fatto molta fatica. Consiglio di trovare il posto giusto per affittare la moto, informarsi sulle piste su cui andare a girare, e affittare un pick-up perché le distanze sono così grandi che non potresti fare niente se non hai una macchina. E poi avere una moto con le sospensioni preparate bene perché le piste sono toste che non ti consentono l'errore».


Allora la prossima intervista la faremo quando ti qualificherai in una prova Supercross?
«Magari, mi piacerebbe enormemente, per me è un obiettivo importantissimo. Mi sto già allenando perché ho in mente solo di fare le gare del prossimo anno, ho proprio voglia di far vedere che riesco a qualificarmi e di partecipare alle gare che si corrono di sera, se essere venuto qua era un sogno qualificarmi ad una gara è il mio vero e proprio miraggio».