Sono tanti, sono appassionati e non hanno paura di nulla: viaggio nella Cina della moto

Sono tanti, sono appassionati e non hanno paura di nulla: viaggio nella Cina della moto
Siamo stati in Cina e siamo entrati in contatto con tre delle realtà industriali motociclistiche che stanno trasformando il mercato della moto in Occidente. Ecco il nostro reportage
24 ottobre 2025

Volevo restare. Salendo sulla scaletta dell'aereo che da Pechino mi avrebbe riportato a Milano avvertivo una sorta di rimpianto muto, quell'anteprima di nostalgia che dopo una permanenza così breve – 5 giorni – avrebbe tutto il diritto di ritenersi immotivata.

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Avevo immaginato la Cina diversa e se la prima impressione è quella che conta, il precedente – fallito - tentativo di un paio di anni fa di entrare per poche ore a Pechino con un visto temporaneo mentre facevo scalo dal Giappone non aveva messo la parola fine alla sconfinata fiducia che ripongo negli eventi.

Che poi, immaginare la Cina “diversa” fa parte della nostra presunzione da occidentali, bravi nell'abuso della sineddoche, pensiamo che andare a vedere poche città e tre aziende possa darci una fotografia affidabile di un Paese sconfinato in tutto: per territori, popolazione, produzioni, prospettive. Non è così.

La Cina è un luogo della mente, per noi che da 10 anni parliamo delle moto che vengono da lì e ancora siamo in grado di stupirci e di ripetere alcuni luoghi comuni: il mio viaggio nel Deep East è nato sotto l'auspicio dell'abbandono di questi luoghi comuni attraverso la mia naturale predisposizione – ma diciamo pure desiderio – allo stupore; alla fine ho scoperto di avere più legami con la Cina di quanti non ne sospettassi al momento dell'invito da parte di Keeway e MBP a passare da Chengdu, Chongqing e Hangzhou per dare un'occhiata da vicino a tre realtà industriali cinesi molto diverse l'una dall'altra: Keeway-Morbidelli, Zonsen-Cyclone e Benda. Dei mostri, visti con i nostri occhi.

Telecamere e sicurezza

All'arrivo, essere un giornalista ti espone al privilegio di poter fare qualche chiacchiera in più al controllo del passaporto con il personale dell'aeroporto ma nulla di che. Telecamere ovunque, mi sembra anche microfoni, indubbiamente ci tengono a vedere bene in faccia chi fa cosa. Ma alle telecamere ci fai presto l'abitudine e ti rendi subito conto che la Cina non è un posto per furbetti.
Piuttosto, inizio in quel momento a capire che qui tutto è polverizzato, atomizzato, disperso. Nessuna ressa in aeroporto, il bus che ci porta da Chengdu fino a Ziyang percorre strade a 8 corsie deserte. Sì, sono le 6 di mattina, ma per analogia le stesse strade in India a quest'ora sono stipate, arse da milioni di mezzi a due, tre e quattro ruote. Qui no. E pure il cielo è diverso, con una coltre grigia che sarà la costante palette quando alzeremo – io e i miei colleghi giornalisti – gli occhi.

Ziyang è lontana da Shanghai e da Pechino, sta molto più a ovest, nel Sichuan. Fa parte di un'area zeppa di testimonianze storiche, snodo strategico per i commerci e luogo di nascita del maestro di Confucio, Chang Hong: nella parte dove siamo alloggiati è deserta. Ma proprio una roba che Silent Hill spostati. Palazzi immensi solo parzialmente abitati, molti altri appena completati ma vuoti, altri altrettanto giganteschi in costruzione lungo le strade perfette, tirate con una riga e con le bandiere rosse sui pali dell'illuminazione mentre in lontananza sulla collina opposta si stagliano una ciclopica ruota panoramica (che non vedremo mai girare) e due teste, una di drago e l'altra di orso che mi sembrano facciano parte di un parco giochi in costruzione. È tutto pronto, manca soltanto la gente.

Girare la domenica mattina è straniante: i parchi giochi destinati ai bambini sono vuoti, puoi attraversare le strade a occhi chiusi, parlare a bassa voce e farti sentire dall'altra parte della carreggiata. Eppure il verde è curatissimo, vedo ristoranti e minimarket aperti con nessuno all'interno e dubito che sia un caso.
L'impressione è che la città si stia espandendo a ritmi frenetici, più rapidi della gente che deve andare ad abitarla. La domanda di abitazioni è debole, la terribile crisi immobiliare ha lasciato il segno anche se qualche segnale di ripresa affiora grazie anche al sostegno delle politiche centrali e locali.

 

Bastano però dieci minuti di taxi per spostarsi nella parte più centrale e trovare gente e vita. Poche moto e pochissimo traffico. Gli spazi sono immensi, gli scooter si perdono come gocce nell'asfalto, dimenticatevi – anche se siamo in una metropoli da 5 milioni di abitanti – la frenesia cattiva di Milano o di Catania.
L'impressione è che l'evoluzione sia velocissima e che le grate alle finestre dei palazzi del centro, presenti anche nei piani più alti, siano un retaggio di un'epoca dove forse c'era meno controllo sociale ma qualche timore in più, come mi ha confermato qualche locale.
Ma anche qui occorre fare una premessa: per quante domande io abbia fatto ai cinesi, le risposte sono state sempre abbottonate e caute, brevi elenchi o cose che sapevo già. Eppure girare a piedi è bellissimo: la gente nei parchi a fare tai chi ci guarda come alieni, la città è accogliente a modo proprio e la sensazione di sicurezza è molto alta, sarà una costante lungo tutti i cinque giorni di viaggio.

Le dimensioni contano

Le aziende, i siti produttivi delle moto, sono invece dei santuari. È qui che scopri quanti dei tuoi pregiudizi abbiano un retaggio provinciale e pecchino di una visione eurocentrica che oggi, diciamocelo senza indugi, merita una profonda e rapida analisi critica. Da Keeway per l'inaugurazione del nuovo impianto vicino Ziyang che darà vita alle Morbidelli (marchio 100% italiano come sede e ragione sociale, rinato però con i capitali cinesi di Keeway) si percepisce quanto le dimensioni di tutto quello che accade qui siano incommensurabili con quello che facciamo in Europa.

Una convention per oltre 500 invitati da tutto il mondo, molte decine di moto in prova – seppure, mi spiace dirlo, le prove siano state poco più di parate a velocità limitata anche se in circuito – e uno stabilimento che può modificare la sua attività in modo flessibile. Per quanto le dimensioni siano iper, la densità della popolazione aziendale rende tutto più affollato e la mente va immediatamente a pensare che finalmente vedi qualcosa che ha realmente a che fare con il miliardo e mezzo di popolazione della Cina. Sono tantissimi, e se volevano impressionarmi mostrando una potenza di fuoco da corazzata, beh ci sono riusciti.

 

Aggirarsi per le linee produttive indisturbati, senza quelle – noi diremmo – normali precauzioni che tante altre volte ho preso all'interno degli stabilimenti di Ducati o Suzuki (i primi che mi vengono in mente) è un'esperienza metafisica. Non ti senti nemmeno un estraneo, perché l'operaio cinese a fatica fa cenno di vederti: prosegue silenzioso il suo lavoro e lascia che tu faccia il tuo. Ci si ritrova casomai in mensa, gigantesca anche quella: da Zonsen, azienda che supera il milione di moto all'anno e che ha accordi con il Gruppo Piaggio ma anche con Keeway, oltre ad aver recentemente acquistato Loncin (sì, lo so: è un ginepraio e ci vorrebbe un articolo soltanto per spiegare le partecipazioni e i legami tra le aziende cinesi tra loro, tra le cinesi e le europee, tra le europee e le indiane...), la mensa è a due piani, con relativa saletta riservata dove veniamo dirottati per un pranzo in stile cinese ma “mild”.

La sede di Zonsen è a Chongqing un provincia da 38 milioni di abitanti, grattacieli e ponti da Star Wars, strade popolate ma sicure dove l'impegno del Governo cinese a scoraggiare l'uso delle due ruote è evidente. Non dista tanto da Ziyang e ci arriviamo in autobus. Anche qui vedo poche moto, si cerca di incoraggiare l'uso dei mezzi pubblici ma è anche vero che l'andamento favorevole del reddito pro capite cinese rende sempre meno desiderabile il mezzo a due ruote e più accessibile l'automobile, meglio se con la targa verde/bianca che con quella azzurra. La prima distingue l'automobile elettrica cui non sono apposte limitazioni di accesso ai centri urbani le seconde sono quelle con il caro vecchio motore a scoppio. È come nei nostri anni '50 ma con la tecnologia di domani, capitali quasi illimitati e tanta fame.
 

Tra l'altro una sera io e alcuni colleghi abbiamo fatto una passeggiata per Chongqing, in riva al monumentale fiume Yangtze, con l'illusione di vedere qualcosa di unico e autentico. Io mi sarei accontentato di vedere come sono fatte le case contenute dentro quei palazzi altissimi che, a occhio, sono il rifugio della classe lavoratrice, insomma parto sempre con aspettative basse e pretese miti.
 

Comunque, pioveva. E non importa se entrando da una porta laterale siamo finiti dentro una specie di sala giochi col pavimento appiccicaticcio, biliardi, poltrone massaggianti e postazioni di gaming dove era peraltro espressamente vietato di connettersi a siti porno (ci sono anche in Cina?), era sera tardi e giustifico il fatto che nessuno dei presenti abbia avuto il dubbio di chiederci cosa ci facessimo lì.
No, quello che mi ha stupito è stato che alla fine siamo riusciti a trovare l'ingresso del condominio che avevo puntato ed è stato un ritorno alla realtà. Portineria con guardia (non so se armata, non ho chiesto) senza sorriso e tre tornelli che si aprivano soltanto con il riconoscimento facciale.

Il trionfo della self-confidence

Il ritorno in hotel sotto la pioggia è stato mesto. Mi sono ripreso il giorno dopo, ed è stato scioccante. Ripetete insieme me: “in Cina sanno solo copiare”, fatto? Ok, adesso siete pronti come me per il pellegrinaggio a Canossa ma prima bisogna prendere un volo e atterrare ad Hangzhou, per entrare nel quartiere generale di Benda: poco meno di 100.000 moto l'anno, una sede che è qualcosa tra l'atelier, la mostra permanente, il co-working e il reparto R&D, il tutto confinante con l'officina dove costruiscono le moto e l'area logistica. Lo so, avete già il mal di testa. Penso che aumenterà quando saprete che il suo fondatore (noto con il nome di Kevin, per noi occidentali) è un designer che nel 2016 ha fondato questa Casa motociclistica che adesso ha due sedi gigantesche, 1000 dipendenti e produce custom e power cruiser riconoscibili e sfrontate (ma anche ATV), “committed to authentic, non-copying design”. Ecco, non hanno paura. Non hanno timori, hanno la loro strada ma la mia impressione è che vogliano accreditarsi come marchio globale anche attraverso il riconoscimento del loro lavoro nel Vecchio Continente.

I miei ciceroni in questa visita sono giovanissimi, alcuni hanno studiato in Occidente, lo conoscono meglio di quanto noi occidentali non si conosca la Cina e nel parcheggio c'è pure una Bentley. E quello che più conta, le loro moto sono 100% cinesi. Orgogliosamente.

 

Poi, vabbè, vai dentro lo stabilimento e trovi l'operaio che rifinisce il telaio con la mola rotante a mano o con la saldatrice, ma il massimo della self-confidence è quando uno di noi chiede “ne possiamo provare uno?” Eravamo nella linea di montaggio degli ATV: niente di più semplice, prendono il primo che capita di quelli appena montati, lo portano fuori nella loro area test e ce lo affidano per farci giocare un po'. Senza tante premesse, senza paura: non hanno paura di nulla. Ci prendono gusto, portano la line-up completa degli ATV tra puzza di motori appena assemblati e plastiche ancora da montare. Io sono scioccato. Aveva pure smesso di piovere.

 

“Cosa mi sto perdendo?”, mi chiedo mentre risalgo sull'autobus diretto all'aeroporto. Mi sento come se avessi semplicemente sbirciato tra le tende di un'era che è in pieno svolgimento e questo reportage sarebbe stato meno caotico se solo avessi avuto qualche preconcetto in meno alla partenza e qualche giorno in più per approfondire gli spunti o trovarne altri. Non sono più lo stesso, lo ammetto candidamente mentre riprende a piovere e i passi sulla scaletta dell'aereo si fanno pesanti, e non è la stanchezza di un tour denso ma esaltante, non è nemmeno la birra calda che ho bevuto: è che volevo restare

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