Ride in the USA. La Baja California

Pietro Ambrosioni
  • di Pietro Ambrosioni
Un brevissimo viaggio in Messico nel nord della Baja California. Luoghi meravigliosi a poche ore dal confine USA
  • Pietro Ambrosioni
  • di Pietro Ambrosioni
6 luglio 2016
Quando un paio di settimane fa sono andato a intervistare Bill Berroth di Motonation ho anche finalmente avuto occasione di fare un bel giro in moto in Baja California. Se avete avuto occasione di leggere il mio resoconto della gara che ho corso a Tecate in maggio (che ha anche coinciso con la mia prima esperienza in Messico), sapete anche che la piccola cittadina si trova esattamente su confine con gli USA, e sebbene l’atmosfera che si respira sia decisamente diversa rispetto alla adiacente e “plasticosa” San Diego County, non si può nemmeno dire di aver davvero vissuto la Baja fino in fondo. Sarebbe come arrivare dall’Austria e fermarsi due chilometri dopo il Brennero e dire di aver visitato l’Italia…

Questa volta mi sono spinto un po’ più a sud, anzi, un bel po’ più a sud. Salvo poi accorgermi che in realtà, dopo diverse ore di guida, mi ero avventurato nel cuore della penisola solo per 200 Km. Per tornare al paragone precedente, dal Brennero ora mi ero spinto fino a Trento: uno spettacolo, ma c’è sicuramente ancora moltissimo da vedere ed esplorare.

La prima cosa che mi ha colpito entrando in Messico, questa volta dal valico di Tijuana, subito a sud di San Diego, è che al confine non ti guarda nessuno. La coda in uscita (o in entrata verso gli Stati Uniti se volete) è mostruosa, ma da questa parte non ti degnano nemmeno di uno sguardo. Meglio così.

I primi chilometri sono per me uguali ogni volta che guido in un Paese diverso da quello dove vivo: super attento a prendere la direzione giusta, a rispettare la segnaletica e soprattutto a valutare chi mi sta attorno. Come guidano, se a loro volta rispettano la segnaletica e se soprattutto rispettano me e la mia moto.

Solo dopo aver preso confidenza posso davvero iniziare a guardarmi attorno e godermi il panorama. All’andata la superstrada che contavo di prendere era chiusa per un incidente, per cui ho tagliato per Tijuana in un traffico micidiale ma scorrevole, fino a prendere la statale 1 e raggiungere l’oceano appena prima di Rosarito. Non so voi, ma per me vedere il mare è ogni volta come prendere un pugno nello stomaco. Non importa se sbuca da dietro una curva del Topanga Canyon a Malibu o se mi appare solo di sfuggita uscendo da un tunnel della Milano-Genova: per me il mare è magico, lo annuso prima ancora di vederlo e qualunque siano le condizioni meteo, inevitabilmente mi si stampa in faccia un sorriso.

E il Pacifico in Baja California, persino qui dove tutto è ancora molto civilizzato, è davvero uno spettacolo. Di un blu profondo ma brillante, striato dalla schiuma delle onde che vanno ad infrangersi sulle rocce bianche e rosse, con i gabbiani e i pellicani che planano tranquilli nonostante il vento che invece ti fa serpeggiare la moto.

Rosarito è graziosa e pulita, ma oggi non ho tempo di fermarmi perché devo andare a casa di Bill per l’intervista, a Puerto Nuevo. La mattina dopo, verso le 8, inforco la Valorosa e mi lancio a sud: non ho un piano preciso ma voglio vedere fin dove riesco a spingermi sapendo che poi dovrò rientrare in albergo sempre a Puerto Nuevo. So che come minimo voglio arrivare ad Ensenada, ma non ho idea di come possa essere la strada e quali siano le condizioni del traffico. Purtroppo se vivi negli Stati Uniti finisci per credere un po’ a quelle leggende che parlano della Baja un po’ come fosse il Terzo Mondo: strade sterrate, tequila, putas, brutti ceffi e sparatorie…

E invece… sorpresa! La maggior parte della gente qui lavora negli USA, dunque guadagna ottimi stipendi (il cambio peso - dollaro è attualmente 18 a 1), si veste in modo del tutto normale e soprattutto sa di vivere in un paradiso e vuole mantenerlo tale. Certo, le regole sono molto più rilassate che negli USA, il parcheggio un po’ selvaggio e la segnaletica poco più che un cortese suggerimento… ma lo stesso vale per ogni Paese Latino, Italia compresa. Le strade sono lisce e ben asfaltate, la maggior parte delle automobili in circolazione sono recenti e ben tenute, non c’è in giro spazzatura e la sensazione è la stessa che si ha viaggiando nel sud Italia: gente che sa vivere bene e che si prende le sue dovute pause per gustare un caffè o, in questo caso, un taco servito da uno dei numerosi baracchini sul ciglio della strada.

Dopo circa 35Km abbandono la costa e mi arrampico per le colline, entrando nella zona del vino. Qui è pieno di vigneti che stanno iniziando a crearsi una discreta reputazione, grazie all’aiuto e alla consulenza di maestri vinificatori italiani e francesi. La strada corre via liscia e tortuosa, con paesaggi bellissimi seppur arsi dal sole, e la temperatura inizia improvvisamente a salire. La sostenta brezza sulla costa mitiga la violenza del sole di fine giugno, ma appena passata la prima fila di colline, la canicola ti assale e inizi a sudare. A 60 km/h è come avere un asciugacapelli infilato nel colletto del giubbotto…

Dopo altri 30 e passa chilometri ridiscendo verso il mare e raggiungo Ensenada, che dopo Tijuana è la città più grande della Baja California Norte: il traffico è intenso ma non impossibile, e le vie del porto sono intasate da venditori ambulanti e turisti che si affollano nei negozi di chincaglieria o nei bar che pompano musica ranchera. Sono tutti vestiti uguali, con camicie hawaiane, pantaloni corti e la pelle arancione bruciata dal sole, tanto vistosa da notarsi anche da dietro la visiera fumé del casco. Si muovono in gruppo come una gigantesca mandria, e arrivano tutti dall’enorme porto turistico dove ogni anno centinaia di navi da crociera attraccano per l’ultima sosta prima di rientrare nelle acque statunitensi.

Faccio un po’ di zig-zag per evitare turisti distratti, questuanti niente affatto distratti e poliziotti che a loro volta cercano di scacciare i suddetti questuanti. Mi divincolo rapidamente e riprendo la statale 1 verso sud. La strada si inoltra nuovamente verso l’interno e la temperatura sale di nuovo in modo quasi insopportabile: solo dopo scoprirò che i locali chiamano questo tratto “la valle del diavolo”.
Sulla destra mi appare il cartello per “La Bufadora”, meta turistica famosa, dove si può assistere allo spettacolo di onde gigantesche che si infrangono a tutta forza contro gli scogli di una piccola baia. O almeno questo è quello che ho sentito dire perché sinceramente, non voglio infilarmi in una simile trappola turistica, specialmente di venerdì. Sarà per la prossima volta. Proseguo per altri 20 km circa quando però devo assolutamente fermarmi in prossimità di uno scollinamento che sembra quasi uno dei nostri passi sull’Appennino. Il cartello dice “El Palomar” e il ristorante/locanda/minimarket sulla curva mi attira come un magnete. Mi compro una mappa locale, bevo una bibita gassata al pompelmo e mi godo la sfilata di camion, autobus e pick-up che qui si, iniziano ad essere un po’ sgangherati.
Di fronte a me c’è persino un camping che attira i passanti con un bel cartello in stile Baja 1000.

Il Pacifico, come al solito, quando si mostra in tutta la sua selvaggia bellezza è sempre uno spettacolo mozzafiato. Mi fermo a fare qualche foto qua e là, ma so che è ora di tornare perché il traffico attorno a Ensenada diventa allucinante quando ci si avvicina a sera.
E qui ci ficco dentro una bella riflessione personale, vi piaccia o meno: molta gente mi chiede cosa mi manchi di più dell’Italia, dopotutto sono quasi dieci anni che vivo negli Stati Uniti. Ovviamente mi manca la mi famiglia e mi mancano gli amici, mi manca il network delle conoscenze, quella cosa per la quale ogni italiano è a una sola telefonata distanza da quasi tutto, sapete cosa intendo. L’amico dell’amico e così via. Ma quello che mi manca di più è la vitalità delle serate italiane. Quando arriva il tramonto in Italia inizia la vita: si chiude la giornata con una birra o con un bicchiere di vino, facendo l’aperitivo con gli amici e rilassandosi prima di rientrare a casa. Negli USA invece la gente fa un po’ come le galline: arriva il buio, rientrano a casa, mangiano qualcosa davanti alla TV e vanno a dormire. Domani sveglia alle 5 e si ricomincia.

Stasera, ripassando da Ensenada e rientrando a Puerto Nuevo, ritrovo le stesse abitudini italiane. Vedo la gente che esce dal lavoro e passa dal bar a salutare gli amici o si ferma a bere una birra al baracchino di fianco alla fermata del bus. I ristornati si riempiono e le orchestrine di “mariachi” si affrettano per raggiungere la terrazza sull’oceano, dove un capannello di passanti si è fermato ad aspettare il tramonto.

Finisco la serata con Bill e sua moglie Lucy davanti a una birretta e una tequila offerta dalla casa, in un baretto dove l’americano medio non avrebbe nemmeno il coraggio di guardare l’insegna: invece qui sono ovviamente tutti gentili e disponibili, e l’unico problema diventa respingere le eccessive attenzioni di una “chica” un po’ rotondetta e un po’ ubriaca.

Il mattino dopo, sabato, devo rientrare: la tariffa per una stanza nel mio albergo arriva quasi a triplicare e sinceramente non mi piace nemmeno la masnada di americani chiassosi che è iniziata a riversarsi su Puerto Nuevo già da ieri sera. Bill mi porta in un posticino delizioso a far colazione alla messicana, con tanto di tortillas fatte a mano al momento e caffè alla cannella. Mi accompagna poi in moto fino quasi al confine per farmi vedere dove schivare le transenne e saltare quasi tutta la coda. Sono agli sgoccioli del mio breve viaggio messicano: riesco ad infilarmi tra le auto per un po’ ma alla fine rimango comunque bloccato e mi sorbisco circa 30 minuti di attesa. Non male affatto, visto che la media qui è tre ore!