Quella curva che non ci piace

Quella curva che non ci piace
Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
Uno stillicidio di cancellazioni e posticipi. Gare, eventi, presentazioni stampa. Perché pensare come se il mondo si fosse fermato solo in Italia? Perché la percezione non è la stessa per tutti, a seconda di che punto della curva stiamo percorrendo...
  • Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
11 marzo 2020

Un vero e proprio stillicidio, non c'è altro modo di definirlo. Il nostro lavoro, ogni giorno, è quello di raccontarvi cosa succede in quell'universo che ruota, più o meno centralmente, attorno alla moto. Un universo normalmente felice, fatto di gare, passione, moto, accessori per renderle più belle e funzionali, abbigliamento per proteggerci, eventi, incontri. Ogni giorno, da qualche settimana a questa parte, le notizie parlano invece di gare cancellate, posticipate, mutilate. Le presentazioni stampa, i test, sono saltati tutti come tappi di bottiglia.

In questi giorni, o a breve, avremmo dovuto parlarvi della Benelli 752, della Ducati Streetfighter V4, della Moto Guzzi V85 TT Travel, e sono solo i primi tre appuntamenti che mi vengono in mente. Tutto fermo, com'è logico e giusto che sia. Ma allora, se abbiamo capito quanto è grave questa maledetta situazione, perché le gare si spostano una dopo l'altra? Perché all'estero si pensa ancora di poter correre gare che, con un minimo di buon senso, anche con tutta la miglior volontà, non è realistico pensare di poter portare avanti? È solo cinismo, nel nome di uno show che deve continuare a tutti i costi? Forse no.

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Il problema, ce lo hanno detto negli ultimi giorni i nostri corrispondenti, i piloti, i team manager, le aziende con cui abbiamo parlato, è fondamentalmente di percezione. In Gran Bretagna e in Olanda per la MXGP, in Spagna per i test della MotoE, ma anche altrove in Europa, non si vedono le precauzioni che qui da noi, almeno da una settimana, diamo per scontate. La gente si avvicina, si stringe la mano, si abbraccia. Il punto è semplice: sono dove eravamo noi due settimane fa.

Ci sono due curve di cui si fa tanto parlare in questi giorni, e anche se ci piacerebbe molto che così fosse, perché parlarne farebbe parte di quel mondo meraviglioso citato in apertura, non si tratta di curve di circuiti: sono la curva esponenziale e la curva logistica, rappresentazione grafica dei risultati matematici dello studio sulla diffusione del Coronavirus, il cui andamento ci offre qualche speranza di essere vicini a... scavalcare, a svoltare, come si dice in un gergo ormai quasi dimenticato. Sono le curve che confrontano la propagazione del maledetto Coronavirus, il contagio, quando le interazioni fra le persone sono libere - quella esponenziale, che cresce sempre più verticale, avvicinandosi all'asintoto dell'ordinata - e quando invece vengono messe in atto quelle misure restrittive che stiamo subendo in questi giorni - quella logistica, su cui ad un certo punto la crescita diminuisce fino ad arrestarsi. La curva si appiattisce, il contagio smette di propagarsi.

Ecco, se i numeri sono veri, siamo come un pilota nel bel mezzo di un'intraversata causata da un cambio di grip dell'asfalto. Un pilota che, da solo, non è stato abbastanza bravo a gestire l'acceleratore, a vedere che la stessa cosa era successa anche al pilota - un cinese sconosciuto, forse - che lì c'era passato qualche secondo prima. Ma forse era troppo lontano per capire come fossero andate le cose di preciso. Il nostro pilota ha perso sicuramente tempo, ora resta da capire se resterà in sella o finirà per lanciarsi in tribuna. Per fortuna, sembra che l'elettronica sia arrivata in tempo. Ha ritardato l'accensione ma non è bastato, a brevissimo arriverà sicuramente anche a chiudere un po' i corpi farfallati per cercare di riportare le ruote in linea. Ma se i numeri la dicono giusta, se l'algoritmo di chi ha studiato la strategia dello slide control è stato tarato giusto, sembra che ce la faremo. In ritardo, ma torneremo ad accelerare sul rettilineo successivo.

Gli altri Paesi sono i piloti che ci inseguono. Qualcuno più vicino, qualcuno più lontano. Stanno finendo la staccata, sono alla corda o giù di lì. Qualcuno pensa di avere gomme più performanti, un'elettronica migliore o un polso destro più sensibile, e se ne sta fregando, pensando che la nostra imbarcata sia dovuta a incapacità o impreparazione. E farà quasi inevitabilmente lo stesso errore, ma ancora non se ne rende conto: nella curva della nostra metafora è alla corda, in quella dello studio è ancora su quella esponenziale. I piloti più lontani, forse riflettendo e pensando che è statisticamente difficile che tutti i piloti compiano lo stesso errore nello stesso punto, inizieranno a capire che c'è qualcosa che non va in quel tratto d'asfalto.

Arriverà un punto in cui qualcuno inizierà a rallentare e a passare piano in quel punto. E probabilmente verrà fuori la bandiera rossa, in attesa che escano i commissari a spargere il filler. O i ricercatori a darci una soluzione. Noi, nel frattempo, cerchiamo di imparare qualcosa dall'adrenalina dell'imbarcata presa. Lasciamo che le pulsazioni rallentino, ringraziamo la santa elettronica invece di pensare, come fa qualcuno, che in fondo non serva e che ci abbia solo rallentato. E pensiamo a quanto sarà più bello quando sentiremo la sirena che annuncia la riapertura della pitlane.

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