Nico Cereghini: “Una foto che sbuca dal 1965”

Nico Cereghini: “Una foto che sbuca dal 1965”
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Un casco a scodella, una tuta da meccanico e già ci sentivamo motociclisti. La pelle, gli stivali e i guanti erano roba da piloti. La moto è una Gilera 98, lo sguardo quello di quattro ragazzi che hanno in mente un grande progetto. A due ruote
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
29 dicembre 2020

Ciao a tutti! Per l’anno nuovo vi faccio un regalo personale: una mia vecchia fotografia saltata fuori dagli anni Sessanta addirittura. Lo so, naturalmente corro dei rischi: ma guarda che casco, ma guarda che tuta, ma guarda che scarpe, ma guarda che faccia… chi ha la fortuna di essere più giovane di me, e non ha vissuto quegli anni, farà un po’ di fatica a leggere quello che c’è davvero in questa immagine.

Protagonista, naturalmente, la moto: è la mia prima vera moto, una Gilera 98 trasformata in una specie di Regolarità, comprata usata da Perere nel ’65 con i risparmi e molti mesi di lavoro. Il pomeriggio, dopo il liceo, facevo il commesso e il fattorino in un negozio di letti e materassi nel centro di Milano. Materassi in gommapiuma Pirelli. La foto documenta la presentazione della mia meraviglia agli amici storici: se non mi avete ancora riconosciuto io sono il primo a sinistra, il casco in testa e però, almeno al momento, non ben allacciato.

Avevo quasi diciassette anni e la barba ancora non c’era, quella sarebbe arrivata due anni dopo quando la moto era già bell’e che andata: consumata, distrutta, già svenduta da quel motociclista ignorante e inesperto che ero. In famiglia, purtroppo, non c’erano motociclisti che potessero consigliarmi.

Ciò che mi piace di questa fotografia è che si vede bene quello che già allora, per noi ragazzi molto sprovveduti, era il sogno di diventare dei motociclisti. Non avevamo denaro, non avevamo esperienza, solo qualche fotografia da studiare sui giornali. Ma la necessità e la bellezza di possedere e indossare un casco, quella già c’era; e pazienza se ci potevamo permettere soltanto un casco Everest a scodella, di plastica, o quello che usava papà trent’anni prima per il mio amico Alberto, sulla destra.

E la tuta. La pelle era una cosa da piloti in pista, all’epoca, ma per sentirci all’altezza a noi bastava una tuta di tela, una tuta da meccanico. Non riesco proprio a ricordare dove avessi scovato la mia. E nonostante le scarpe del tutto inadatte, niente stivali all’orizzonte nè guanti di qualsiasi tipo, ci sentivamo dei previlegiati. Così giovane e già motociclista. Guardate che aria di superiorità, che faccia da schiaffi, la mia. E gli altri non ancora motociclisti ma quasi, già pronti con la tuta giusta, già sognanti come Alex in sella alla Gilera.

Magari mi sbaglio, magari è il sentimentalismo, o la nostalgia, a portarmi fuori strada più di quanto la 98 Regolarità potesse fare. Ma nella fotografia vedo lo sguardo di quattro ragazzi piantato dritto nel futuro. In cinquantacinque anni ne sono successe, di cose. Ma una resta particolare: ancora siamo tutti amici e quando ci vediamo parliamo di piloti e di moto.

Editoriale Nico
Caricamento commenti...