ll turbante e il casco. I Sikh, tra legge e devozione

ll turbante e il casco. I Sikh, tra legge e devozione
Marco Berti Quattrini
I fedeli originari dell'India sono tra l'incudine e il martello, obbligati dalla loro religione a portare il turbante e dalla legge a indossare il casco. Difficile, anche in moto, stabilire dove la libertà deve cedere il passo al dovere
11 luglio 2019

Parliamo spesso, in queste pagine, di sicurezza: della pigrizia di non indossare le protezioni quando fa caldo, dell'incoscienza di "pilotare" in strada come se si fosse in pista o dell'imbecillità di guidare con il telefonino infilato nel casco. Possiamo predicare prudenza e seminare buonsenso, ma alla fine ognuno è libero di declinare come meglio crede la propria intelligenza. L'importante, però, è che non si metta a rischio la vita degli altri. 

Proprio per questo esistono le leggi, che sono quel confine che sta tra le libertà personali e il bene della società. Cicerone scrisse: “Siamo schiavi delle leggi, per poter essere liberi.” Noi non vogliamo fare una lezione di filosofia del diritto, ma abbiamo deciso di raccontarvi una storia che sta a metà tra il diritto e il motociclismo. 

 

Per farlo partiamo da lontano, dal Punjab, in India, dove nel XV secolo nacque la comunità Sikh. Un gruppo religioso, non una casta, che nei secoli è cresciuto fino a raggiungere circa 25 milioni di adepti in tutto il mondo. Sono famosi e riconoscibili per il loro caratteristico turbante e per il pugnale che portano sempre con loro. Turbante e pugnale sono infatti 2 dei 5 simboli sacri della del Sikhismo: divieto di tagliare barba e capelli (da qui il turbante), pettine di legno, pantaloni lunghi fin sotto le ginocchia, un bracciale di ferro e il Kirpan, il pugnale, appunto.

DEVOZIONE AI TEMPI DELLA MOTOCICLETTA

Ed eccoci arrivati dove la legge e i Sikh del Punjab incontrano le moto. In India, uno dei Paesi con le leggi più tolleranti, l'obbligo di indossare il casco è entrato in vigore abbastanza recentemente, e per i Sikh è stata fatta una deroga, visto che è impossibile calzarlo senza togliere il turbante. Non senza proteste di tutti i non- Sikh, ovviamente, la libertà religiosa ha prevalso sullo spirito di auto-conservazione e sulla legge. Lo stesso è successo in altri Paesi, come nel Regno Unito e in alcuni Stati di Canada e USA. Esattamente il contrario avviene invece a New York o in Australia, dove, nonostante le pressioni della comunità Sikh, l'obbligo è inflessibile.

 

L'episodio più recente è avvenuto in Germania, dove il giudice della corte di Lipsia, Renate Philipp, ha sentenziato che "Le persone che indossano un turbante per motivi religiosi non sono, per questa ragione, esentati dall'obbligo di indossare un casco". 

 

E IN ITALIA?

In Italia i Sikh hanno iniziato a diffondersi circa una ventina di anni fa, soprattutto in Emilia e in Lombardia, dove lavorano principalmente nel settore dell'allevamento dei bovini. Per ora nessuno ha avuto ancora problemi con casco e turbante, ma la linea è chiara: le nostre leggi prevedono che l'integrazione degli stranieri passi per l'accettazione delle nostre leggi anche quando queste sono in contrasto con precetti religiosi. E' di un paio d'anni fa la sentenza della Corte di Cassazione che ha stabilito che gli immigrati devono "conformarsi ai nostri valori". In giudizio era il caso di un Sikh fermato a Mantova perché in possesso del Kirpan, il pugnale sacro, che la Polizia ha catalogato come arma impropria. Multato di 2.000 euro, il Sikh ha fatto ricorso, ma il verdetto non è stato quello che sperava:  "Non è tollerabile che l'attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel Paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante". Se questa è la linea di principio, ça va sans dire, che nel nostro Paese il casco è obbligatorio per tutti e non ci sono eccezioni per motivi religiosi o culturali. 

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