Il World Ducati Week e il senso del Natale a fine luglio

Lorenzo Armenise
  • di Lorenzo Armenise
Abbiamo vissuto il World Ducati Week a Misano da dentro, per capire cosa c'è dietro. E dietro c’è una macchina organizzativa Made in Borgo Panigale che riesce a reggere l’urto di centinaia di ospiti e di 91mila presenze (numero record, per questa decima edizione) perché ognuno ci mette tutto quello che ha e pure qualcosa di più: staff, motociclisti, tifosi, appassionati. Il WDW è senso di appartenenza, aggregazione, famiglia
  • Lorenzo Armenise
  • di Lorenzo Armenise
25 luglio 2018

Domenicali firma autografi, Domenicali fa i selfie, Domenicali saluta il pubblico, Domenicali dà il cinque, Domenicali parla in sala stampa, Domenicali corre in pista. Non c’è niente da fare, il vero protagonista del World Ducati Week 2018 è stato lui. Dovi, quasi una bandiera, OK. Lorenzo che si dispiace di non poterlo più vivere perché cambierà Casa e che strappa un po' di applausi, OK. Bayliss e Stoner, sempre nel cuore. Ma il capo popolo, perché di popolo si tratta, è lui. Abbiamo vissuto un WDW da dentro, a Misano, per capire ancora di più cosa c’è dietro. E dietro c’è una macchina organizzativa Made in Borgo Panigale che riesce a reggere l’urto di centinaia di ospiti e di 91mila presenze (numero record, per questa decima edizione) perché ognuno dei membri dello staff ci mette tutto quello che ha e pure qualcosa di più.

È come se tutti loro, staff e motociclisti, si sentissero parte di una Storia a cui ognuno possa contribuire, metterci la firma e farla propria; è come se tutti loro, insomma, sapessero che quando parliamo di Ducati non parliamo di un marchio, non parliamo dei suoi piloti, dei suoi responsabili, degli organizzatori e degli appassionati. Parliamo di tutti. Dagli steward ai manager. Perché se tutto questo è stato possibile lo dobbiamo a loro. Se l’aria respirata al WDW è stata la stessa di quella respirata a casa, lo dobbiamo a loro.

Se perfino Jorge Lorenzo, prossimo alla separazione, si concede qualche battutina sul suo futuro, argomento tabù, e in conferenza stampa post Race of Champions si dispiace che dal prossimo anno non potrà più vivere un’atmosfera del genere non è un caso. Se Claudio Domenicali, amministratore delegato, passeggia per il WDW fermandosi a parlare con tifosi e appassionati come se fossero nel giardino di casa, non è un caso. Se perfino uno come Stoner, o uno come Troy Bayliss, due divinità per il mondo Ducati, decidono di farsi quasi 17mila km per stare con i propri tifosi, non è un caso. Se Chaz Davies si presta a sposare due inglesi in uno degli stand del village, non può essere un caso, e non possiamo pensare che sia solo per un diktat emanato dall’alto. Non può essere così e non lo è.

Il WDW non è un semplice evento. È aggregazione. È una famiglia. È Natale. È Pasqua. È Capodanno, tra stand, mongolfiere, preview room, turni in pista, gare di flat track. Risponde a un bisogno umano, umanissimo, di sentirsi parte di qualcosa, di una Storia, appunto, di una grande famiglia che si riunisce per festeggiare un simbolo. Simbolo a cui si sono uniti e a cui hanno dato tutto. Testa, cuore e pelle. È Woodstock, è "uno vale uno" e ognuno fa il tutto. È una filosofia. Lo abbiamo detto: una coppia si è pure sposata, nello scorso weekend. È andata così: erano a Borgo Panigale a visitare il museo. A un certo punto l’uomo si è inginocchiato e proprio lì ha chiesto la mano della sua fidanzata. Saputo della scena l’entourage Ducati ha proposto alla coppia di celebrare il matrimonio a Misano e loro hanno accettato, pantaloncino e maglietta lui, vestitino rosso e borsetta lei, con tanto di Chaz Davies nel ruolo del sindaco e TaaaaTtatata in sottofondo.

Al WDW gli eccessi della passione si perdonano. Se incontri per strada una persona con un braccio tatuato con la scritta Ducati e le fiamme intorno ti farebbe strano. Se una mamma girasse con il proprio figlio sotto il sole per ore solo per fargli vedere o sentire il sound di una MotoGP, risulterebbe strano. Si creerebbero dei pregiudizi. È inevitabile. Nel WDW, non esistono. Nel WDW ogni cosa prende magnificamente senso. Non ci sono pregiudizi. Non esistono poveri, non esistono ricchi. Non esistono stranieri o italiani. Non esistono differenze. Esistono i ducatisti. Punto. Ma quest’aria non nasce al WDW, nasce molto prima, dai giornI che lo precedono, lungo le stazioni di servizio dell’autostrada, dove migliaia di motociclisti provenienti da tutta Europa si incontrano, sconosciuti si commentano le moto a vicenda e si scambiano i numeri di telefono con la promessa di bere una cosa insieme.

Succedono cose fantastiche al WDW. Dove può capitarvi di guidare fianco a fianco con Carlos Checa? Dove può ricapitarvi di chiedergli di impennare o di vedergli compiere un salto da un marciapiede con il nuovo Scrambler durante la parata? O di chiedergli un autografo su un poster stropicciato, e con gli occhi lucidi iniziare con lui e la moglie un discorso sulle corse, e a malapena riuscire a parlargli? Da nessun’altra parte. Ha piovuto al WDW, ma a nessuno è importato, ma cosa sarà mai. Solo un metodo alternativo per lavare la propria moto. Si ride al WDW. Si ride perché è l’unica cosa che ti viene da fare. Un sorriso a trentadue denti. Dalla mattina, quando ti tocca toglierti il casco per entrare (ah, le leggi sull’antiterrorismo...), alla sera quando finisci sotto il palco delle feste in piazza a Riccione con Radio Deejay.

Dalle fidanzate che accompagnano i propri compagni su selle strettissime per chilometri e chilometri con zaini improponibili, agli steward che ci lavorano per ore sotto il sole. Non abbiamo visto una singola faccia triste. E se a Domenicali scende una lacrima al passaggio delle frecce tricolore, allora riusciamo a capirlo. Perché vedere Petrucci e Rabat che invitano a sgasare e stringono i guanti a tutti i partecipanti alla parata verso Rimini (lunga chilometri e chilometri), vedere tutti i piloti che scherzano tra loro e con gli appassionati, vedere Stoner con un bambino piccolo in braccio che si chiama Casey ci fa riflettere. Ci fa riflettere non solo sul mondo Ducati. Ma sul mondo tutto. Perché qui non stiamo parlando di una moto, stiamo parlando di senso di appartenenza. Ducati non costruisce moto, costruisce un’identità. E il WDW ne è la sua celebrazione.

Foto: Giacomo Gandossi

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