I racconti di Moto.it: "Dipende da te"

I racconti di Moto.it: "Dipende da te"
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
La storia che sto per raccontare è priva di una morale, lacunosa, contraddittoria, non verificata e in definitiva inutile come inutili sono le emozioni e l'immaginazione: se qualcuno maledirà queste righe e il loro autore, nessuno potrà ritenersi offeso o di essere stato colto di sorpresa
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
29 aprile 2016

Le moto di piccola cilindrata non emozionano, si dice. Sembra che le motociclette migliori siano sempre state di cubature generose, forse anche per sopperire alla scarsa fisicità dei loro proprietari che sulla straboccante cilindrata hanno spesso fatto affidamento per sentirsi meno inadeguati e quindi non stupisce che dagli anni '80 in poi un tripudio di 900, 1000, 1100 abbia gratificato l'edonismo di molti motociclisti, molti ma non tutti: ce n'era uno che di una piccola 400, tra l'altro a cambio automatico, ci andava fiero: era un geniale piccoletto col nome d'ammiraglio che nel 1984 aveva 26 anni.

In quegli stessi anni i giapponesi avevano già obbligato il resto del mondo ad uniformarsi ad un elevato standard di affidabilità e prestazioni; tuttavia c'erano ancora almeno due ambiti nei quali le moto giapponesi, e talvolta quelle europee, restavano storicamente migliorabili: le sospensioni e le capacità di carico e di protezione dalle intemperie. Se anguille come la Kawasaki tre cilindri due tempi o gli improbabili accrocchi sedicenti antidive presenti su moltissime moto di quell'epoca arricchirono Paioli e Marzocchi per lustri, a produrre carenature aftermarket o borse laterali provvedevano decine di marchi di cui molti in tuttora attività, ma di questi a noi oggi ne interessa solo uno: WindKutter, Iowa, USA.

 

Torniamo un po' più indietro nel tempo: negli Stati Uniti è il 1975 e un ingegnere che lavora in una fabbrica di trattori si licenzia per fondare una sua azienda; si chiama Carl Howe ed è un appassionato motociclista

Torniamo un po' più indietro nel tempo: negli Stati Uniti è il 1975 e un ingegnere che lavora in una fabbrica di trattori si licenzia per fondare una sua azienda; si chiama Carl Howe ed è un appassionato motociclista: dalle notizie che ho raccolto sembra che gli piaccia molto fare viaggi, spostarsi e per questa ragione si sia autocostruito un rimorchio da agganciare alla moto, pare inoltre che la cosa gli sia piaciuta e abbia provato a farla diventare un buon business creando la Howe Engineered Sales a Cedar Falls, Iowa.
Dall'altra parte del continente, in California, abita un signore che ha disegnato una delle moto più folli degli anni '70: la moto è la Triumph X75 Hurricane e lui è Craig Vetter.

Vetter costruisce da un decennio carenature in vetroresina, cupolini e accessori per motociclette, specialmente per le inglesi come Triumph e BSA ma anche per le prime Honda Gold Wing, e nel 1972 presenta al Dealer Trade Show di Houston il suo cupolino aftermarket “Windjammer”, riscuotendo un grande successo. Quando Carl Howe decide di licenziarsi dalla fabbrica di trattori e di produrre una linea di cupolini e carenature per moto con il nome “WindKutter” si ispira un po' tanto al “Windjammer”, forse esagerando con l'ispirazione, perché qualcuno sostiene che siano vere e proprie copie pedisseque dei prodotti di Craig Vetter, inoltre la forte assonanza tra “Vetter” e “Kutter” alimenta un forte sospetto di plagio.

 

 

Ma noi siamo motociclisti e non giudici, e delle diatribe puramente legali ce ne importa poco: Vetter infatti non la prende benissimo ma si rassegna e non va oltre la minaccia di una querela, sia perché Howe lavora in mercati dove Vetter è poco presente sia perché probabilmente la signorilità di Vetter è pari al suo talento. Per tagliare la testa al toro, dopo poco tempo, Howe cambia il nome dei suoi cupolini e carene in “Kutter”, eliminando ogni possibile causa di controversie con Vetter e andando incontro ad un periodo di grande successo per la sua azienda.

Poi, però, dai primi '80 i giapponesi, Guzzi, BMW e Harley, decidono di progettare le loro motociclette dotandole di cupolini e carenature efficaci e il mercato aftermarket va progressivamente in crisi. Vetter è un abile commerciante e cambia business ma Howe si trova impreparato di fronte alla contrazione delle vendite ed è costretto a licenziare, prima un paio, poi tutti i dipendenti, restando da solo a portare avanti la produzione. Forse avrebbe dovuto imitare Vetter anche nell'uscita da quel mercato ormai povero, ma niente. Qualcuno, inoltre, sostiene che in quel periodo inizi a fare dei gran botti con la moto e che solo per caso rimanga in vita e illeso.

 

La svolta nella nostra storia è nel 1982, quando Howe in piena crisi riceve un ordine per due grandi carenature “Kutter”, due robe assurde da colorare di viola e da consegnare ad un set cinematografico dalle parti di Minneapolis

La svolta nella nostra storia è nel 1982, quando Howe in piena crisi riceve un ordine per due grandi carenature “Kutter”, due robe assurde da colorare di viola e da consegnare ad un set cinematografico dalle parti di Minneapolis; ovviamente non se lo fa dire due volte e chiama il suo figlio adottivo ad aiutarlo per costruire le due carenature che vengono rapidamente recapitate al committente senza porre domande ma soltanto contando il cash; un mese dopo riceve una telefonata durante la quale lo stesso committente lo prega di costruire alla svelta un altro “Kutter” viola, perché una moto ha avuto un incidente e c'è bisogno di un ricambio. Detto fatto, sempre senza chiedere dettagli, lavorando il sabato notte Carl e suo figlio fabbricano un'altra orribile carenatura color melanzana e la consegnano a Minneapolis, probabilmente chiedendosi ancora una volta a cosa possa servire una roba così pacchiana e quando a chiederselo è persino un americano dell'Iowa, io credo che s'imponga un minuto di raccoglimento sull'altare del buon gusto.

Dimenticata questa fortunata commessa, Howe e la sua azienda veleggiano verso il naufragio cui arrivano puntualmente mentre invece Craig Vetter oggi ha 73 anni ed è impegnato principalmente nella progettazione di veicoli a bassissimo consumo di carburante.

Tutto qui.

 

Cioè, la storia è finita ma se vi importa vi racconto un paio di cose: la prima è che sembra che Carl non abbia preso bene la crisi del mercato degli accessori aftermarket e dopo qualche anno sia tragicamente morto in un incidente automobilistico, insieme al fratello, in una parte rurale dello Iowa; la seconda è che prima di morire ha comunque avuto la soddisfazione di andare al cinema e vedere i suoi stravaganti cupolini viola sulla Honda CM400A guidata da Prince nel film “Purple Rain”. Deve essere stata una soddisfazione immensa: essere preferito allo stesso Vetter nella customizzazione di una moto per un film che quando uscì era già un mito perché recitato e suonato dal genio di Minneapolis. Lo stesso Prince Rogers Nelson che se n'è andato qualche giorno fa lasciandoci un'eredità artistica immensa ma che a me, che quando fu proiettato Purple Rain avevo solo 13 anni, ha instillato l'interrogativo di come si potesse andare fieri a bordo di una Honda 400 a cambio automatico, con trenta cavalli scarsi.

 

Io in quel film ci avrei visto perlomeno una grossa Harley e rifiutavo il semplice concetto che un artista come Prince potesse girare su una piccola 400 senza cambio e con una sgraziata, gigantesca, carenatura viola

Insomma, io in quel film ci avrei visto perlomeno una grossa Harley e rifiutavo il semplice concetto che un artista come Prince potesse girare su una piccola 400 senza cambio e con una sgraziata, gigantesca, carenatura viola; semplicemente era un fatto assurdo che qualcuno avrebbe dovuto spiegare, cavolo! Nel 1984 non capivo che negli USA era così, finiti i tempi di Easy Rider, ci voleva una carenatura e attingevi ai cataloghi di Vetter o, se non avevi abbastanza denaro, di Howe: senza pregiudizi, senza niente altro che il piacere di andare in motocicletta e di mostrare se stessi per come si è veramente, godendosi il momento e la strada, non importa se è brutto, se è lento, se è piccolo.

 

Oggi che una moto se non ha 130 cavalli o 1200 cc viene ritenuta quasi una una moto di transizione, una nave scuola o un ripiego, mi accorgo che Prince nel 1984 era già maledettamente avanti e ora che se n'è andato sento il dovere di ringraziarlo anche per avere girato Purple Rain con una moto adatta alle sue dimensioni certo non da gigante e per avermi insegnato che la bellezza e le emozioni non dipendono dalle dimensioni assolute, dalla velocità, dalla cilindrata, dalla potenza o dalla bravura tecnica. Dipendono da te. 
 

 

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