Autovelox, è caos totale: la Cassazione conferma l'obbligo di omologazione per multare

Autovelox, è caos totale: la Cassazione conferma l'obbligo di omologazione per multare
Una sentenza della Corte di Cassazione riaccende il dibattito sulla legittimità degli apparecchi per il rilevamento della velocità in Italia. La sola approvazione ministeriale non basta: serve l'omologazione, mai disciplinata per legge. Con la scadenza del 30 novembre per il censimento dei dispositivi, i comuni rischiano il caos tra bilanci in bilico e milioni di multe potenzialmente nulle
7 ottobre 2025

Autovelox in Italia, la questione è complicata. L'Italia si trova di fronte a un paradosso giuridico che potrebbe costare carissimo alle casse comunali e riscrivere le regole del controllo della velocità sulle strade. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza 26521/25 depositata il primo ottobre, ha ribadito un principio che rischia di far crollare come un castello di carte l'intero sistema sanzionatorio basato sugli autovelox: senza omologazione, le multe sono nulle. Una conclusione che arriva mentre i comuni italiani hanno già incassato oltre 1,25 miliardi di euro dalle sanzioni elevate nei primi mesi del 2025, secondo un'indagine del Codacons. Milano guida questa particolare classifica con 123 milioni di euro di proventi, cifre che spiegano l'imbarazzante silenzio delle amministrazioni locali.

Il problema affonda le radici in una lacuna legislativa mai colmata in oltre trent'anni. Il Codice della Strada del 1992 è chiaro sulla carta: l'articolo 45 stabilisce che le apparecchiature per rilevare le violazioni dei limiti di velocità devono essere "approvate od omologate" dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, mentre l'articolo 142 precisa che sono considerate prove valide solo "le risultanze di apparecchiature debitamente omologate". Due concetti, approvazione e omologazione, che non sono affatto sinonimi ma che per anni sono stati trattati come tali dalle amministrazioni.

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Approvazione vs omologazione

La distinzione tra approvazione e omologazione è il cuore della questione. L'approvazione rappresenta il riconoscimento formale da parte del Ministero che un determinato dispositivo può essere utilizzato per rilevare la velocità. L'omologazione, invece, implica una verifica pratica e rigorosa degli standard costruttivi di ogni singolo apparecchio, della sua efficacia e soprattutto della sua precisione nel rilevamento. Un passaggio fondamentale per garantire che le sanzioni siano basate su dati affidabili e tecnicamente ineccepibili.

Il paradosso è che, nonostante l'omologazione sia sempre stata indicata come requisito necessario per il funzionamento legittimo degli autovelox, non esiste ad oggi alcuna procedura normativa che stabilisca come effettuarla. Un vuoto legislativo clamoroso che ha permesso per decenni l'utilizzo di dispositivi approvati ma mai realmente omologati, generando una zona grigia in cui si sono mosse le amministrazioni locali e che ora la magistratura sta rimettendo in discussione.

Sicurezza, il punto sui vari fronti

Il caso esaminato dalla Cassazione è emblematico. Il Tribunale di Pescara aveva respinto il ricorso di un automobilista multato, sostenendo che l'accertamento fosse legittimo poiché l'apparecchio, pur non essendo omologato, era stato regolarmente approvato dal Ministero. Una linea difensiva che i giudici di legittimità hanno smontato senza appello: "La semplice approvazione non può essere considerata equipollente all'omologazione". Una sentenza secca che conferma quanto già stabilito da altre due ordinanze della Cassazione nel corso del 2024.

L'ordinanza diventa quindi un indirizzo vincolante per tutti i Tribunali italiani, aprendo la strada a una potenziale valanga di ricorsi da parte degli automobilisti multati. Le conseguenze sono evidenti: gli accertamenti effettuati con dispositivi non omologati sono da considerarsi illegittimi e le relative sanzioni nulle, con la possibilità per i cittadini di chiedere non solo l'annullamento delle multe ma anche il rimborso di quanto già versato e la restituzione dei punti decurtati dalla patente.

La scadenza del 30 novembre e il censimento fantasma

A complicare ulteriormente il quadro è intervenuto il Decreto Legge n. 73 del 21 maggio 2025, il cosiddetto Decreto Infrastrutture, che ha introdotto l'obbligo per i comuni di mappare digitalmente tutti i dispositivi presenti sul territorio nazionale. Un vero e proprio censimento degli autovelox che le amministrazioni locali devono completare entro il 30 novembre, comunicando al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti quali apparecchi utilizzano e dove sono posizionati.

Il Ministero è stato esplicito nelle sue comunicazioni: "L'inserimento dei dati relativi a ciascun dispositivo o sistema è la condizione necessaria per il legittimo utilizzo dei dispositivi o sistemi da parte di amministrazioni ed enti". Chi non rispetta la scadenza dovrà spegnere i propri autovelox, ma il problema di fondo rimane irrisolto. Anche i dispositivi regolarmente censiti restano infatti privi di omologazione, continuando quindi a produrre rilevazioni tecnicamente illegittime secondo l'interpretazione della Cassazione. Una situazione kafkiana in cui la burocrazia risponde alla burocrazia senza risolvere la questione di sostanza.

La Legge 177 del 25 novembre 2024 aveva rappresentato un'opportunità storica per mettere una pietra tombale sulla questione. La riforma del Codice della Strada ha introdotto numerose modifiche alle norme sulla circolazione, ma ha mancato l'obiettivo di definire finalmente la procedura di omologazione degli autovelox. Un'occasione persa che lascia il sistema in una situazione di incertezza giuridica, con migliaia di utenti della strada potenzialmente in grado di contestare le sanzioni ricevute e comuni che continuano a contare su entrate che potrebbero rivelarsi del tutto illegittime.

Fonte: Gazzetta Motori

Immagine: ANSA/FIN